A Ivrea, l’andamento della raccolta differenziata è peggiorato negli ultimi mesi. Il problema si può affrontare rendendo più efficiente la gestione comunale dei rifiuti, ma solo se a questo si accompagna una necessaria riflessione collettiva sul contesto sistemico dei consumi e della produzione.
Siamo a casa: mangiamo a casa, lavoriamo a casa, ci svaghiamo a casa, ordiniamo prodotti che arrivano a casa. Secondo il principio di conservazione della massa, ciò che entra in casa prima o poi ne uscirà, in questo caso sotto forma di spazzatura: questo è il problema! Sembra, infatti, che negli ultimi tempi (almeno da aprile, stando ai dati forniti dalla SCS, la società canavesana addetta ai servizi di raccolta e igiene cittadina) a Ivrea sia emerso un problema con la raccolta differenziata. In breve, viene fatta male; più nello specifico, le indagini svolte sulla raccolta della plastica mettono in rilievo una percentuale di impurità tale da impedire, probabilmente, l’ottenimento del contributo mensile erogato ai comuni da COREPLA, il consorzio che si occupa della raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi di plastica. Attenzione alla parola “imballaggi”: di tutti i rifiuti di plastica, sarebbero questi i soli ad essere effettivamente riciclabili e, quindi, differenziabili. Nei bidoni della plastica andrebbe infatti gettato esclusivamente “ciò che è servito a contenere, proteggere e trasportare merci e prodotti”, privo di residui e adeguatamente pressato per ridurne il volume, come si può leggere sul sito della SCS. Sembra allora che il ragionamento naturale: “è fatto di plastica, quindi va nella plastica”, non possa applicarsi allo stato attuale della raccolta differenziata. Mettendo da parte le naturali perplessità (come mai non tutta la plastica viene riciclata? Perché gli impianti di riciclaggio e recupero non vengono aggiornati per trattare un maggior numero di rifiuti?), stupisce il constatare quante persone non siano effettivamente al corrente di questa limitazione. Il sito web della SCS è di facile consultazione e riporta numerose informazioni utili per attuare correttamente la raccolta differenziata: ma quanti tra i cittadini ne conoscono l’esistenza? E, soprattutto, il sistema di gestione e tassazione dei rifiuti nel nostro comune incoraggia davvero ad attuare correttamente la raccolta differenziata?
In realtà, è da tempo che Legambiente evidenzia le criticità dell’attuale sistema di tassazione dei rifiuti: a Ivrea si applica tutt’ora la tradizionale tassa sui rifiuti, conosciuta come TARI, che sulle utenze domestiche applica una quota fissa, calcolata sui costi del servizio e sui metri quadrati dell’immobile in questione, e una quota variabile in base al numero dei componenti del nucleo familiare. Il problema di questo sistema di tassazione è che non sottopone a reale controllo la quantità dei rifiuti effettivamente prodotta né, soprattutto, la qualità della differenziazione effettuata dai singoli nuclei familiari. La conseguenza è che il singolo cittadino fatica a sentirsi responsabilizzato e a sforzarsi di attuare una buona separazione dei rifiuti domestici: la tassa da pagare è fissa e non tiene in conto di atteggiamenti virtuosi o meno. Se si unisce questa realtà di fatto alla scarsa efficacia dell’informazione disponibile per i cittadini alle prese con la differenziata, non stupisce che si fatichi a mantenere un buon livello di qualità dei rifiuti prodotti e raccolti dal nostro comune. Al contrario, passare più tempo in casa significa produrre più rifiuti, e il generale stato di sfiducia e incertezza non incoraggia certo i cittadini a dedicare energie aggiuntive per il complesso processo di differenziazione. Perché, bisogna ammetterlo: differenziare è ormai, in parte, un’abitudine, ma spesso richiede attenzione, tempo ed energie che non sempre si è disposti a concedere se privi di una valida motivazione. I prodotti di cui ci si rifornisce quotidianamente presentano forme e materiali estremamente variegati; spesso, consultando una confezione, si nota con atterrimento che è necessario “smontarla”, pulirla o schiacciarla per garantirne il corretto smaltimento. Il mondo orientato al progresso sembra continuamente dire: vi renderemo la vita più facile! In realtà, molte delle “comodità” conquistate per il nostro stile di vita portano con sé livelli di complessità imprevisti, ed ecco che con un gesto spazientito si butta l’intera confezione nell’indifferenziato, scacciando i sensi di colpa ed entrando a far parte delle conseguenze disfunzionali di un sistema ricco di contraddizioni.
