«Senza un piano strategico nazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza non c’è possibilità di rimuovere le disuguaglianze», sostiene in questa intervista Andrea Morniroli, “eporediese inviato a Napoli” nominato qualche settimana fa in un Comitato Tecnico che affianca il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi
Quale incarico ricopri all’interno del Ministero dell’Istruzione?
Sono stato nominato, a titolo gratuito, su indicazione del ministro Bianchi, in un “Comitato Tecnico con lo scopo di analizzare le problematiche connesse ai tempi e ai luoghi degli apprendimenti, sia da una prospettiva generale, sia in relazione alle esigenze poste dalla pandemia”. Questo il nome ufficiale. Dopo di che l’idea è quella di avere un gruppo di supporto tecnico incastonato nel Ministero che di volta in volta supporti le attività del Ministro sulle diverse questioni.
Di cosa vi state occupando in questo momento?
Stiamo lavorando per la costruzione di una proposta di attività ponte per l’estate, mirata al recupero della socialità e degli apprendimenti, con attività che non sono quelle della riproposizione di lezioni e interrogazioni. Intanto cominciamo a ragionare sulla costruzione di un piano nazionale di contrasto alla povertà educativa.
Del gruppo fanno parte anche Franco Lorenzoni, che sicuramente conoscerete, due dirigenti scolastici (uno di Bergamo e uno di Palermo), e Maria Grazia Riva della Bicocca di Milano. Il gruppo dovrebbe lavorare allargando di volta in volta il confronto con altre esperienze e competenze a seconda dei temi. Cosa buona è che ai lavori del Comitato partecipano i Capi Dipartimento del Ministero, senza i quali, come è noto, non si muove foglia a prescindere dal ministro.
Mi hanno chiamato per la mia esperienza sul contrasto dell’abbandono scolastico e del fallimento formativo, per il lavoro in questo ambito fatto negli ultimi 10 anni con la Cooperativa Dedalus, come referente per lo staff dell’assessorato Scuola e Istruzione del Comune di Napoli e come coordinatore del gruppo Educazione del Forum Diversità Disuguaglianze.
Io penso che l’alternanza scuola lavoro abbia avallato un’idea “confindustriale” della scuola come addestramento di forza lavoro. Ti risulta che questo governo abbia intenzione di confermarla?
Sul tema dell’alternanza scuola e lavoro il mio giudizio coincide con il tuo, non tanto nell’idea di fondo quanto per i modi con cui è stata proposta e realizzata. Rimane il problema della riforma dei tecnici professionali, sui quali si è investito male e poco. Istituti che troppo spesso diventano il parcheggio delle carriere scolastiche fragili, in una sorta di dispersione implicita (non narrata e accettata) che alla fine produce o l’abbandono (appena superata dell’età dell’obbligo), oppure, anche nei casi in cui la secondaria di secondo grado viene conclusa, ragazze e ragazzi che escono senza le competenze necessarie non solo per trovare facilmente lavoro ma nemmeno per esercitare fino in fondo i propri diritti di cittadinanza.
Certo, alcuni tecnici e professionali sono eccellenze, ma sono pochi, e pochissimi sono quelli nel Mezzogiorno.
E’ però previsto un percorso di orientamento verso gli studi superiori.
Questo rimane uno dei grandi buchi neri del sistema educativo: spesso limitato a un solo incontro spot degli istituti superiori nell’ultimo anno della media; scarsa formazione dei docenti e assenza di figure dedicate; scarso coinvolgimento delle famiglie; mancanza di un accompagnamento consapevole delle ragazze e dei ragazzi fin dai primi anni di scuola.
Alla fine è una profezia che si auto-avvera. Alcune ricerche ci dicono che a parità di risultato all’uscita dalla terza media tra i figli delle famiglie medio borghesi e agiate 70 alunni su 100 scelgono i licei. Tra le famiglie più povere, sono soltanto 20 i figli e le figlie che si iscrivono ai licei. Sei povero e quindi non puoi permetterti di fare il classico.
Nell’ambito della tua attività di lotta alla dispersione scolastica, può avere un’efficacia il rapporto tra scuola e mondo del lavoro?
Dipende sempre da come viene costruito e governato tale processo. Se a prevalere sono le esigenze delle sole aziende, oppure se tali esigenze mediano e riconoscono la necessità di stare in equilibrio con quelle dei soggetti e delle comunità. In alcuni casi abbiamo costruito delle alleanze con le imprese del territorio che nello scambio e nel reciproco riconoscimento producono, pur in un contesto di mercato del lavoro fragile come quello del Mezzogiorno e della Campania, buoni risultati in termini di inserimento lavorativo in uscita dalla scuola. Il problema, come su molti altri settori, è il livello di autorevolezza del governo pubblico.
Non sei d’accordo che questo possa consolidare il classismo (licei / tecnici e professionali) di un’istruzione che un tempo pensavamo dovesse contribuire ad abbattere le barriere sociali?
Appunto, dipende da come viene realizzata e se in ogni scuola o percorso formativo viene data possibilità di formazione anche sulle materie umanistiche e sulla cultura generale, se le scuole tecniche e professionali diventano occasioni appetibili perché qualificanti non solo dal punto di vista tecnico.
