Il Circolo di Rifondazione Comunista di Ivrea dedica il 25 aprile 2021 alle donne della Resistenza. In particolare alla giovane partigiana Santina Riberi, nome di battaglia Carla, fucilata l’11 settembre 1944 dai fascisti del battaglione Barbarigo nella caserma Freguglia. La sua storia, il ruolo delle donne partigiane, una poesia e il messaggio video del nipote di Santina Carla.
DEDICHIAMO QUESTO 25 APRILE 2021 ALLE DONNE DELLA RESISTENZA
In particolare vogliamo ricordare Santina Riberi, nome di battaglia Carla, che non ancora diciottenne decise di aderire alla lotta partigiana e che venne torturata e uccisa dai fascisti nella nostra città, Ivrea.
E con dispiacere oggi vogliamo aggiungere a quello di Santina, il ricordo, affettuoso saluto e il ringraziamento alla partigiana Liliana Barbaglia Curzio che dopo una lunga vita (iniziata giovanissima nella Resistenza) di testimonianza e impegno immutato, ci ha purtroppo lasciati domenica 18 aprile ad una settimana dalla Festa della Liberazione.
A tutte le giovani donne che seppero uscir di casa per lottare in prima persona contro la dittatura, che hanno combattuto, rischiato la loro vita e ci hanno regalato la libertà, è dedicato questo ricordo e il nostro impegno di lotta e resistenza quotidiane contro tutti i fascismi.
Viva il 25 aprile! Viva la Liberazione! Viva la Lotta partigiana di ieri e di oggi.
Circolo Rifondazione Comunista – Sinistra Europea Ivrea
Santina “Carla” Riberi
Santina “Carla” Riberi, era nata a Viverone il 5 novembre del 1926 da Giovanbattista e Giuseppina Garbolino.
Residente a Saint Vincent in Valle d’Aosta, lavorava alla fabbrica tessile Varzi, per questo rimaneva a Ivrea durante la settimana, ospite presso l’Istituto delle Probande dove vivevano altre lavoratrici della stessa fabbrica.
Non aveva ancora compiuto 18 anni quando decise, come il fratello Gianni, di unirsi ai partigiani.
Fu staffetta della VIII Divisione Garibaldi dal 1 aprile all’11 settembre del 1944, quando i fascisti le tolsero la vita. Fu arrestata ad Ivrea dai fascisti del battaglione Barbarigo il 9 settembre 1944, fu torturata per due giorni, infine fucilata nel cortile della caserma Freguglia. Successivamente venne gettata nella cava di pietra nella discesa di Culotto.
Quaranta giorni prima, il 30 luglio, anche il fratello Gianni era stato fucilato, assieme ad altri tre compagni, nei pressi del cimitero di Ivrea. Santina aveva un figlio di un anno e mezzo. Sognava la libertà, la vita senza la guerra, senza la dittatura, anche per lui. Ma venne uccisa dalla ferocia fascista.
“Immagino che l’essere donna e giovanissima mamma abbia rafforzato gli ideali che la spinsero ad aderire alla divisione Garibaldi, a lottare con determinazione e correndo pericoli estremi per ottenere libertà ed emancipazione.” Scrive il nipote Mario che la ricorda in una lettera “Mi capita spesso di immaginare cosa avrà passato mia nonna in quegli anni di resistenza. Vorrei tanto poterle chiedere come ha vissuto quei momenti. Quando penso alla sua vita ed al suo coraggio, mi viene in mente il passaggio finale di una poesia di Italo Calvino che si intitola “Oltre il ponte”, e che fa così: “e vorrei che quei nostri pensieri quelle nostre speranze di allora rivivessero in quel che tu speri o ragazza color dell’aurora”.
Santina “Carla” Riberi è una delle 12 donne partigiane che hanno perso la vita in Canavese combattendo per la Liberazione dal nazifascismo.
EPIGRAFE
Di Tullia de Mayo, partigiana Manuela, combattente, poetessa, di Cuorgné
Dedicata a Santina Riberi, partigiana Carla
Era chiaro il suo sguardo
come l’acqua di un fiordo,
credeva nella vita
lottava per la libertà.
Vilipesa, torturata dai “marò”
del battaglione Barbarigo,
fucilata all’alba
dell’undici settembre ’44.
Anni diciotto,
staffetta della 76a Garibaldi,
nome di battaglia Carla.
Affinché il tempo impietoso
scolorendo il nome sulla pietra
non ne cancelli la memoria:
perché il mondo conosca
il prezzo del suo sangue.
Il messaggio del nipote Mario Riberi
Le donne nella resistenza
Sono decine di migliaia le donne che hanno combattuto il nazifascismo affrontando arresti, violenze e deportazioni. Le donne non si affiancarono ai loro compagni soltanto con il ruolo di cura attribuito dalla storiografia ufficiale, né si può più dire che stavano ai margini della lotta di liberazione, perché ne furono protagoniste. La lotta partigiana vide infatti le donne nei Gap (Gruppi d’azione partigiana), nelle Sap (Squadre d’azione partigiana) e in montagna, nell’organizzazione di scioperi ed agitazioni, sotto la tortura (e seppero non parlare!), nella diffusione della stampa clandestina, nel sabotaggio in fabbrica della produzione destinata alla guerra nazi-fascista, o nella raccolta di viveri e denaro, o spontanea o organizzata dal Soccorso Rosso, per le famiglie in difficoltà dei militanti.
Ma l’azione delle donne si orientava anche politicamente: numerosissime donne, di ogni estrazione sociale, operaie, studentesse, casalinghe, insegnanti, in città, così come in campagna, organizzarono veri e propri corsi di preparazione politica e tecnica, di specializzazione per l’assistenza sanitaria, per la stampa dei giornali e dei fogli del Comitato di Liberazione Nazionale.1
Le donne si trovarono per la prima volta libere, alla pari con gli uomini, una condizione straordinaria, pre-femminista. Ma è giusto ricordare che dopo la Liberazione ci fu una grossa delusione per le donne, perché le aspettative, le speranze, le promesse maturate durante la guerra non sono state tutte mantenute. Infatti, le donne che avevano vissuto quell’indipendenza lavorativa ed esistenziale, alla fine della guerra vengono rimesse al posto che avevano prima. Essendoci pochi posti per tutto, sul lavoro come anche nei partiti, le donne furono retrocesse e rimesse in casa a occuparsi delle famiglie.2 Questo nonostante “i valori ed i caratteri del mondo femminile diedero alla guerra di liberazione antifascista una ricchezza che non avrebbe raggiunto altrimenti.”1
1 Stefania Maffeo.“Storia delle donne partigiane: fu una resistenza taciuta”
2 Elena Viale “La storia meno nota delle donne della Resistenza”