Intervento di Federico Giovannini al presidio per la Pace a Ivrea il 5 marzo 2022
Febbraio 2022. I cittadini italiani apprendono dalla televisione e dai social media che l’esercito Russo ha invaso l’Ucraina. Gli Ucraini scelgono di difendersi. Gli stati occidentali inviano armi e beni di prima necessità, pur rimanendo ufficialmente fuori dal conflitto. Le televisioni ed i social media si riempiono di immagini devastanti di vittime civili, bombe, esplosioni e miseria.
Le italiane e gli italiani reagiscono: c’è chi condivide indignazione e rabbia, chi si adopera per le donazioni, chi magari va in piazza. Tutte e tutti in qualche modo abbiamo parlato con qualcun altro di ciò che sta accadendo in Ucraina ed abbiamo condannato la guerra. Tra tumulti e silenzi, chiacchiere e tweet, ciò che però domina nel popolo italiano è la confusione ed il senso di impotenza.
Questo senso di disorientamento è un prodotto del neoliberismo, che ci ha depoliticizzati, ridotti alla nostra dimensione privata ed individuale, convincendoci che la politica è un affare della élite che deve gestirla per noi. La confusione è una funzione della nostra condizione di servitù volontaria nei confronti del capitale e dei leader politici. L’abbiamo coltivata per anni senza accorgercene ed ora ne paghiamo il prezzo.
Comprendiamo come siamo arrivati qui partendo dal pensiero di Étienne De La Boétie, celebre pensatore francese del XVI secolo, ispiratore della tradizione della disobbedienza civile e resistenza nonviolenta.
Nel Discorso sulla servitù volontaria, Étienne De La Boétie diceva che un tiranno “non è necessario combatterlo, né abbatterlo. Si dissolve da sé, purché il paese non accetti di essergli asservito.”
Con questo intendeva che il potere del tiranno, del padrone, si regge sul fatto che il popolo sceglie di continuare a servirlo. Basta quindi che il popolo cessi di servirlo ed il suo potere svanirà d’un tratto.
I tiranni del nostro tempo sono quelli che ci portano diseguaglianze, condizioni di vita peggiorate, guerra e confusione. Quelli che nel febbraio 2022, ci hanno consegnato l’ennesima guerra – stavolta sul suolo europeo – figlia delle scelte geo-politiche ed economiche fatte nei decenni scorsi. Queste scelte sono state fatte da governi, grandi aziende e banche.
È vero che la guerra è stata sempre presente nella storia umana. Allo stesso tempo, ognuna è espressione di un particolare modo di vivere. Le guerre dell’età classica e del medioevo avevano ragioni e logiche proprie del loro tempo. Le guerre moderne sono una necessità dei capitalisti che ne traggono profitto ed una scelta consapevole dei governi che ne traggono legittimità. E noi, dove siamo in questa situazione? Where’s Wally?
Negli ultimi anni, sempre di più, abbiamo accettato – spesso, troppo, nostro malgrado – di dedicare la vita al lavoro, alla carriera, al successo, alla competizione. Abbiamo dovuto lavorare qualche ora in più, purché questo ci facesse arrivare a fine mese o migliorare la carriera. Il nostro spazio doveva costruirsi solo individualmente e nel privato.
Abbiamo accettato l’idea che ad occuparsi delle scelte politiche fossero i politici, o ancora meglio, gli esperti! Abbiamo lasciato che i partiti e le istituzioni continuassero a staccarsi da noi, senza che questo fosse un nostro problema diretto. Il nostro spazio non aveva ragione di essere collettivo e pubblico.
Perché ormai affar nostro era lavorare per l’azienda, o sperare noi di aprire la nostra azienda. Affar altrui se il governo decideva una cosa o l’altra (pur lasciando spazio all’individuale ed al privato, sia chiaro).
Se scegliamo l’individualismo privato del mercato capitalista come nostro spazio esclusivo e primario di esistenza, togliamo risorse, identità, pensiero, affetto ed energia allo spazio pubblico e collettivo. Se accettiamo più lavoro, avremo meno possibilità di informarci, discutere, organizzarci, intervenire sulle scelte dei nostri leader: insomma, governare le nostre vite. Facendo così, lasciamo tutto in mano ai nostri politici, o ancora meglio, esperti. Ecco dove siamo noi, ecco dov’era Wally.
Ora, la guerra in Ucraina ci confonde e ci fa sentire impotenti perché non capiamo bene perché accade e come possiamo intervenire personalmente per risolverla. Non avendo avuto risorse da dedicare alla sfera pubblica, non ci siamo informati abbastanza da capire che è una guerra mossa da interessi privati del grande capitale; non avendo più costruito le nostre identità collettivamente, non ci siamo organizzati in modo da poter risolvere noi la guerra mobilitandoci insieme.
Per recuperare la nostra dimensione pubblica e collettiva, dobbiamo liberarci dalla morsa economica che viviamo privatamente come individui. La soluzione è quindi nella lotta per i diritti universali del lavoro e della cittadinanza.
Possiamo pretendere la diminuzione dell’orario di lavoro, il salario minimo, un reddito di base universale, la fine del lavoro gratuito e precario (stage, tirocinio, etc.), il diritto al riposo garantito a tutte e tutti, servizi pubblici di qualità ed universali (questa lista non è ovviamente esaustiva, ma prolegomenica di un pensiero alternativo).
Come? Espropriando i grandi capitali ai padroni che serviamo. Le risorse ci sono. Sarà difficile, sarà una lotta: ma meglio della guerra (che già risuona a poche ore di aereo da casa nostra).
