Un Servizio Sanitario Nazionale in forte affanno dopo anni di tagli a strutture e personale. Le responsabilità dei governi, della Regione e della Asl
Mai come in questo periodo siamo stati bombardati da analisi, grafici e inchieste sullo stato della Sanità nel nostro paese. Da almeno due mesi non c’è trasmissione tv, giornale quotidiano o periodico o sito internet che non dedichi gran parte delle sue notizie a testimonianze di medici e operatori, bollettini della Protezione civile, confronti tra Regioni o Stati esteri, previsioni o decisioni dell’autorità politica.
Tutto questo mentre fino a febbraio di Sanità ci si occupava solo per polemiche sulla ubicazione di un nuovo ospedale, per inascoltati richiami all’invecchiamento dell’età media dei medici, per immancabili considerazioni sulla necessità di nuovi tagli per rientrare dai debiti delle Aziende Sanitarie.
Chi lavora all’interno delle ASL ha vissuto in prima persona il progressivo declino della struttura nel suo complesso, con tagli del personale, sia tecnico che amministrativo, impossibili da conciliare con il mantenimento delle prestazioni. Eppure si andava avanti lo stesso senza la capacità di trovare forze e alleanze per una nuova linea di condotta, anche perché, occorre dirlo, le maggioranze di centrosinistra e di centrodestra che si sono alternate al Governo nazionale e nella nostra Regione non hanno perseguito politiche molto diverse, né come visione né come incarichi dei responsabili.
Poi arriva la valanga Covid19 e coglie il sistema sanitario, nazionale e regionale, completamente impreparato, assuefatto come era a un tranquillo declino.
Negli ultimi 10 anni, pur in presenza di invecchiamento della popolazione, la spesa sanitaria è passata dal 7% del PIL allo 6,6% con una perdita di circa 37 miliardi e con una spesa per abitante di 1.844 euro, contro i 2.857 della Gran Bretagna, i 3.201 della Francia, i 3.605 della Germania. Tutto questo sotto i governi Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte (dati Istat, Commissione Europea).
Di conseguenza i posti letto sono passati dai 300.000 del 2000 ai poco più di 200.000 del 2017 (3,2 posti ogni 1000 abitanti, contro 8 della Germania, 6 della Francia, 4,2 della Grecia (dati Bocconi).
Non parliamo poi dei posti in terapia intensiva. In Italia, dal 1998, ultimo anno nel quale eravamo sopra la media europea, al 2013 il numero di posti letto per malati acuti si è quasi dimezzato, passando da 535 a 275 ogni 100.000 abitanti. Oggi siamo sotto Paesi come la Serbia, la Slovacchia, la Slovenia, la Bulgaria, la Grecia. (dati OMS).
Stesso calo anche per gli operatori sanitari:tra il 2009 e il 2017 la Sanità pubblica nazionale ha perso oltre 8.000 medici e 13 mila infermieri (dati Commissione Europea).
La Regione Piemonte
Nel tradurre in pratica le direttive del Governo la Regione Piemonte si è poi distinta per una pessima gestione del’emergenza, tanto da essere diventata ormai un caso nazionale. Nonostante un paio di settimane di vantaggio rispetto alla vicina Lombardia non vi è stata nessuna lungimiranza negli acquisti di materiali indispensabili e presto divenuti introvabili (mascherine, tamponi e reagenti, camici monouso, ecc.), adeguamento al ribasso alle indicazioni dell’Istituto di Sanità sulla necessità di fare pochi tamponi, imperdonabile errore di mischiare, prima negli ospedali e poi nelle residenze per anziani, pazienti infetti e non, con conseguente esposizione degli ospiti e del personale tutto alla infezione, scarsissimo collegamento tra medici del territorio e unità di crisi con l’incredibile episodio della perdita di centinaia di segnalazioni dei medici di base perché “la casella di posta elettronica dedicata era piena”.