Oggi sui territori esperienze molto belle di civismo attivo, rigenerazione dei luoghi, aggregazioni di comunità responsabile arrivano da ragazzi e ragazze che hanno saputo mettere a sistema competenze tecniche e in alcuni territori ci sono percorsi formativi di carattere tecnico che sono molto più attrattivi per qualità educativa e per gli sbocchi che aprono dei percorsi dei licei.
Un po’ come negli anni ‘70 a Torino quando, in alcune scuole di periferia che venivano abbandonate dai “benestanti” per l’arrivo massiccio dei figli degli immigrati meridionali, il Comune decise di fare i maggiori investimenti in termini di risorse e innovazione, trasformando in poco tempo quelle scuole nelle migliori della città, rendendole appetibili per tutte e tutti, aumentando le iscrizioni non solo in termini di ritorno di chi era “fuggito” ma anche da altre zone della città.
Qual è stato nell’ultimo anno l’impatto della Didattica a Distanza (dad) tra gli studenti in difficoltà economico-sociali?
Devastante. Infatti, nonostante in alcuni casi i docenti (da soli o con civismo attivo) abbiano messo in campo straordinari sforzi per usarla in modo nuovo e non trasmissivo, la dad ha impattato in modo duro sulle carriere scolastiche già fragili o a rischio di abbandono prima della crisi. E non bastano la connessione e i tablet (che rimangono un problema perché in alcuni casi non ci sono o c’è un solo pc per quattro fratelli), perché in tanti casi non c’erano gli spazi idonei. Non c’era un adulto di riferimento che accompagnasse i bambini e le bambine a seguire le lezioni, oppure – come nel caso degli alunni con background migratorio nuovi arrivati – la dad ha reso complicatissimo seguire le lezioni.
La pandemia non ha inventato nulla: povertà educativa, abbandono, fallimento formativo c’erano già prima. Già prima spesso la scuola faceva fatica a tenere dentro chi faceva più fatica; già prima, a 50 anni da Don Milani, il principale problema della scuola era quello relativo ai ragazzi e alle ragazze che si perdono. La pandemia ha evidenziato, addensato, aggravato quello che c’era prima, come ha fatto con povertà e disuguaglianze.
E quindi adesso?
E allora da qui occorre ripartire con azioni sul qui e ora, in grado di attivare attorno alla scuola patti educativi che coinvolgano tutti gli attori della comunità locale che, direttamente o indirettamente, possono incidere sul contrasto alla povertà educativa. Povertà materiale e culturale sono strettamente connesse (causa) alla povertà educativa. La povertà educativa è un prodotto di molti fattori che, per essere affrontato ha bisogno di risposte multiple e coordinate: risposte che vedono sì la scuola rimanere al centro, soggetto primo e indispensabile, ma allo stesso tempo non sufficiente.
Intervenire è questione prioritaria per il Paese. Senza un piano strategico nazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza non c’è possibilità di rimuovere le disuguaglianze.
1.340.000 bambine e bambini in povertà assoluta. 2.500.000 minori in povertà relativa. La dispersione scolastica che, dall’anno scolastico 2017/18, per la prima volta dal dopoguerra è tornata a crescere. Una copertura di servizi 0-6 – in primis nidi – che va dal 28% del Trentino al 2,2% della Calabria e al 4,8% della Campania, sono indicatori insopportabili per ogni Paese che si definisca civile. Ci vuole subito un’inversione di tendenza. In considerazione dell’enorme debito economico, sociale e ambientale che stiamo lasciando sulle spalle dei nostri figli e delle nostre figlie non investire prioritariamente su educazione, scuole e più in generale sulla promozione dei diritti dei minori farebbe dell’Italia non solo uno dei Paesi più vecchi al mondo ma anche uno tra i più egoisti.
Tutti ottimi propositi e riferimenti a buone pratiche diffuse sul territorio. Ma quante probabilità hanno di affermarsi e produrre risultati apprezzabili con un governo guidato da un “uomo di banca”, che si presenta come tecnocratico ed è certamente liberista? Non hai la preoccupazione di contribuire a rappresentare la “foglia di fico” di un progetto che ha ben altri obbiettivi?
Questo governo è un governo con forti spinte di destra e neo-liberiste. Poi è un governo che non ha opposizione e dove dentro c’è tutto e il contrario di tutto. In questa cornice, aldilà della stima per Bianchi, la collaborazione nel comitato, per altro a titolo gratuito, può servire non solo a ridurre i danni, ma anche a provare a orientare in positivo le politiche sulla scuola e sull’educazione. Sulle probabilità di riuscire non so dire. Troppo presto. Certo la mia presenza nel comitato non impedisce a me o al Forum DD con cui lavoro di essere autonomo nella critica come nella denuncia.
a cura di is
Per approfondire consigliamo la visione dell’intervista che Reginaldo Palermo dell’Associazione Gessetti Colorati ha fatto ad Andrea Morniroli su: “Patti educativi di comunità e superamento della didattica trasmissiva per la scuola post-pandemia“.