Il tribunale di Torino ha sentenziato l’insolvenza di Manital e nominato tre commissari giudiziari per la gestione dell’azienda in amministrazione straordinaria.
Troppo grande il debito, difficilmente esigibili i crediti, aleatorio il piano industriale di rilancio, il tribunale non poteva che togliere l’azienda dalle mani dei nuovi proprietari, quella IGI Investimenti di Giuseppe Incarnato, ignota ai più prima dell’ottobre scorso quando il precedente amministratore, Graziano Cimadom, annunciò la vendita di Manital. E IGI per Cimadom era il “migliore interlocutore viste le consolidate competenze di gestione nel rilancio e ristrutturazione di aziende”. Dimostrando Cimadom o di aver svenduto l’azienda al primo disposto a prendersela, a togliere le castagne dal fuoco al suo posto, non importa con che finalità, oppure di non essere in grado di valutare la bontà di un’offerta. O le due cose insieme che giustificherebbero, insieme a tanti risvolti che ancora non conosciamo, il collasso della Manital da lui gestita dal 1993, disastro fin qui pagato solo dai lavoratori e dalle lavoratrici.
Amministrazione straordinaria. La capisci solo quando sfortunatamente ci finisci dentro.
Il 4 febbraio 2020 sarà una delle tante date da ricordare per i lavoratori del gruppo Manital. Dopo quasi un anno di sofferenze, con gli stipendi pagati a singhiozzo, fino ad arrivare alla chiusura totale dei pagamenti nell’estate scorsa, preso atto del fallimento di fatto dell’azienda, con una vendita ad un soggetto che fin da subito non dava speranza, con un piano di rilancio senza fondamenta e opzioni impraticabili per il rientro dei debiti, ormai l’amministrazione straordinaria è diventata la condizione (non soluzione) migliore per recuperare stipendi e contributi e tentare di salvare il patrimonio e, con uno slancio di speranza, anche del lavoro. Ma è dura, perché l’incognita per il presente e il futuro è grande. Hanno lottato, frammentati come frammentato è il loro lavoro presso clienti come Poste, Stazioni, Scuole, Inps, aziende private, a far pulizie, a fare manutenzione edifici, a ristrutturare case e castelli, senza alcun megafono pubblico, né stampa né politica nazionale che li abbia aiutati.
La procedura di amministrazione straordinaria ha come finalità “la conservazione del patrimonio produttivo mediante la prosecuzione, la riattivazione o la riconversione delle attività imprenditoriali“. Pur nella drammaticità questo è un fatto positivo, come dichiara anche Federico Bellono, Cgil “La scelta assunta dal Tribunale è probabilmente quella più utile non solo per dare ai creditori – in primis i lavoratori – ciò che gli spetta, ma anche per dare continuità e prospettiva agli asset aziendali sopravvissuti al disastro e quindi all’occupazione. Le procedure concorsuali non sono mai brevissime: occorre quindi che Tribunale e commissari accelerino quanto più è possibile i tempi, incontrando in tempi brevi anche le organizzazioni sindacali. Così come è bene che siano altrettanto rapide le indagini sulla malagestione di questi anni.“
Manital dunque con effetto immmediato passa nelle mani di tre commissari giudiziari (Antonio Zecca, Antonio Casili e Francesco Schiavone Panni) nominati dal tribunale di Torino su indicazione del ministero dello sviluppo economico. I creditori hanno tempo fino al 3 giugno per insinuarsi al passivo, mentre il 9 luglio è previsto l’incontro dei commissari con il giudice delegato Stefano Miglietta per l’esame dello stato passivo dal quale si capirà se Manital avrà o no un futuro.