Dopo aver per settimane promesso che tutti gli operatori sanitari, medici e infermieri, sarebbero stati dotati di dpi (dispositivi di protezione individuale) e sottoposti a tampone, a fronte del perdurare di una situazione di alta criticità, il 30 aprile davanti alle principali sedi ospedaliere, compresa quella di Ivrea, si è svolta la protesta degli operatori stessi, promossa da Cgil e Uil, con un flashmob “in silenzio come la Regione”, ” a significare la mancanza di risposte adeguate all’emergenza dalla Regione.
Le nuove unità USCA previste dal Governo il 9 marzo per rinforzare il territorio (Unità speciali di continuità assistenziale), da realizzare entro 10 giorni nella misura di una unità speciale ogni 50 mila abitanti, che per il Piemonte vuol dire quindi 86 (4,3 milioni di residenti), delle quali 18 solo a Torino, sono state avviate solo il 10 aprile nel numero di 2 (due) a Torino e 34 in tutta la Regione.
L’Asl TO4
Alle difficoltà generali si sommano nella Asl di Ivrea le difficoltà particolari che da tempo vedono un territorio mal amalgamato e suddiviso tra quelle che erano le vecchie sedi poi fuse nella TO4: Chivasso, Settimo, Ciriè, Cuorgnè, Ivrea. Non è bastata l’unificazione sotto una direzione unica per vincere le resistenze locali e le asimmetrie di gestione che hanno portato per esempio negli anni un nuovo ospedale a Chivasso e lo smembramento di alcuni reparti ad Ivrea (per es. pediatria e cardiologia) con la fuga di medici esperti e l’affidamento per la copertura dei posti a medici a gettone provenienti da Torino e da altre Regioni (con notevole esborso da parte dell’ASL e calpestando il principio di continuità sanitaria).
La mancanza di autonomia di Ivrea si riflette ora nell’emergenza Covid con la lunga sequela di autorizzazioni necessarie da parte del medico di base per riuscire a sottoporre un paziente a tampone, come denunciato anche da numerosi Sindaci.
Inusuale anche la richiesta ufficiale alla Regione, da parte di 24 Sindaci del Chivassese, per una gestione straordinaria dell’emergenza sul territorio, giudicando quella attuale evidentemente non all’altezza. Ecco così la nomina il 9 aprile di Angelo Testa, medico di base di Castellamonte dove è stato candidato Sindaco per la Lega, per affiancare il direttore Lorenzo Ardissone (e le cariche di tutte le Asl saranno tra poco rinnovate dalla Regione con i candidati del centrodestra in pole position).
Critica anche la situazione delle Rsa della nostra Asl sono state pesantemente colpite dall’epidemia, con una percentuale ben superiore anche al resto della Regione colpevole la mancata separazione dei positivi e l’individuazione di edifici completamente distinti, come si vede dalla tabella.
Se la situazione va gradatamente migliorando lo si deve sicuramente al grande sforzo e professionalità del personale sanitario, che nonostante tutte le difficoltà come sempre ha lavorato con abnegazione e responsabilità nonostante tutte le difficoltà.
Passata l’emergenza però è chiaro che molte cose dovranno essere riviste: deve finire la stagione dei tagli alla sanità e al personale, che invece di consentire risparmi di bilancio hanno provocato una crisi economica globale, serve un piano di assunzioni stabili, risorse certe e una direzione non improvvisata. Soprattutto serve una riequilibratura del rapporto ospedale-territorio che è sempre più stato sbilanciato a favore del primo. Non a caso la Regione che più si è spinta in questa direzione, la Lombardia, è quella che maggiormente fatica a contenere l’epidemia (ormai famosa la dichiarazione del dirigente della Lega Giorgetti “ormai, chi va più dal medico di base?”). La stessa Lombardia è quella che ha il più alto numero di anziani relegato nelle Rsa, il doppio di tutto il centro Italia, con relativo business milionario, Rsa sulle quali ora sono aperte numerose inchieste, come pure in Piemonte, dove sono decine gli esposti presentati alle Procure per verificare comportamenti contrari al mandato di protezione delle residenze per anziani.
Si arriva quindi al modello di sviluppo, la vera battaglia del futuro.
Francesco Curzio