Il maltempo non scoraggia l’Ivrea che resiste alle politiche di respingimento del governo gialloverde. La piazza del municipio di Ivrea, intitolata al partigiano Ferruccio Nazionale, sabato 2 febbraio era piena di donne, uomini, giovani, meno giovani, bambini, rosa, neri, beige, marroni, accolti e accoglienti, cattolici, valdesi, mussulmani, atei, agnostici, pacifisti, comunisti, ambientalisti, …
L’appello nazionale “L’Italia che resiste” per manifestare la resistenza, la caparbietà di buona parte della società a voler restare umana è stato colto da più di 300 comuni in Italia, nel nostro pezzo di Canavese a Ivrea e Castellamonte, con una grande partecipazione di associazioni e cittadini, del mondo. Ivrea riesce a bissare e anzi aumentare il successo della manifestazione spontanea del 27 agosto scorso “Non in mio nome” contro il sequestro della nave Diciotti. Eravamo più di 400 in piazza nonostante il freddo e la pioggia, segno che non proprio tutti i 60 milioni di italiani sono dalla parte delle politiche di odio e respingimento praticate dal governo pentaleghista.
Tantissime le associazioni (sociali, politiche, sindacali, culturali) che hanno voluto e promosso la manifestazione a Ivrea, tutte quelle che già sono impegnate quotidianamente sui temi sociali e civili. Erano presenti in piazza anche i ragazzi del CSO Castellazzo con loro volantino dove si legge “Le assurde decisioni delle istituzioni ci portano a manifestare per difendere quegli ideali di giustizia e uguaglianza che da sempre sono i motori della crescita umana. Per questo il Castellazzo Assediato decide di partecipare alla catena umana della manifestazione l’Italia che resiste“.
Parola d’ordine: esserci
L’appuntamento era alle 14 in tutte le piazze d’Italia davanti ai municipi attorno ai quali si sarebbe poi fatta una catena umana per abbracciare quello che è il cuore della vita civile delle città. A Ivrea alle 14 c’erano poche persone, gli organizzatori e poco più … ma nessuno ha dubitato che fosse solo questione di tempo e infatti piano piano hanno iniziato ad arrivare in piazza famiglie con bimbi di tutte le età, giovani, capelli grigi, … In comune, oltre alla stessa idea di umanità, un indumento rosso per ricordare il piccolo Aylan Kurdi, il bimbo siriano di tre anni trovato morto nel settembre del 2015 su una spiaggia turca e con lui tutti i bambini vestiti di rosso dalle madri per renderli più visibili. E poi sono arrivati gli amici dell’Associazione Moabi con i loro fiori di panno con in centro un cuore e la scritta “Io non respingo“, subito assaltati da tutti noi che volevamo sfoggiare al braccio quel segno di riconoscimento “umano”.
Le parole, le testimonianze
Ha aperto la manifestazione Armando Michelizza, in rappresentanza dell’Osservatorio Migranti, che ha ringraziato e sottolineato l’importanza vitale del restare umani: “Se avessi una sola parola da dire, anche interpretando il pensiero di molti di voi, direi “grazie“. Perché questa presenza è di sostegno a tutti noi per riconoscere nella nostra città, nelle persone che incontriamo un senso di umanità che vediamo molte volte a rischio. Perché prima delle idee, prima della politica, prima di ogni cosa c’è “l’umanità”. Perché per prima cosa quando c’è una persona a rischio la si mette in sicurezza. Se non è così rischiamo di tornare a periodi molto bui in cui le persone non erano tutte uguali ma per legge o per trattamento alcune persone erano discriminate.“.
