Dopo decenni di tentativi per arrivare ad una decisione, in una accesa e non facile assemblea della Conferenza dei sindaci dell’AslTO4, venerdì 28 luglio è stata deliberata la scelta dell’area ex-Montefibre per la costruzione del nuovo ospedale del territorio. Anche il Consiglio regionale ha dato voto favorevole.
Su un punto si è da sempre tutti d’accordo: l’ospedale di Ivrea va spostato. Dimostra da tempo i suoi limiti, soprattutto legati alla superfice ridotta, un’unica e stretta via di accesso e alla mancanza di parcheggi. Ha 76 anni e li dimostra tutti. Fu inaugurato nel 1956. La Sentinella del Canavese nell’edizione del 9 novembre 1956 in prima pagina titolava a caratteri cubitali: “Cinque anni di generose sottoscrizioni hanno reso possibile l’imponente realizzazione. Ivrea e il Canavese hanno festeggiato domenica 4 novembre l’inaugurazione del più moderno ospedale d’Italia”. La cerimonia si svolse sulla piazza della Credenza alla presenza di una grande folla e del sindaco Adriano Olivetti.
Nononstante gli evidenti limiti e disagi per gli utenti e gli operatori sanitari, il territorio finora non era mai riuscito a trovare una sintesi per identificare una nuova collocazione, e la Regione non ha mai aiutato, con il risultato, ogni volta che se ne riparlava, di un nulla di fatto. Per questo la decisione presa il 28 luglio alla Conferenza dei Sindaci dell’AslTO4 può definirsi fatto epocale: l’ospedale sorgerà nell’area dell’ex-Montefibre a Ivrea (han votato a favore 72 sindaci, 58 contro).
Una decisione tutt’altro che facile, con una discussione dai toni molto accesi e interventi duri dei sindaci contrari a Montefibre (soprattutto dell’area Omogenea 8 Canavese Occidentale) sostenitori della collocazione nell’area cosiddetta “Ribes” nel comune di Pavone Canavese.
Una cinquantina di sindaci di questa parte di Canavese martedì 25 luglio hanno anche fatto un presidio di protesta davanti al Consiglio Regionale. Sui loro cartelli si leggeva “L’ospedale è del Canavese non di Ivrea”. Forse dimenticando che sono 76 anni che l’ospedale di Ivrea si prende cura di un ampio territorio del Canavese e della Bassa Valle d’Aosta e così sarà nel futuro. Ad ogni modo la giunta Cirio non volendo prendere decisioni impopolari a pochi mesi dalle elezioni regionali ha fatto il Ponzio Pilato delegando totalmente la decisione alla Conferenza dei sindaci.
L’area Montefibre era già stata indicata come idonea dalla stessa Conferenza dei sindaci nel 2009 con il supporto di uno studio del Politecnico di Torino. Nel 2020 una commissione di 16 sindaci allo stesso modo indentificò l’area Montefibre come sito ideale. Nel 2022 più di un centinaio di medici dell’Asl e di famiglia si espressero a favore della stessa area. La strada sembrava ormai in discesa verso via Ginzburg, quando alcuni sindaci inviarono all’assessore regionale la candidatura dell’area Ribes nel comune di Pavone Canavese. La Regione commissionò quindi uno studio all’Istituto Ires Piemonte per confrontare le due aree. Un primo studio dava in vantaggio Ribes mentre, con l’inserimento del casello di San Bernardo nel progetto Montefibre, il risultato si è ribaltato a favore di Montefibre.
Sì a Montefribre dalla giunta e dal consiglio regionale
Con tutte le divisioni e aspre discussioni si è dunque e comunque arrivati ad una decisione, approvata prima dalla Giunta Regionale e a seguire anche dal Consiglio regionale nella seduta di ieri. La votazione in consiglio ha evidenziato una maggioranza divisa, con Fratelli d’Italia usciti al momento del voto, la Lega che ha votato a favore (ad esclusione del consigliere Claudio Leone di Rivarolo), Forza Italia che ha lasciato “libertà di coscienza” (?), solo Mauro Fava ha votato contro. Risulta evidente che nella maggioranza avrebbero preferito non dover votare su una questione che vede i territori divisi a meno di un anno dal rinnovo del consiglio comunale. La minoranza tutta si è astenuta, ma ha garantito la presenza. Inaccettabile la reazione del coordinatore provinciale dei Fratelli d’Italia, Fabrizio Bertot, che dichiara, come leggiamo su La Voce “se il prossimo risultato elettorale ci darà ragione rispetto ai nostri alleati e rispetto al PD, è evidente che, nei margini di manovra consentiti dalle leggi e dalle opportunità finanziarie del momento, la collocazione sarà sicuramente rivalutata…”. Una dichiarazione irresponsabile dalla quale non possiamo che auspicare prendano la distanza i sindaci e i territori ai quali lui strizza un occhio elettorale. Finalmente dopo decenni di discussioni un’area è stata scelta, tutto il territorio compatto ora deve lavorare affinché l’iter prosegua agilmente per dare finalmente un nuovo ospedale a tutto il territorio di questa parte di Canavese.
