La povertà non accenna a diminuire sul territorio e apprendiamo che a marzo sarà possibile inoltrare le prime domande per il Reddito di Cittadinanza. Ma l’attuale Reddito di Inclusione ha funzionato?
Brindisi e annunci trionfali dai balconi a parte, il Reddito di Cittadinanza sta per diventare una realtà e occorrerà capire come e se funzionerà. Il 4 febbraio, il Governo ha presentato al pubblico il nuovo sito ad hoc pensato appositamente per ricevere le richieste in maniera telematica. Sarà possibile fare domanda a partire dal 6 marzo e ciò significa che i Centri per l’Impiego, enti deputati a “gestirne” il funzionamento, avranno a disposizione un mese scarso per potersi riformare e riorganizzare.
Passato quindi il Carnevale, il tema arriverà sicuramente ad occupare le prime pagine dei giornali canavesani, a cominciare dallo stato dell’arte del Centro per l’Impiego eporediese. Al di là degli aspetti meramente funzionali e logistici, la domanda che molti si pongono è: quante persone toccherà la nuova misura di contrasto alla povertà sul nostro territorio?
Non esistono studi specifici sul tema, ma l’unica lente d’ingrandimento con la quale si può provare ad abbozzare uno studio sulla povertà eporediese è il Consorzio In.Re.Te d’Ivrea, che gestisce i Servizi Sociali di 51 comuni.
Monitorare la povertà: di quali numeri parliamo?
I dati relativi al 2018 non sono ancora disponibili, ma nel 2017 il Consorzio ha gestito 1321 contributi economici a famiglie, minori, disabili, anziani e persone a rischio emarginazione sociale, un valore in sensibile aumento rispetto all’anno precedente (erano state 1205). Ciò che invece conosciamo del 2018 riguarda il numero di domande relative al REI (Reddito di Inclusione), la misura di contrasto alla povertà voluta dai Governi Renzi e Gentiloni.
Al 30 novembre 2018 le domande pervenute sono state 634, delle quali 345 accolte, 196 respinte (la misura è sottoposta ad uno stretto controllo da parte dell’INPS) e altre ancora sospese. Delle domande accolte 288 provengono da famiglie italiane, mentre solo 25 da persone provenienti da paesi extra UE.
Quali progetti sono stati attivati dal ReI per far uscire le persone dalla povertà?
Il Reddito di Inclusione [ReI], al pari del Reddito di Cittadinanza [RdC], si compone di due parti: un beneficio economico, erogato mensilmente attraverso una carta di pagamento elettronica e un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa volto al superamento della condizione di povertà.
Lasciamo per un attimo da parte l’entità del beneficio economico del ReI. Per quanto riguarda i “progetti personalizzati”, il Consorzio In.Re.Te. ha predisposto l’attivazione di 246 percorsi; è importante capire di che tipo di progetti stiamo parlando, in quanto il vero banco di prova di una misura di contrasto alla povertà non può consistere nell’ammontare di denaro che lo Stato è in grado di fornire ai cittadini (se si limitasse a questo, sarebbe mero assistenzialismo) quanto nella capacità che quella misura raggiunga l’obiettivo prefissato: far uscire le persone dalla condizione di povertà e renderle autonome. E quindi, di quali progetti parliamo?
Dei 246 percorsi attivati o in fase di attivazione la maggior parte riguardano: buoni servizio lavoro, tirocini attivati direttamente dai servizi sociali, bandi di Garanzia Giovani, bandi di Servizio Civile, sostegno a progetti di auto-imprenditorialità o progetti di varia natura come, ad esempio, il crowdfounding della Premiata Ditta Giribaldi della Fondazione di Comunità del Canavese. In alcune casi, in presenza di famiglie con minori a carico, il progetto ha previsto un percorso di formazione, sia per bambini e ragazzi che per adulti non in possesso della licenza media. Oppure, in caso di migranti, percorsi di formazione legati allo studio della lingua. Talvolta l’accompagnamento ha significato aiutare a prendere la patente o, in qualche caso, stimolare la cura di sé, una carenza che i servizi sociali hanno riscontrato in quelle persone ormai rassegnate all’idea di non poter migliorare la loro condizione.