Per fare cosa? Per non lasciare che i nostri politici, o meglio ancora esperti, scelgano come governare il mondo al nostro posto. Il tempo e le energie ci sarebbero. Sarà difficile, sarà una lotta: ma meglio della guerra (che già c’è altrove e che sicuro non è l’ultima).
Realizzare questi obiettivi significa superare il nostro corrente sistema capitalista. Questo tipo di soluzione è spesso tacciata sul nascere perché considerata utopia (con accezione negativa). “Perché un mondo alternativo non è pensabile”.
Certo che no, se, impegnati a lavorare extra o a preoccuparci solo di consumare, non abbiamo tempo, energie e risorse da impiegare ad immaginare e sperimentare alternative al nostro sistema – tantomeno per organizzarci a realizzarle! Viviamo in un circolo vizioso che ci fa credere che sia più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo, o che sia più facile immaginare la terza guerra mondiale che la fine della nostra schiavitù al capitale.
Chiedendo diritti, per tutte e tutti, romperemo questo circolo vizioso. Così avremo più spazio per noi. Così avremo più spazio per concepire un nuovo mondo – dove non siamo ricattati da tiranni e guerre.
Questo comporterà anche ripensare il nostro tempo libero, finora egemonizzato dal bisogno di consumare. Infatti, l’altra faccia del lavoro contemporaneo occidentale è il consumo: quando non lavoriamo abbiamo l’urgenza di consumare per sentirci partecipi al mondo ed alle sue esperienze, per sentirci autodeterminati e consolati.
Ma non deve essere necessariamente così: una spiaggia è bella anche se non si paga per un lettino per starci; un’esperienza vale uguale anche se non viene prezzata, o venduta (anche gratis). Quello che siamo non dipende da quello che consumiamo. Il mondo vissuto attraverso il consumo non è il migliore dei possibili.
Fino ad oggi, come cantava Battiato, il tempo libero è stato “Solo passeggiare sempre avanti e indietro lungo il Corso o in Galleria”.
In un mondo alternativo, potrà invece essere un momento per avere voglia di “di leggere o studiare” il mondo e le sue esperienze in senso etimologico: cioè di (legere=) raccogliere le esperienze ed (studium=) appassionarci al mondo.
Ma siamo ancora ben lontani da questo. Nel frattempo, viviamo in un mondo in cui i media ci raccontano che Putin è un pazzo ed è il solo responsabile della guerra. E che quindi noi cittadine e cittadini comuni possiamo fare poco per fermarlo: solo i nostri grandi leader possono occuparsene.
Putin, pazzo o no, non segue logiche estranee a quelle egemoni nel corrente sistema delle relazioni internazionali: le politiche economiche globali sono basate sull’aggressione, espropriazione, militarismo ed imperialismo. E non le ha create Putin da solo: sono costitutive del nostro sistema economico e costruite dai nostri stessi governi. Se domani Putin morisse, il sistema che ha permesso la guerra resterebbe.
Non ripetiamo l’errore del secolo scorso. Raccontare la Seconda Guerra Mondiale in buoni e cattivi e ridurla in “Hitler era pazzo” si è rivelato una bella scusa per continuare con le stesse politiche che portarono le due guerre mondiali. Inoltre, semplificare la politica raccontandola solo attraverso i leader (o tiranni) ci trae in inganno: ci fa pensare che nulla esista fuori dal loro potere. Ci fa dimenticare che esiste un popolo a reggerli.
Il potere di questi tiranni è derivato dalla nostra servitù volontaria. Non è necessario combatterli, né abbatterli. Si dissolvono da sé, purché noi non accettiamo di essergli asserviti.
Questo significa smettere di accettare l’idea che il progresso si realizzi con l’estensione del mercato capitalista e con l’incrementale coinvolgimento della nostra esistenza nei suoi schemi. Questo significa iniziare a capire che la lotta per i diritti del lavoro non è solo un interesse immediato di chi riceve più diritti ma una conditio sine qua non per una vera democrazia, che è nell’interesse del demos– il popolo- e, quindi, di tutti e tutte. Questo significa comprendere che la pretensione dei diritti deve essere universale, altrimenti non sufficiente: il salario minimo deve essere un diritto di tutti e tutte coloro che lavorano, l’università deve essere gratuita per tutti e tutte, la ricerca deve investire in tutti i campi del sapere, etc. Questo significa che una rinascita della mentalità sindacale è l’unico modo per ritrovare spazio di autonomia e libertà per tutti e tutte. Questo significa che il capitale e lo stato non cooperano solo quando creano le condizioni per fare guerre o estrarre profitto da esse; essi cooperano anche e soprattutto quando decidono che non serve tassare i miliardari, non serve aumentare i diritti del lavoro, non serve aumentare le spese pubbliche per sanità, educazione e trasporti.
Con meno trasporti pubblici, sono costretto a pagare l’auto, quindi ad accettare anche di lavorare di più. Con una sanità pubblica indebolita mi conviene andare dal privato, quindi a credere che la qualità di servizio sia maggiore nel mercato. Con l’università pubblica che neanche garantisce fondi sufficienti per la ricerca, le migliori menti se ne vanno a lavorare per i privati, spesso proprio per quelli che fanno profitto dalla guerra, piuttosto che studiare per il bene pubblico e magari darci una mano ad orientarci in momenti difficili come questo. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito.
In Russia c’è chi si fa arrestare pur di esprimere disobbedienza. Non sappiamo se questo basterà per fermare Putin. Intanto, in Ucraina la guerra continua.
In Italia siamo confusi e ci sentiamo impotenti. Sicuro non basterà per fermare questa guerra, le altre e le prossime. Intanto, le guerre.
Non siamo impotenti. La confusione che sentiamo è solo il frastuono del nostro potere che gettiamo via, ai piedi tiranni. Riprendiamolo, possiamo.
Federico Giovannini