La tensione fra i lavoratori non è diminuita, ha solo cambiato forma, dopo il primo sospiro di sollievo alla notizia che i Cimadom, Incarnato, Grosso sono fuori, un minuto dopo, mille preoccupazioni, domande, dubbi sono sorti. “Cosa accadrà adesso? Riceveremo presto gli stipendi che aspettiamo da mesi? I contributi? Potremo continuare a lavorare?”, questo si chiedono i lavoratori. Si sentono allo sbando, dopo mesi in cui han lavorato senza essere pagati, oppure sono rimasti all’improvviso senza lavoro, in cui sono stati presi ripetutamente in giro con false promesse. Mesi in cui sono stati praticamente ignorati dalle istituzioni al livello più alto: il ministero dello sviluppo economico non ha mai aperto un tavolo di crisi per Manital. Eppure almeno fin da settembre conosceva lo stato di insolvenza, infatti i commissari furono scelti dal dicastero già a settembre, e conoscevano il pericolo che correvano i 10.000 dipendenti Manital (stesso numero di Ilva, ma frammentati in tutta Italia su diversi clienti e categorie). E il ministero dell’istruzione ha accumulato decine di milioni di debiti verso Manital e ancora oggi non si sa quando pagherà.
I numeri
Dalla documentazione presentata dalla società e dalle informative acquisite d’ufficio dal tribunale emerge:
- un’esposizione debitoria di 223.335.819 al 15/1/2020 (nella conferenza stampa del 5/12/19 Grosso dichiarò un debito di 60 milioni che sarebbe potuto crescere. E’ quasi quadruplicato!).
- l’assenza di liquidità e di risorse finanziarie sufficienti a far fronte ai debiti.
- la mancanza di indicazioni sulle concrete possibilità di incassare in tempi brevi i crediti che secondo quanto riferito da Manital al 15/1/2020 ammontavano a 207.060.472 euro.
- l’assenza di un patrimonio mobiliare o immobiliare di pronta liquidazione (il Castello di Parella non è certo “di pronta liquidazione”…)
- il tentativo di assicurare la (parziale) soddisfazione dei creditori attraverso “forme di pagamento anormali” (giudizio unanime fra chi ha analizzato il presunto piano di rilancio)
- l’elevatissimo numero di procedimenti giuslavoristi e di esecuzione forzata
- il fallimento di società partecipate al 100% da Manital, come la Olicar Gestioni Spa (le altre controllate e partecipate, tremano)
I tanti punti oscuri e le responsabilità ancora tutte da svelare
Le sei fitte pagine della sentenza del tribunale del 4 febbraio dicono molte cose, ma non chiariscono (non avrebbero potuto) i molti punti oscuri della vicenda Manital, non rispondono alle tante domande che sorgono spontanee. Allo stato attuale, con le informazioni a disposizione, non si capisce ad esempio perché l’AD di Manital, Luigi Grosso (già AD di MGC, quindi già uomo di Cimadom) abbia chiesto l’amministrazione straordinaria, mentre il presidente di Manital, Giuseppe Incarnato (nonché AD di IGI Investimenti) ha chiesto uno slittamento della sentenza di insolvenza a maggio prossimo. Quella che stupisce non è la richiesta di Incarnato, che tenta di tutto per tenersi Manital il più a lungo possibile per trarre un qualche beneficio, ma quella di Grosso che avrebbe dovuto essere sodale con Incarnato e invece chiede di passare l’azienda a dei commissari giudiziali. Come mai il consiglio di amministrazione ha presentato un ricorso “finalizzato alla revoca del consigliere di amministrazione e presidente della Manitalidea Spa, Ing. Giuseppe Incarnato”? E perché Cimadom ha denunciato Incarnato? E cosa c’è di vero nelle voci che parlano di gravissime accuse contro Cimadom da parte dell’assemblea dei nuovi soci di Manital? Ma soprattutto come ha fatto Cimadom a portare alla rovina una grande azienda di livello nazionale? Le cause non possono essere solo la supermulta per aver fatto cartello in una gara Consip né lo scellerato acquisto del Castello di Parella che ha tolto all’azienda 30 milioni (iniziali, arrivati oltre i 40 nel tempo) ristrutturato dagli operai della MGC, controllata di Manital, senza stipendio come gli altri colleghi da agosto e senza contributi in cassa edile che oggi ancora non sanno quale sarà la loro sorte da dipendenti di controllata.
Per iniziare ad avere qualche risposta si dovranno aspettare i prossimi mesi, per la verità completa e tutte le responsabilità, probabilmente ci vorranno anni. Fin da subito invece massima solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori vittime dell’ennesimo “furto di lavoro”.
Cadigia Perini