A seguire l’intervento della sindaca di Rueglio, Gabriella Laffaille, possiamo dire in rappresentanza dei tantissimi sindaci di piccoli comuni che hanno sperimentato con successo e soddisfazione l’accoglienza, arricchendo territori e popolazione spesso a rischio di abbandono. “A maggio 2017 sono stati accolti quattro migranti con permesso per motivi umanitari provenienti dal Mali, Senegal e Costa d’Avorio. I ragazzi si sono impegnati a offrire al comune delle ore di lavoro in cambio dell’accoglienza. Hanno così iniziato a pulire le strade, i tombini e i fossi delle strade fuori paese, lavorando in collaborazione con l’operaio del comune. Hanno inoltre partecipato al ripristino e alla pulizia della rete di sentieri e dato una mano nelle manifestazioni estive assicurando servizio d’ordine e logistica e anche cucinando piatti africani. Noi vorremmo continuare in questa direzione perché ci sembra quella giusta senza essere tacciati di buonismo, “dare per avere”, uno scambio di buone pratiche che vanno a beneficio di tutti e allo stesso tempo un controllo dei migranti e dei loro flussi dando loro la residenza i comuni esercitano anche un controllo e permettono alle forze dell’ordine di farlo.”
E’ quindi intervenuto Suleiman, mediatore culturale che presta servizio a Rueglio, arrivato in Italia quando aveva 8 anni, nel 1998. “Devo dire la verità, quando sono arrivato mi sono spaventato, c’erano troppi bianchi – ride la piazza – Però in quel piccolo paesino [in provincia di Bergamo, ndr] mi hanno accolto benissimo, mi sono sentito a casa. E’ stato difficile forse solo all’inizio, ma tutto deve partire da noi, se non parte da noi, non si può fare niente. Ed è ciò che dico ai miei ragazzi. Ho fatto un percorso di vita che mi ha portato a fare il mediatore culturale, perché volevo insegnare come io ho fatto in questi 20 anni a cavermela in questa società. I ragazzi mi chiedono sempre “come sta andando” [riferendosi ai loro permessi e alla loro condizione, ndr]. Io fino a due mesi fa potevo dargli risposte, ma oggi come oggi non so più cosa dire. E nonostante che stiano lavorando, si impegnano, si sentono insicuri.
Gli interventi “ufficiali” si sono chiusi con il sindaco di Cossano e presidente di ANCI Piemonte, Alberto Avetta che ha ricordato che il Piemonte è la prima Regione a fare ricorso alla Corte Costituzionale contro il “decreto Sicurezza”, con la motivazione (fra le altre) che il decreto “rischia di creare un mondo di invisibili, di persone che non possono, non riescono ad integrarsi e per questo sono più facilmente alla mercé di chi viola le regole“.
La catena umana attorno al municipio
Dopo i discorsi, non ultime le parole di Cadigia Perini, segretaria del Circolo PRC di Ivrea, che ha chiesto che il pensiero umano che proviamo verso i fratelli e le sorelle migranti per l’incertezza che dopo il decreto “insicurezza” li colpisce più che mai, si allarghi a chi non ce l’ha fatta ad arrivare in Europa, alle migliaia e migliaia di morti nel nostro Mediterraneo e a chi subisce pestaggi, torture, estorsioni e stupri nei lager libici dei quali il nostro paese non è incolpevole per via dello sciagurato accordo che il precedente governo ha stretto con quel paese.
E mentre seguivano interventi e testimonianze spontanee e la lettura di poesie a cura dell’associazione culturale “Due Fiumi“, abbiamo iniziato a muoverci in fila, dietro alla bandiera della pace per formare una catena umana, un abbraccio avvolgente attorno al nostro Municipio, perché come scritto nel comunicato dei promotori il Comune è il “centro della comunità locale che vuole accogliere e includere le persone che, senza distinzione di nazionalità, chiedono aiuto. I Comuni italiani sono stati protagonisti, fin dal 1999 dell’accoglienza di persone in fuga da guerra, persecuzione, miseria e mancanza di futuro. La legge 132 disconosce e viola il ruolo delle comunità locali; non a caso sono stati molti i Sindaci a protestare contro le deportazioni e lo sperpero di risorse e distruzione di buone pratiche di inclusione utili anche a comunità locali spesso a rischio di spopolamento e invecchiamento senza equilibrio di giovani“.
Peccato che il Sindaco di tutte le cittadine e i cittadini eporediesi non sia pervenuto.