Dopo denunce e controdenunce fra Graziano Cimadom, ex patron di Manital, e Giuseppe Incarnato della IGI Investimenti che nell’ottobre 2019 comprò le quote Manital, le indagini della Guardia di Finanza scoperchiano una maxi evasione tributaria che porta al sequestro di 29 milioni di euro tra beni mobili, immobili, conti correnti. E nel frattempo l’azienda è in procedura concorsuale e migliaia di lavoratori aspettano ancora stipendi mai pagati.
La crisi Manital, nell’aria già da qualche tempo, esplode nel luglio 2019 quando iniziano le prime mobilitazioni dei lavoratori che non ricevevano più gli stipendi regolarmente. Le principali manifestazioni furono organizzate a Ivrea davanti alla sede legale dell’azienda in via Di Vittorio. Manital contava al tempo 1.500 dipendenti ad Ivrea e diecimila in tutta Italia, era vincitrice di appalti pubblici nazionali e aveva a portafoglio grandi aziende private. Eppure da qualche anno si sentivano preoccupanti scricchiolii che facevano a presagire un crollo imminente. Dalla maxi-multa dell’antitrust per aver fatto cartello con altre società per spartirsi il mega-appalto Consip FM4 del valore di 2,7 miliardi di euro, al faraonico investimento (meglio dire salasso di risorse finanziarie) per l’ambizioso quanto inopportuno acquisto e soprattutto ristrutturazione del Castello di Parella. Ristrutturazione mai finita, operai della MGC (azienda del gruppo) non pagati e intero castello e terreni oggi abbandonati. Un progetto che Cimadom dichiarava avrebbe generato nel 2019 un fatturato intorno ai 17 milioni di euro e che aveva ricevuto la benedizione di Slow Food per “il legame con la filosofia di Adriano Olivetti, che rimane uno dei punti fermi per la visionarietà e per il concetto di impresa civile e sociale“. Che abbaglio quel castello! Infatti il crollo è puntualmente arrivato proprio durante l’estate 2019 e Cimadom tenta l’ultima carta della vendita per restare a galla. Il presidente decide quindi di vendere al fondo IGI Investiment di Giuseppe Incarnato che acquisisce le quote Manital il 16 ottobre 2019, portando a garanzia 50 milioni sui quali in molti dubitavano. E’ storia nota che la vendita non ha cambiato le sorti dell’azienda, tutt’altro. Sono bastati pochi giorni ai lavoratori per capire che si era davanti al solito “falso imprenditore”. Eppure al tempo Cimadom dichiarò che IGI Investimenti Group era “il miglior interlocutore viste le consolidate competenze di gestione nel rilancio e ristrutturazione di aziende” e che con Giuseppe Incarnato “si è creato da subito una sintonia di vedute basate sulla reciproca concretezza e maturità imprenditoriale necessarie per gestire anche l’attuale delicata fase“. Tempo due mesi la luna di miele finisce e partono le reciproche querele per truffa.
Piazza pulita in Manital: sembra una farsa, ma è tragedia
Le indagini della Guardia di Finanza di Torino su ordine della Procura di Ivrea partono parallele con il sequestro di documenti nella sede di Manital a Ivrea e in quella romana della Semitechgroup di Incarnato a seguito delle denunce incrociate di fine 2019 da parte dei due ex manager di Manital Incarnato e Cimadom. Il primo accusa il secondo di avergli nascosto la vera situazione dei conti aziendali, il secondo accusa il primo di non essere quel gruppo solido che millantava essere. Sembra una farsa, ma è tragedia.
L’operazione Piazza pulita ha sollevato dubbi su alcune vendite, inclusa quella della società, e soprattutto ha fatto emergere reati tributari da parte degli ex manager. Sarebbero stati omessi oltre 25 milioni di euro di versamenti al fisco e compensati 4 milioni di crediti di imposta inesistenti tra il 2016 e il 2019. L’azienda non avrebbe versato le imposte trattenute sugli stipendi dei dipendenti (per 25 milioni), e avrebbe vantato crediti inesistenti con l’erario come quelli pretesi per attività di ricerca e sviluppo mai svolte nel periodo 2018-2019 (per 3,5 milioni) e per il compenso del cosiddetto “bonus Renzi” di 80 euro non versato ai dipendenti (per 650 mila euro).
