Lo spazio, che divide due abitazioni e due anime che si attraggono, è una semplice strada da attraversare, un filo di sterrato verso un cancello, pochi metri che racchiudono forze magnetiche complementari. Stiamo parlando di luoghi di paese, di immagini e parole, di alberi e di versi, di arte e di amicizia. Loro, Sergio Gatta e “Gioanass” Venuti, lombardi di origine e residenti vicini in quel di Fiorano Canavese, sono i poli di questa commistione tra scrittura e pittura, due artisti che si incontrano combinando le proprie specificità in nuove parti di fantasia.
La collaborazione spontanea tra i due ha già dato i suoi frutti, come nella catalogazione delle opere del pittore Tullio Alemanni (di cui sta per essere pubblicata la seconda edizione), e ora riprende vita in questo nuovo “volumetto”, serenamente azzurro nel lucido di copertina. Estro pittorico e propensione poetica fondono i linguaggi, danno corpo ai ricordi e alle tracce del proprio vissuto. Il libro è soprattutto un omaggio in forma di sonetto, che Gioanass dedica alle sue radici e al dialetto di Borgo Vercelli, il “borghin”, ma le strofe vibrano allegramente anche nella traduzione in italiano, un italiano “dotto” che l’autore usa senza sfoggio calandosi nella rotondità ludica, tipica della sua personalità. L’amore che Gioanass coltiva per la lingua italiana si consolida nell’idea che le parole danzino e creino armonie se si conformano allo spirito del gioco e dell’ironia. L’alfabeto è uno strumento di composizione da usare per nuove invenzioni, le lettere si assemblano in neologismi e acronimi, ammiccano e sorridono al lettore, si baciano in rime e si allungano in strofe unendo divertimento e stimolo all’apprendimento.
Gioanass ama i calembour, strizza l’occhio all’omofonia, ribalta a suo piacere i significati, si presta alle tentazioni della polisemia. Il risultato è quello che può sgorgare solo da una passione autenticamente vissuta. Anche il nome della ditta dei due, anzi del “Sodalizio a responsabilità nulla – Sergioanass srn”, definisce l’aspetto della leggerezza colta, dell’opera che, anche nelle didascalie, non abdica mai al piacere divertito della lettura. I sonetti, 31 per la precisione, esplorano la memoria di un passato rurale, caratterizzato da gesti e abitudini semplici e popolari. A emergere sono gli oggetti, che nell’epoca del dopoguerra e negli anni 50-60 si usavano e che oggi sembrano gemme incastonate nei ricordi. Sono oggetti di una quotidianità povera e laboriosa, oggetti domestici come il pesantissimo “soprass” o ferro da stiro a carbonella, il mastello di zinco per il bucato, precursore primitivo della futura lavatrice, lo scaldaletto a telaio, la roncola per la potatura, il tegame per la cottura della “panissa”, il Flit, famigerato tubo del DDT, e tanti altri che oggi sono patrimonio di una storia comune per chi, come il duo, ha vissuto la propria fanciullezza e giovinezza in quell’epoca. I ricordi di Gioanass si dipanano nel libro e, a fondo corsa, perché lo stesso si gusta tutto d’un fiato, emergono anche in alcune foto superstiti. Sono preziosi reperti visivi che raccontano, in un bianco e nero tenero e sbiadito, gli utensili citati. Il libro riscopre nomi desueti ma vivi nella realtà del passato e si apre alla fioritura pittorica dell’altro componente del duo, quel Sergio Gatta che, in luogo delle parole, cesella le forme. Il pittore, scultore, incisore Gatta affianca i sonetti di Gioanass con il lato illustrativo del libro. Le pagine si dividono gli spazi, quelle a sinistra ospitano le figure, quelle a destra i sonetti. Anche qui il gioco di squadra si fa intenso. Gatta racconta i suoi alberi, fogliame e ramificazioni che si concedono alla metamorfosi. Nei tronchi e nelle nudità scabre, e finemente dettagliate nel nero di china, si colgono altre forme, le illustrazioni diventano “dendroantropomorfe”, neologismo che invita anche gli alberi al gioco delle parole che si incastrano amichevolmente. L’albero va oltre la sua riconoscibilità così come la parola e, come la parola, acquisisce nuove forme di senso. Dentro le figure si osservano altre figure, facce meditanti, mani scarnificate nel legno, seni di donna e guerrieri assopiti, uova feconde. Gli alberi sono in gran parte betulle, tronchi svettanti o attorcigliati. A volte sembrano imprigionare le figure che ospitano, a volte sembrano liberarle, come nel caso della Venere … ”betullicelliana”.
Ogni pagina, sia che contenga un sonetto o un’illustrazione, dà l’idea di essere appesa al foglio come un quadretto, delimitato da un esile cornice a filetto nero, ma la benemerita ditta, anzi il sodalizio “Sergioanass srn”, non si imbriglia nel rischio della ripetizione. L’arte è materia fluida ed escursione in libertà. Sonetti e illustrazioni si svincolano da ogni legame di rigidità, sfuggono allo schema dell’impaginazione, invertono la direzione dello sguardo, si sdraiano sul dorso costringendo il lettore a girare il libro di lato per continuare la lettura.
Anche Sergio e Gioanass sono così, autori polivalenti e non catalogabili, parole e immagini sempre in viaggio nei territori delle “armonie armonizzate senza armonica”, così come recita il sottotitolo del libro.
Pierangelo Scala