Filarmonica ruegliese orfana del suo maestro
Giovedi 20 dicembre, nel tardo pomeriggio, è scomparso, senza preavviso, così come spesso esige la morte, Sandro Raga, figura emblematica della cultura musicale ruegliese, maestro e direttore della filarmonica locale, musicista appassionato e animatore infaticabile di tante serate ed eventi valchiusellesi.
Una giornata spensierata sugli sci in Valle d’Aosta, un rientro a casa, il tempo di una doccia e quello di un momento di relax sul divano prima di cena. Chiudendo gli occhi, tentati dal sonno, rilassando le membra nel beneficio sportivo della giornata, Sandro, forse con un impercettibile singhiozzo del cuore, ha varcato la soglia che separa la dimensione della vita da quella della morte, due facce della stessa medaglia che, da quando siamo al mondo, portiamo appesa al collo.
Sandro era una persona universalmente disponibile e comunicativa, un pezzo d’uomo solare e diretto, una presenza sorridente e vitale, un punto di riferimento e un segno distintivo per tutto il paese di Rueglio e non solo. Sabato 22, ai suoi funerali, eravamo veramente in tanti, raccolti in quel silenzio che è il primo segno di una partecipazione tanto sentita quanto sgomenta. Disteso come la Belle dormiente, che si ammira dalla sua casa, Sandro intraprendeva il grande viaggio a piccoli passi portando, su nuovi sentieri, il fiore della sua musica. Stridevano, in quel contesto, l’albero da poco approntato, con il presepe ai suoi piedi, le statuine immobili della tradizione e le decorazioni festose del Natale. In casa, lungo le scale, nel cortile e sulla strada, gli amici, i conoscenti, i suoi allievi piccoli e grandi, i tanti colleghi musicisti, erano ali di folla in attesa. Tutti avevano facce attonite come di chi deve accettare una perdita che sembra inconsolabile. Ho guardato molti di quei visi, alcuni come sempre accade, che non vedevo da tempo, e in tutti ho visto quella verità senza maschere che solo la perdita di una persona cara a volte è in grado di rivelare. Tutti erano uniti nella sincerità del dolore, molti con gli occhi lucidi e qualcuno incapace di frenare i singhiozzi. Sottovoce l’amico Romano Stura mi ha poi ricordato di come Zan, lo zio di Sandro, lo tenesse, da ragazzino, seduto sulle ginocchia con l’ancia del sassofono tra le labbra, e poi lo sollecitasse a soffiare mentre lui, circondandolo con le braccia, muoveva i tasti dello strumento così instillando nel nipote l’amore per la musica.
La bara di Sandro è uscita di casa nel sole freddo del pomeriggio, trasportata a fatica giù per le scale, come se la sua mole corporea, quella sua fisicità un po’ gigante e benevola, non volesse lasciare il mondo caldo dei suoi affetti. Dopo è stata una sfilata di folla nei cappotti, un dirigersi sommesso verso la chiesa, mentre raggi di luce invernale brillavano sugli ottoni, e la musica usciva dagli stessi in brani struggenti per un cerimoniale d’addio. La musica come un denominatore dei cuori tra la casa di Sandro e la piazza. Note nell’aria che commuovono sotto lo sguardo lontano e onnipresente della Bella dormiente. Lei con la pelle macchiata di pietre e di neve, lei con lo sguardo che invita al riposo, lei testimone di ogni nostra gioia e dolore. In chiesa, come segno dei tempi che cambiano, un prete di colore officiava alla funzione di rito. Aveva per Sandro parole semplici, e non di circostanza, ricordando il valore di ciò che gli esseri umani sono in grado di fare quando sono uniti. Uomini affratellati come note musicali sullo spartito, ognuno con la sua diversità che contribuisce alla ricchezza dell’insieme, così come tanti strumenti di un’orchestra creano l’unità armonica e sublime della melodia.
Al termine della messa la folla si è spinta in prossimità del cimitero di Rueglio dove Sandro attendeva l’ultima carezza della popolazione prima di partire verso il crematorio di Mappano.
Ed è stato lì che ho visto gli strumenti prendere fiato e le note mescolarsi alle lacrime dei suonatori. Ho visto i musicisti che suonavano e piangevano nello stesso tempo, come quando la musica attraversa l’anima di tutti. Dopo la partenza del carro funebre, la folla si è lentamente diradata, le mani hanno cercato altre mani, si sono strette nel nome di Sandro. Ho visto molta gente che si confortava a vicenda unita in quello che di meglio abbiamo, e che nell’artista Sandro Raga eccelleva, e cioè la nostra piccola grande umanità. Più in alto, nel cielo che diventava più scuro, insieme al sorriso di Sandro c’era anche quello di una luna mai così bianca e rotonda sui tetti di Rueglio.
Pierangelo Scala