«È un grosso dispiacere per il territorio. Penso ai dipendenti che in questi anni sono stati danneggiati da imprenditori che si sono comportati come dei predatori», dichiara l’ex-sindaco Carlo Della Pepa riferendosi in particolare all’ultima gestione e ai più recenti anni di Manital dove alcune scelte che si possono definire azzardate hanno fortemente danneggiato la tenuta dell’azienda che pure aveva creato sviluppo e occupazione nel territorio.
E’ così che si arricchiscono i “prenditori” di tutti i tempi. E le ricchezze accumulate dagli ex rappresentanti legali di Manital sono consistenti. A differenza di altri casi, ricordiamo uno su tutti quello del crack di Agile-Eutelia dove i bancarottieri sono riusciti a risultare quasi nullatenenti, nel caso Manital la finanza è riuscita a sequestrare beni per 29 milioni. Di cui 18 all’eporediese Cimadom tra immobili, terreni, moto sportive, conti correnti (una cinquantina, anche all’estero) e 11 ad Incarnato che una volta acquisita Manital evidentemente ha portato avanti la stessa linea e “strategia” aziendale tanto da far dichiarare agli inquirenti che i fatti contestati agli indagati erano connotati da “serialità e persistenza“.
L’amministrazione straordinaria
In questo contesto era ineluttabile, anzi auspicata dai lavoratori, la dichiarazione d’insolvenza sancita a febbraio dal Tribunale di Torino che ha riscontrato “una situazione allarmante di pagamenti ai lavoratori e contabilità generale fermi al settembre 2019 oltre al blocco dei conti correnti bancari per via dei pignoramenti richiesti da centinaia di creditori”.
Oggi la Manital in a.s. (amministrazione straordinaria) è gestita da tre commissari nominati dal ministero dello sviluppo economico. Il loro compito è quello di analizzare lo stato passivo e recuperare quanto più possibile per pagare i creditori di Manital, primi fra tutti le lavoratrici e i lavoratori che ancora aspettano il pagamento di diverse mensilità. L’auspicio di tutti è che i beni sequestrati possano entrare fra le disponibilità di Manital in a.s. per colmare debiti e passività.
Per i lavoratori oltre che il compimento di un diritto, sarebbe un’iniezione vitale in questo momento critico. Molti di loro non sono più in Manital, chi lavorava in appalto è stato assorbito dalle aziende e cooperative che hanno vinto le nuove gare con effetti sulle condizioni di lavoro anche disastrosi, è il caso dell’appalto di pulizia dell’Inps del Piemonte, altri si sono licenziati anche senza un nuovo lavoro per poter attivare le ingiunzioni di pagamento per gli stipendi non ricevuti, qualcuno ha trovato una nuova occupazione (pochi). E chi è ancora in Manital, nella sede di Ivrea sono rimasti circa 40, vive in apprensione, un po’ di cassa integrazione, un po’ di smart working, senza visibilità sul futuro, ma con la consapevolezza che nulla di buono si prospetta all’orizzonte. La notizia del sequestro l’han vissuta come un primo passo verso una svolta di giustizia, che purtroppo – come spesso accade – è ottenibile solo nelle aule di tribunale, quando ormai il lavoro è distrutto.
«Questi sequestri gettano una luce ancor più sinistra sulla gestione di Manital: se le accuse saranno provate, siamo in presenza di malfattori senza scrupoli, che hanno fatto affari sulla pelle di lavoratori e fornitori. Speriamo che le risorse recuperate con i sequestri possano servire a rifondere almeno in parte le migliaia di creditori. Occorre inoltre che i commissari dicano se l’azienda può avere un futuro. Anche se gran parte degli appalti sono stai ormai persi e le migliaia di lavoratori sono ridotti a 5-600, di cui una quarantina ad Ivrea.», dichiara Federico Bellono, segretario Cgil Torino.
Riflessioni esistenziali a margine
È difficile da capire, se non si vuole liquidare il tutto come banale cupidigia, cosa possa aver spinto un personaggio baciato da una certa fortuna (e tra i primi a beneficiare dello “spezzatino Olivetti”), già vice-sindaco eporediese, che da lavoratore dipendente Sip diventa imprenditore e quindi amministratore delegato di una delle più grandi aziende di facility management italiane, main sponsor di attività culturali e sportive, a non considerare alla fine condizioni, diritti e sorte dei suoi dipendenti. Con gli agi e le ricchezze accumulate e l’ambizione di essere un imprenditore illuminato al pari di Adriano Olivetti (al quale impudentemente diceva di ispirarsi), perché barare e infilarsi in tunnel dalle pareti forse dorate ma di certo molto fragili?
Cadigia Perini