Che “gli eroi son tutti giovani e belli”, in fondo, tutti quanti, prima o poi, l’abbiamo cantato. E anche se di eroi non ci è mai piaciuto molto parlare, sanno troppo di retorica e ipocrisia istituzionale, un po’ a quelle parole ci credevamo. O volevamo crederci. Se non altro perché eravamo ancora giovani. Non che si sperasse davvero di diventare eroi, per carità. Ci sarebbero toccati monumenti e celebrazioni, commemorazioni e riconoscimenti. Soprattutto, ci sarebbe toccato essere morti. Requisito essenziale per essere accolti in quella cerchia ristretta. Tutti immortali, dopo però. Bel paradosso. E, comunque, non era nelle nostre intenzioni lasciare troppo presto il campo. Meglio lasciarli agli altri, insomma, gli eroi, date le condizioni …
Ma poi il tempo passa, e i capelli pure, per tacer d’altro. Ciascuno per la sua strada, con le sue fatiche e i suoi compagni. E tutti, e ciascuno, con la propria storia e i suoi ricordi. E ai tanti incroci delle storie e dei ricordi spesso capitava, e capita ancora, tristemente sempre meno, di trovare o riconoscere qualcuno. Qualcuno che sembrava star lì seduto da sempre, e che, a dirla tutta, ci dava l’impressione di essere lì, proprio lì, per noi. Solo per noi.
Lidia è sempre stata tra loro. Tra noi.
A volte, poi, aveva questo delizioso vezzo: compariva davvero. E te la trovavi seduta di fronte, con la sua voce sempre allegra e benedetta dal meraviglioso dono della leggerezza. E riusciva, con gioco di mani e in punta di dita, a dirti delle più spaventose tragedie, e delle ingiustizie e degli orrori, senza mai tradire il suo eterno sorriso. Quello che ha visto e che sa, che mentre prende le misure sa anche misurare le distanze. E che, soprattutto, mai dimentica che ogni mattina, aperte le finestre e arieggiate le stanze, tocca una volta ancora, come sempre, rimboccarsi le maniche e riprovare a spazzarle via quelle ingiustizie e quelle tragedie. Con granitica pazienza e incrollabile e antica determinazione, ogni giorno da capo. Senza mai fine. Ma proprio l’apparente inutilità di quello sforzo, ché non produce tornaconti né capitalizza interessi, ne ha costituito l’incommensurabile valore. Perché la gratuità dolente e sorridente di quella infinita fatica s’è sempre incarnata in dono. Di testimonianza e di memoria, di consapevolezza e di lucida follia, di comprensione e accoglienza, di carezza e di lotta.
Lidia è stata tutto questo. E per questo resta.
“Canta il merlo sul frumento”, così scriveva neanche tanto tempo fa. E intanto raccontava di essere stata giovane “… un po’ dopo le guerre puniche”, e lo diceva guardandoti dal basso in alto, con occhi che avevano il colore della serenità e la grana della resistenza e della forza. Occhi che sapevano vedere, per poi raccontare. Sapevano guardare, per poi agire. Sapevano interpretare, per poi costruire.
Il suo passo lieve, la sua figura gentile, riuscivano a farsi carico del peso immenso e della fatica quotidiana di tenere sempre sgombro, e ben visibile, il sentiero faticoso della libertà. Una libertà difficile e sempre affamata, vorace di giustizia e dolorosa nella sua ostinata resistenza all’omologazione e ai richiami di cartapesta di una società ormai polverizzata dalle false e stonate sirene del mercato e del suo sconfinato potere. Vetrina di servi inconsapevoli e di svuotate libertà, concesse anziché riconosciute. E proprio per questo fittizie e illusorie. La libertà che invece Lidia ci portava in dono era di trama preziosa e di straordinaria bellezza. Seminata, coltivata con cura a partire dalla stagione tragica della dittatura e concimata dalla splendida “accozzaglia”, così le piaceva dire, del Cln. Ci si arrochivano le voci, in quelle discussioni. E tanto era quello che si lasciava fuori dalla porta, ma bisognava forgiare, e preservare e proteggere, il valore e l’etica e l’umano furore della pratica antifascista. Solo quella sarebbe stata la strada, difficile e ripida, per intravedere, almeno, i segni del mondo nuovo. Mai lineare, mai scontata, cresciuta nella consapevolezza che il dubbio è sempre un nuovo inizio e mai un punto d’arrivo, o anche solo la scusa per una sosta. Pochi, troppo pochi, hanno saputo costruirla e percorrerla senza sosta quella strada. Senza negarne i pericoli, nasconderne le voragini, ignorarne gli inganni. Era ostinata Lidia, e anche per questo invincibile. Era fragile, ma di sana e robusta Costituzione. Le cui pagine, in cui troppi sanno ormai vedere solo più carta, hanno continuato a rilasciare il profumo di una promessa e l’orizzonte di un futuro ancora tutto da inventare. Sì, era libera, Lidia. E per questo forte. E forse a qualcuno faceva paura. Ma a ben vedere, come spesso accade, si tratta solo della paura del giusto e del vero.
Ecco perché Lidia è sempre stata giovane e bella.
Ecco perché noi oggi non ne possiamo sentire la mancanza. Sarebbe uno sgarbo che non accetterebbe, un torto che non ci perdonerebbe. Ci ha salutato con un breve e discreto cenno, come solo lei sapeva fare, per indicarci ancora una volta la direzione. Non ci resta che proseguire. E poi, lo vogliamo credere, laggiù ci sarà anche lei. Con il suo timido sorriso.
Luca Calderini