Alla ricerca del post utile e interessante
“Le reti sociali sono una trappola”, sosteneva Zygmunt Bauman, considerando l’impatto che hanno nelle vite di chi li usa, perché “liquefano” i rapporti umani, ribaltando l’idea di comunità (reale) alla quale gli individui appartengono, in quella di una comunità (virtuale) che appartiene ai singoli individui. E così il conflitto, insito nelle relazioni intrapersonali, si manifesta in modo sempre più violento attraverso i mezzi della rete. Nella rete gli amici si aggiungono o si eliminano in sicurezza, senza esporsi eccessivamente alle conseguenze di queste azioni favorendo l’illusione del controllo sulle persone.
Insoddisfazione sociale e solitudine (“la grande minaccia in questi tempi di individualizzazione”), sembrano così superate o almeno alleviate.
Tutto ruota sempre di più attorno a noi, ma non in senso comunitario. Ognuno di noi è solo, con i propri social network, i propri smartphone, i propri device, ma la verità è che ognuno è immerso in un mondo, e migliaia di questi mondi transitano l’uno accanto all’altro.
Perciò, “il conflitto, l’antagonismo non è tra le classi, ma di ogni persona contro la società”.
I social network diventano le nuove arene dove si fronteggiano problematiche individualiste e sensazionaliste, avallate dalla modalità deresponsabilizzante della rete, che rende facile la rapida diffusione di notizie false e bufale sesquipedali.
Detto questo, e avendolo chiaro nella testa, sui social network si trovano anche riflessioni, informazioni, componimenti ed esposizioni di pensiero che meriterebbero una circolazione anche esterna ai social network.
In questa nuova rubrica, “Ravanando nei social network”, ben sapendo che quasi tutto dipenderà dal caso, proveremo a pubblicare quei post che per qualche motivo vogliamo condividere con le lettrici e i lettori di varieventuali. Che potranno inviare le loro segnalazioni scrivendo a [email protected]
Cominciamo ripubblicando qui alcuni post pubblicati su facebook di questi giorni
Da Muin Masri, 25 gennaio 2023
L’ospite inatteso
Avete presente il cugino sfigato, quello che passa tutto il suo tempo a piangere e a raccontare storie assurde come fanno gli ubriachi? Quello che non viene mai invitato né ai matrimoni né ai funerali perché la famiglia si vergogna di come è ridotto, sembra un mendicante, e nessuno vuole correre il rischio di rovinare la sua immagine davanti ad una platea così elegante, commossa, arrivata da ogni dove per portare la sincera vicinanza e testimonianza?
Ecco, il 27 gennaio di ogni anno io sono lo sfigato di turno, ma non sono ubriaco anzi.
Cugino, dolce cugino, ormai ho fatto la figuraccia di presentarmi alla tua ricorrenza senza invito e vestito non proprio a festa, non mi resta che dire quello che devo dire e fanculo pensiero, pazienza se sono ostinato e contrario, pazienza se posso arrecare disturbo a qualcuno, mi perdonerai per tanta veemenza, spero… sono già partito per l’inferno, ma il treno non arriva mai a destinazione, troppe fermate intermedie, troppi giornalisti e fotografi e troppe inutili commissioni di inchiesta. Il ponte Allenby sul Giordano è diventato casa mia e nessuno ha il coraggio di venire a liberarmi. Cugino, perché mi hai regalato il tuo pigiama a righe e il berretto di lana? Chi di noi due ha visto veramente la farfalla volare al dì là del campo profughi di Sabra e Chatila? Perché mi hai portato via l’acqua per annaffiare le tue bellissime rose nel deserto? Chi ha lasciato l’ulivo del padre a piangere la sua ombra?
Cugino, caro cugino, non tutti gli incontri della storia portano con sé il seme della fratellanza. Per alcuni la memoria è libertà e giustizia, per altri è una condanna. Ogni volta che celebri la tua Giornata della Memoria non dimenticare di chi è stato cacciato via dalla sua casa e ora vive all’incrocio della storia e raccoglie lacrime.