La notizia è che una decisione è stata presa, pur con tutti i contrasti ancora aperti. Andiamo avanti.
Le due aree arrivate in finale presentavano entrambe pro e contro, anche se alcuni lo negano. Nessuna delle due è ideale al 100% per tutti gli utenti e territori e tutti gli aspetti da considerare. Se avesse prevalso l’area Ribes, i territori più vicini a Ivrea, inclusi i comuni della bassa Valle d’Aosta, avrebbero ugualmente protestato. E dire che parliamo di due aree distanti pochi chilometri l’una dall’altra, anche se con una cittadina in mezzo.
Da un lato l’area Ribes ha il favore di essere uno spazio molto ampio, con possibilità di espansione del fabbricato, che non necessita di bonifiche, essendo terreno agricolo, ed è certo più accessibile per gli utenti dell’Alto Canavese.
Dall’altro lato l’area ex-Montefibre è in un contesto già urbanizzato (che vuol dire non dover installare rete elettrica, idraulica, telematica, fognaria), vicino al capolinea dei bus e alla stazione ferroviaria, al Poliambulatorio, alla sede di Infermieristica, ad attività commerciali (sempre utili a chi lavora o visita un proprio caro in ospedale).
Per contro, scegliere l’area Ribes voleva dire lavori di urbanizzazione e cancellare ancora una volta dei campi. Pronta era infatti arrivata la contrarietà di Coldiretti che chiedeva che non venisse consumato nuovo terreno agricolo per costruire l’ospedale: “non possiamo permettere che, ancora una volta, i campi fertili siano considerati soltanto come superfici libere e non come i luoghi della produzione del cibo“, scrivevano nel novembre scorso in un loro comunicato.
E scegliere Monfefibre voleva dire rischio di congestione del traffico, tanto da richiedere un nuovo casello (ma del quale ad onor del vero si parla da tempo per alleggerire il traffico cittadino), avere sì a disposizione spazio più che adeguato alle necessità di costruzione, ma certo con meno possibilità espansive.
Non facciamoci distrarre dal nuovo ospedale
Le accese discussioni sulla collocazione del nuovo ospedale non devono distrarre dai problemi presenti: l’ospedale attuale dovrà funzionare ancora per molti anni, vi è quindi l’urgenza di adeguare la struttura affinché personale e degenti possano viverlo dignitosamente (indegna la soluzione dei ventilatori per contrastare l’afa). In parallelo si devono potenziare le strutture esistenti di Castellamonte e Cuorgné, in quest’ultimo ospedale deve riaprire immediatamente il Pronto Soccorso. Le liste di attesa sono una lotteria: quando va bene per alcune specialità si aspetta mesi e mesi, quando va male nemmeno si ha visibilità, e se si ha urgenza, se ce lo si può permettertere ci si rivolge al privato, altrimenti si rinuncia a curarsi. E in questa direzione, responsabilmente guarda al presente il territorio. Ieri si è tenuto un consiglio comunale aperto a Cuorgné, dove è sorto un Comitato in difesa della sanità pubblica alto Canavese, proprio per ribadire la necessità del potenziamento dell’ospedale e della immediata riapertura del Pronto Soccorso.
Il dibattito sul nuovo ospedale distrae anche dalle spudorate manovre privatiste della giunta Cirio. E’ notizia di questi giorni che l’assessore Icardi si sia detto favorevole e pronto a valutare l’offerta di gestione dei servizi di emergenza e urgenza arrivata dalla sanità privata, per decongestionare i Pronto Soccorso. E perché i pronto soccorso sono congestionati? Forse perché si sono tagliati da tempo i servizi territoriali e quindi si riversano nei PS anche persone, in particolare anziani e cronici, che potrebbero invece poter superare molte delle emergenze a casa con le strutture adeguate? Forse perché sono stati tagliati gli operatori e il turn-over non viene coperto? E’ in atto una lenta, ma continua distruzione della sanità pubblica, che pure a denti stretti lavora professionalmente e universalmente con tantissime eccellenze, per arricchire le casse delle cliniche e strutture private.
Contro questo stato di cose dovrebbero protestate e mobilitarsi i sindaci e indignarsi e mobilitarsi le cittadine e i cittadini, prima che sia troppo tardi. Prima che la salute diventi un lusso per pochi.
Cadigia Perini