Sette anni di sperimentazione avevano dato vita al “portierato sociale” a Bellavista, un servizio di “custodia sociale” nato sotto la spinta dell’associazione Bellavista Viva e mirato a contrastare il senso di abbandono delle periferie. Da novembre l’amministrazione eporediese non ha rinnovato i finanziamenti, interrompendo di fatto l’iniziativa
Il tema delle periferie è un argomento che da diversi anni a Ivrea è stato completamente rimosso dal dibattitto pubblico e politico locale. Di tanto in tanto capita che qualche politico se ne ricordi (soprattutto in campagna elettorale), ma appare ormai evidente la frattura profonda tra le periferie (sedotte dalla destra salviniana come avevano certificato le ultime elezioni locali nel 2018) e il centro cittadino che dovrebbe vedere nei prossimi anni cospicui interventi di riqualificazione (ai fondi del PNRR al Castello per più di un milione di euro si sommano quasi nove milioni a Palazzo Giusiana, giardini antistanti e Sala Cupola, nonché mezzo milione di Ivrea Capitale del Libro da destinare, ci si augura, alla nuova Biblioteca).
Nel tentativo di sanare questa cesura al contempo urbanistica e sociale, a Bellavista da tanti anni era in corso un progetto pilota innovativo di “portierato sociale” che mirava all’obiettivo di ridurre il crescente senso di abbandono delle periferie. Da novembre dello scorso anno, tuttavia, Sertoli e la sua giunta hanno deciso di non mettere più a disposizione fondi per rifinanziare il progetto decretandone, di fatto, il suo tramonto. Ma facciamo un passo indietro.
2014-2021: sette anni di sperimentazione sociale
Nel 2014, grazie alla richiesta partita dall’associazione Bellavista Viva, il Comune d’Ivrea, il Consorzio IN.RE.TE. e il gruppo Abele avevano dato vita al progetto “Bellavista Si Cura”. Realizzato con il contributo della Compagnia San Paolo, il progetto aveva la finalità di attivare la partecipazione dei cittadini e promuovere un percorso di “mediazione dei conflitti” attraverso l’apertura di uno “sportello di ascolto”. I condòmini avevano così la possibilità d’interfacciarsi con una persona in grado di ascoltare i problemi legati allo stato degli immobili (perdite d’acqua, infissi rovinati, crepe nei muri, infestazioni, riscaldamento…) e di essere seguiti per inoltrare segnalazioni ad ATC, ma potevano altresì lamentare problemi, incomprensioni e conflitti con altri condòmini. La funzione dello sportello d’ascolto, tuttavia, presentò sin da subito alcuni limiti e difficoltà, primo tra tutti il fatto che i condòmini non volevano incontrarsi per risolvere gli screzi. Venne così deciso, l’anno successivo, di cambiare strategia.
Nel 2015 l’Associazione Bellavista Viva in partenariato con il Gruppo Abele ha quindi elaborato il progetto “Bellavista: stare bene nel quartiere. Costruiamo servizi attivatori di strategie di prossimità”, che ha ottenuto il contributo di Manital e Compagnia di San Paolo – Fondo Risorsa Canavese. Venne aperta la “casa della salute” (un luogo di promozione di stili di vita sani, attivatore di reti di prossimità riservato alle persone svantaggiate) e introdotta la figura del custode sociale, una figura “cuscinetto” che svolgeva le stesse mansioni dello sportello d’ascolto dell’anno precedente, ma questa volta con la differenza fondamentale di recarsi casa per casa ad ascoltare i problemi. La scelta di andare a parlare con le persone invece di aspettare che fossero i condòmini a fare la prima mossa si rivelò vincente: le persone si mostrarono maggiormente disponibili al confronto, più inclini a partecipare alla vita del quartiere o a farsi aiutare dai servizi sociali, lasciandosi consigliare maggiormente su come muoversi per inoltrare segnalazioni ad ATC e Comune. In riferimento a quegli anni i promotori del “portierato sociale” scrivevano: «ripercorrendo il lavoro svolto durante l’anno e richiamando le riflessioni legate al progetto apripista precedente, si osserva che l’attivazione di servizi e soggetti “cuscinetto” che vanno a migliorare la vita degli abitanti del quartiere è necessaria ed efficace poiché nei contesti di edilizia residenziale pubblica è forte nei cittadini la sensazione di abbandono da parte delle istituzioni e dei servizi pubblici» e, aggiungevano «si spera che tutta l’esperienza maturata in questi anni di lavoro in quartiere non vada persa né sottovalutata».
Il progetto crebbe negli anni successivi fino ad ottobre 2021 e negli ultimi due anni venne realizzato grazie al contributo (della precedente amministrazione) di 12 mila del Comune di Ivrea.
L’arrivo della pandemia accrebbe tuttavia le difficoltà, ma la rete di soggetti consolidata nell’arco degli anni precedenti mitigò i danni e il servizio di portierato sociale assunse una veste online, inaugurando una “stanza digitale” accessibile a tutti gratuitamente e mantenendo vivo un contatto tra Amministratori, inquilini e operatori sociali.
Novembre 2021: Sertoli e Povolo azzerano il portierato sociale
Ad ottobre 2021 sono terminati i finanziamenti. Per permettere che questo servizio continuasse a operare, i promotori del portierato sociale hanno incontrato il sindaco Sertoli e l’assessora alle politiche sociali Povolo per chiedere che il Comune continuasse a credere nell’utilità e negli scopi del progetto sostenendolo economicamente. A fronte di un apprezzamento a parole (nel miglior “stile Sertoli”), il finanziamento è stato negato interrompendo di fatto un servizio di innegabile utilità sociale (“non sappiamo più cosa dover dimostrare” si sfogano in Bellavista Viva) e prevenzione del degrado sociale e dei conflitti.
In un solo colpo non solo il portierato sociale è stato interrotto, ma sono state altresì vanificate le speranze di chi si augurava che l’esperienza accumulata in questi anni potesse infine “sedimentare” e diventare strutturale a Ivrea. L’intento dell’associazione Bellavista Viva infatti, dimostrato in altri progetti come l’ambulatorio di quartiere, non è infatti di sostituirsi al pubblico, ma di offrire alla pubblica amministrazione la parte di progettualità e di sperimentazione di servizi rivolti alla popolazione che dovrebbero essere parte integrante del sistema sociale e sanitario.
Questa scelta da parte della giunta Sertoli appare contraddittoria anche alla luce dei finanziamenti che arriveranno dal PNRR: 870mila euro, infatti, sono già stati stanziati dal Ministero per interventi di ristrutturazione edilizia ed efficientamento energetico da destinare alle case ATC del centro storico (forse quelle di periferia sono di serie B?). Se sul piano urbanistico qualcosa sembra muoversi, per quale motivo non mantenere un canale di comunicazione e d’aiuto diretto con le persone dei quartieri popolari e mettere a frutto anni di lavoro e di esperienze accumulate? Perché non integrare il “portierato sociale” all’interno dei servizi pubblici e raccogliere così la sfida lanciata dalle associazioni?
Se vincere il senso di solitudine e di emarginazione sociale era stato l’obiettivo del progetto di portierato sociale, la sua interruzione ha segnato un’inversione di tendenza che non farà altro che accrescere il senso di abbandono delle periferie da parte delle istituzioni; un abbandono che qualche senatrice pensa scioccamente di poter controllare a suon di taser.
Andrea Bertolino