Da Lorenzo Tosa, 26 gennaio 2023
Sul mestiere dell’insegnante
Viola Ardone è un’insegnante napoletana, e, prima ancora, una delle migliori scrittrici della sua generazione. Se non la conoscete, partite da “Il treno dei bambini”, un capolavoro.
Ardone, sulle colonne della “Stampa”, è entrata con intelligenza e delicatezza sulla vicenda della professoressa di Rovigo impallinata, sulla scuola oggi e sul mestiere dell’insegnante, rimettendo tutti i punti al posto giusto.
“Tra noi docenti per dire che uno ci sa fare con i ragazzi usiamo quest’espressione: ‘Sa tenere la classe’. Chi sa tenere la classe è come un capitano scaltro che conosce i venti e regola le vele per portare ogni giorno di ogni quadrimestre di ogni anno la nave in porto, possibilmente con tutti i passeggeri a bordo (…)
Il fatto è che però governare la nave diventa sempre più difficile di anno in anno. Forse perché quella barca si sta facendo un po’ troppo affollata: non ci siamo solo noi e loro a condividere lo spazio e il tempo della lezione, ma anche altre presenze immateriali ma non per questo meno invadenti. Ci sono i genitori, ad esempio, che qualche volta si ergono a difensori strenui dei loro figli anche quando sono indifendibili. E poi i telefonini, che come moderne Sirene di Ulisse minano continuamente l’attenzione, confondono la rotta e rendono incerta la navigazione. E infine c’è una certa idea dell’insegnante che è quel povero diavolo pagato pochi spiccioli e che in cambio si gode tre mesi di vacanza e fa un lavoro che in fondo sapremmo fare tutti. Poco più di un bersaglio da tirassegno, messo nel baraccone che è la scuola a destreggiarsi tra le mille emergenze quotidiane per l’intrattenimento dei ragazzi.
E credo che, tra tutti, sia questo il colpo più doloroso. Quello di una professione sempre più misconosciuta, sempre più bersagliata, e non solamente dagli alunni”.
Era difficile dirlo meglio di così.
da Cultura Libera, ApertaMente, 30 gennaio 2023
Circa gli insulti di Erri De Luca
Su Internet è diffusa l’usanza dell’insulto. Senza arrivare alla calunnia e alla diffamazione, per le quali si procede con querela, è diventato normale trovare nei propri profili una sequenza di maledizioni anonime.
Naturalmente c’è il termine inglese pronto all’uso con la sua definizione che non definisce: haters. Con il verbo to hate, odiare, si classifica una serie assortita di interventi ostili.
L’odio resta per me un disturbo sentimentale che nuoce a chi lo nutre, senza provocare danno alcuno al destinatario.
Per ottenere un minimo di risultato l’insulto dovrebbe far ridere, mettere in ridicolo. Ma chi soffre del disordine emotivo dell’odio è incapace di ironia.
A Napoli un proverbio segnala perfino un beneficio: ”A cavallo iastemmato le luce ‘o pilo”, luccica il pelame del cavallo ingiuriato.
Mi capita di ricevere commenti ostili su qualunque argomento mi pronuncio. Provo a spiegare l’effetto su di me. Ho un’educazione napoletana che mi difende. Il suo termine non inglese e perciò preciso è strafottenza, dove il prefisso intensivo stra esprime il grado di invulnerabilità raggiunto dal mio sistema nervoso.
A chi mi insulta posso far sapere: ”che sta perdenn’ o tiempo e ‘a serenata”.
Malgrado la sua manifesta impotenza, il disturbato procede ugualmente con i suoi vani rancori. Usa il canale sociale come sfogatoio.
Ha l’impressione di liberarsi della sua pena, con effetto di chi si gratta la rogna aggravandola.
Risultato finale della sua azione sarà sempre e comunque di aggiungere importanza all’insultato, che sentitamente ringrazia.
Erri De Luca, 30 gennaio 2023