Un’alternativa, a quanto pare, esisterebbe, e contemplerebbe la sostituzione della tassa con una tariffa puntuale: questa, invece che basarsi su una suddivisione statistica per metri quadrati e numero di componenti di un determinato nucleo familiare, si applicherebbe all’effettiva quantità e qualità di rifiuti prodotti dai singoli utenti. Insieme con l’intensificazione della raccolta porta a porta, verrebbe fornito un cassonetto ad ogni utente, sulla cui frequenza di “svuotamento”, oltre che sul peso (o, nella versione semplificata, sul volume) complessivo dei rifiuti, si baserebbe il conteggio della tariffa. Con questo sistema – più complesso, ma certamente più efficace – risulterebbe più facile monitorare la qualità della differenziata collegandola ai singoli nuclei familiari. Dove si riscontrassero impurità, si potrebbe intervenire in modo efficace avvertendo o informando i singoli cittadini; in caso di recidive, sarebbe possibile applicare delle sanzioni. Infatti, ogni utenza verrebbe inserita in una banca dati attraverso cui il Comune potrebbe seguire l’andamento generale della raccolta differenziata e prendere i necessari provvedimenti più rapidamente e con più precisione. Come si può leggere sul sito del CSS, il consorzio dei servizi di Chieri, dove la tariffa puntuale è attualmente in vigore con successo:
La tariffa puntuale è un sistema di calcolo della tariffa rifiuti (TA.RI) legato alla reale produzione di rifiuti. Non si basa più solo sul metodo presuntivo e sul criterio dei metri quadrati dell’immobile, ma anche su quanti rifiuti sono prodotti e differenziati. L’utente paga per quanto rifiuto indifferenziato produce: quindi meno rifiuti indifferenziati produce, meno spende. Il metodo di rilevamento della quantità di rifiuti prodotti attraverso cui si calcola la tariffa dei rifiuti in maniera equa e trasparente, è reso possibile dalla misurazione dei conferimenti dei rifiuti indifferenziati che sono contati attraverso un sistema di lettura elettronico.
Ma questa proposta non è esente da critiche: quella più comune riguarda i costi di attuazione. È opinione diffusa, infatti, che il procedimento per passare dalla tassa alla tariffa puntale richiederebbe investimenti non indifferenti, perlopiù in supporti tecnologici adatti a supportare la banca dati e la quantificazione del peso (o volume) dei sacchetti, in cassonetti da distribuire alla cittadinanza, oltre che in personale addetto alle più intense operazioni di raccolta, monitoraggio e assistenza. Questo sarebbe il motivo per il quale solo pochissimi comuni italiani sono effettivamente passati alla tariffa puntuale. A queste osservazioni Legambiente ha dato risposta, facendo notare come il probabile innalzamento dei costi per attuare la tariffa verrebbero compensati da una più efficace – e dunque meno dispendiosa – gestione della differenziata: i cittadini la farebbero meglio poiché, allettati dalla prospettiva di una tariffa più economica, sarebbero incentivati a ridurre il volume dei propri rifiuti indifferenziati privilegiando una corretta separazione dei materiali; i rifiuti raccolti presenterebbero meno impurità e verrebbero riciclati e smaltiti in modo più efficiente, con il conseguente abbassamento dei costi di trattamento; non sono inoltre da ignorare i benefici ambientali che deriverebbero da una più efficiente gestione dei rifiuti e che in un’ottica preventiva eviterebbe spese future per compensare il degrado ambientale.
Ponendosi in questa prospettiva più ampia è utile ricordare che le percentuali di rifiuti differenziabili effettivamente riciclate sono piuttosto contenute.
