La retorica, a quanto pare, è artefice di quella persuasione che induce a credere ma che non insegna nulla intorno al giusto e all’ingiusto. (Socrate)
Spegnere la radio, la TV già lo era.
Ascoltare la musica, o il silenzio, o anche il tagliaerba del vicino di casa.
Non partecipare alla definitiva trasformazione di Radio e TV in messaggeri inesauribili di prescrizioni ammantate di retorica: STATE A CASA STATE A CASA RESTATE A CASA.
E chiusi in casa si sta, chi non l’avesse capito sarebbe sordo, tonto, pirla, uno a scelta o anche tutt’e tre.
Ma poi la tiritera che stare a casa è bello perché ritrovi il calore familiare?
Che in casa si riscoprono gli affetti, le complicità, i legami, la serenità?
Che tanto fuori che ci vai a fare quando puoi guardare negli occhi tuoi figlio e sussurrargli dai, giochiamo insieme col lego come faceva il nonno con il papà.
Che finalmente possiamo assaporare lo scorrere del tempo osservando (sul balcone) un fiore che sboccia o un’ape che ne sugge il nettare?
Che impastare il pane insieme è ritornare alla dorata età dell’innocenza?
Che famiglia è bello comunque (altro che violenze domestiche fallimenti matrimoniali e crisi adolescenziali: quello era ieri, oggi casa è calore)?
Che appallottolarsi sul divano con il gatto sulla pancia è il massimo della vita (anche se sei in ferie forzate o in cassa integrazione e vivi in 30 metri quadri senza jacuzzi)?
La trasmissione Caterpillar, tu quoque, quella che in un tempo remoto mandava ottima musica e interviste insolite, incoraggia con appiccicoso buonumore deprimenti testimonianze di compleanni ventenni festeggiati allegramente con mammina e papino, delicati aperitivi sorseggiati in streaming con gli amici, dediche gaudenti al fidanzato lontano che comunque è quasi come fosse qui, coretti di famiglie intere vestite a festa, inni agli eroi nazionali: medici e infermieri (coartati al lavoro per 1600 euro mensili). Fantastico, la vita è una cosa meravigliosa, sarebbe perfetta se solo fosse Natale.
Gli altri programmi sono fotocopie, nemmeno un po’ di musica senza raffiche di raccomandazioni, senza un divo che si butti tutto goduto sul suo divano tinta ecru (di una bella casa, ça va sans dire, ché stare a casa è bello, rilassante, confortevole!) raccomandando col ditino all’insù “non muovetevi, state a casa!”, e daje.
Ogni intervista, perfino al grande Guccini, persegue l’imperativo unico e patriottico di infantilizzare l’italiano medio, convincendolo non soltanto che non deve uscire (e lì chi non ci è arrivato non ci arriverà), ma che STARE A CASA E’ BELLO, punto. Magari con la bandiera italiana alla finestra e l’orrido – se si può ancora dire – inno di Mameli (“siam pronti alla morte”?!) a palla.
Non sarebbe più leale rivolgersi a persone adulte con un semplice “starsene in casa non sempre è piacevole, talvolta fa schifo però s’ha da fare”, punto, evitando di trattare tutti da ragazzini scemi?
Si può dire basta a tutta questa pomposa retorica da Italiani brava gente? O è tradimento? E’ ancora possibile dichiarare, con il mite scrivano Bartleby, che no “grazie, preferirei di no”?
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