Il Reddito di Inclusione ha fallito?
Se il banco di prova di una misura di contrasto alla povertà consiste, appunto, nel contrastare la povertà e reinserire le persone nel mondo del lavoro allora il giudizio sul Reddito di Inclusione non può che essere uno solo: il ReI ha fallito.
Un fallimento che non risiede tanto nel misero contributo economico erogato (187 € mensili a persona fino ad un massimo di 539 € per famiglie con sei o più componenti), quanto nella capacità di organizzare una politica attiva del lavoro funzionante. Inserire le persone all’interno di tirocini, buoni servizi lavoro, Garanzia Giovani o Servizio Civile può senz’altro rivelarsi una misura performante e propedeutica per la crescita individuale e professionale nel breve periodo, ma inefficace e inadatta a generare una stabilità duratura nella vita lavorativa di una persona. Detto in altri termini: sei mesi di tirocinio o un anno di servizio civile non sono sufficienti. Si può certamente guardare il bicchiere mezzo pieno e pensare che queste attività porterano poi ad altre opportunità e via discorrendo, ma chi è pratico di Centri per l’Impiego o Agenzie per il Lavoro sa perfettamente che ad un tirocinio o ad uno stage, tendenzialmente, seguirà un altro tirocinio o stage: e ciò, ben lungi dall’essere una misura di contrasto alla povertà, finisce con l’alimentare il lavoro povero o precario che dir si voglia.
C’è, tuttavia, da sottolineare come questo territorio soffra di una depressione del mercato di lavoro che non sembra avere eguali su tutto il territorio piemontese, come emerge dai dati dei vari Centri per l’Impiego relativi al 2018; uno scenario che potrebbe inficiare negativamente anche sul futuro Reddito di Cittadinanza, per lo meno per quanto riguarda il bacino eporediese.
Il ReI è quindi tutto da buttare?
Assolutamente no. Se nell’aspetto politico (da intendersi come politica sociale) il fallimento appare evidente, nell’aspetto pratico e logistico il Reddito di Inclusione ha maturato un sapere e delle conoscenze di cui il Reddito di Cittadinanza appare pericolosamente scarno.
Parlando con la presidente del Consorzio Ellade Peller e con la dott.ssa Maria Grazia Binda (Responsabile Area Inclusione e Reti Territoriali) ciò che emerge è che dopo anni di sperimentazione c’è oggi la consapevolezza del fatto che per molte persone non è sufficiente fornire loro un’occupazione: «per una buona parte della platea di persone con le quali trattiamo quotidianamente il fatto di non avere un lavoro è conseguenza di altri problemi»; problemi che spaziano da fattori psicologici ed emotivi (demoralizzazione, timore di affrontare nuove spese) a questioni di natura organizzativa (conciliazione del tempo di lavoro e del tempo della cura domestica o dei bambini, soprattutto per le mamme). I Centri per l’Impiego sono preparati ad affrontare questi e altri generi di situazioni? La stessa Peller si domanda: «con il Reddito di Cittadinanza l’accompagnamento chi lo farà? Abbiamo portato alla Regione il tema e chiesto che venisse salvaguardato il lavoro dei servizi sociali che, tra l’altro, hanno già visto implementare il personale per far fronte al ReI».
Con l’entrata in vigore del Reddito di Cittadinanza il ReI verrà presto dismesso, ma di questi anni di sperimentazione sarebbe sciocco “buttare il bambino con l’acqua sporca” e vista la somiglianza concettuale che esiste tra le due misure di contrasto alla povertà è del tutto plausibile immaginare uno sforzo di conciliazione tra le due misure, politica permettendo.
Andrea Bertolino