Il problema del riciclo dei materiali post-utilizzo, e quindi la ragione per cui questo si può effettivamente attuare solo su percentuali contenute, è la presenza frequente di contaminanti e additivi, nonché la degradazione stessa degli scarti, che li rende irrecuperabili o di scarsa qualità una volta riciclati. A livello europeo, la percentuale di rifiuti riciclata o destinata al riuso o alla produzione di energia è del 54%; il resto viene depositato in discarica o incenerito senza recupero di energia. Anche se l’Italia si posiziona tra i paesi più virtuosi sul riciclo, la strada è ancora lunga per raggiungere gli obiettivi di quell’economia circolare tanto decantata dall’Unione Europea.
Sicuramente, investire in un sistema di gestione dei rifiuti più efficiente e flessibile è una base imprescindibile per affrontare il gigantesco problema degli scarti dell’attività umana; ma è doverosa, a mio parere, un’ulteriore riflessione. Mi pare, infatti, che nell’enfatizzare l’efficienza della tariffa a scapito della tassa, si corra il rischio di concentrarsi sui vantaggi sbagliati, o meno desiderabili in una prospettiva di cambiamento. Bisogna evitare che il monitoraggio dei rifiuti prodotti dalle singole utenze, reso possibile dal nuovo sistema che verrebbe introdotto con la tariffa, sfoci in una gestione simil-poliziesca tesa a individuare i “colpevoli” del cattivo andamento della raccolta differenziata. Porre l’accento sulle responsabilità individuali all’interno di un discorso su un problema sistemico come quello dei rifiuti è indice di miopia, se non di cattiva fede: il singolo cittadino, che ponga attenzione alla gestione dei propri rifiuti o meno, è parte di un sistema estremamente complesso in cui il rifiuto è al tempo stesso un problema cronico e un elemento imprescindibile per il funzionamento del sistema stesso. La società dei consumi in cui viviamo non contempla la possibilità di riuso, di conversione dell’oggetto ad altre funzioni e nemmeno, ormai, di riparazione: ci troviamo tra le mani oggetti progettati per rompersi dopo periodi di tempo determinati (fenomeno conosciuto come “obsolescenza programmata”, che inizia a provocare qualche guaio legale alle multinazionali) e la cui riparazione risulta spesso così gravosa e complessa che conviene direttamente comprarne altri.
La retorica in cui siamo immersi (pubblicità, campagne promozionali, influencers, social media, programmi politici orientati alla “crescita”) fa leva sulla fiducia nel progresso e sul desiderio di migliorare costantemente la qualità delle nostre vite attraverso l’acquisto di nuovi prodotti: il valore associato all’autoproduzione, all’autoriparazione, alla conservazione e alla frugalità è stato eroso a favore di un edonismo senza soddisfazione. Il modo stesso in cui le nostre fonti di approvvigionamento sono strutturate incoraggia lo scarto: le confezioni di plastica non necessarie, l’arsenale di sacchi, sacchetti e sacchettini in cui ogni oggetto viene avvolto, l’usa e getta, il monouso, tutto all’insegna della comodità, della convenienza e della rapidità.
Nonostante la cantilena anti-consumista sia ormai fastidiosa anche alle orecchie di chi ci crede, e nonostante questa debba accompagnarsi a un’analoga critica del sistema di produzione, entrambe sono tuttavia condizioni necessarie per una reale diminuzione dei rifiuti. Il riciclo e la trasformazione dei rifiuti in energia sono sicuramente modalità virtuose di recupero, ma non sono neutre in termini di risorse, energia e inquinamento: gli impianti di riciclaggio, riconversione e incenerimento vanno alimentati e mantenuti, e non sono rari i casi di malfunzionamento o di danni ambientali provocati da una gestione criminale di rifiuti potenzialmente tossici, soprattutto da parte delle industrie.
Se si vuole veramente avere una speranza di risolvere il problema dei rifiuti, il cambiamento deve essere sistemico: la responsabilità individuale si inserisce certamente in questo quadro, ma non come motore primario. Finché alle persone verrà detto che ciò che possono fare per migliorare il mondo è schiacciare una bottiglietta di plastica, o separare il tappo dal contenitore, riducendo un problema sistemico e complesso a una questione di buona condotta e responsabilità personali, il circolo vizioso in cui siamo invischiati e che sta causando una crisi ambientale irreversibile non si romperà.
Quindi, ben venga la tariffa puntuale, ma con la consapevolezza che il vero problema è a monte, e sta nella quantità eccessiva e nell’infima qualità dei nostri consumi.
Lara Barbara