Nell’anno del centenario dalla nascita di Lidia Menapace, scomparsa nel 2020, la partigiana, pacifista, femminista, comunista, che voleva «la guerra fuori dalla storia», il ricordo del segretario nazionale di Rifondazione Comunista, partito al quale era iscritta, fino all’ultimo.
L’anno scorso al corteo del 25 aprile a Milano noi di Rifondazione Comunista portammo uno striscione con la scritta «Fuori la guerra dalla storia», lo slogan che lanciò tanti anni fa Lidia Menapace, la nostra indimenticabile compagna e maestra partigiana, femminista, pacifista, comunista. Lo riporteremo anche in questo 25 aprile che speriamo registri una partecipazione enorme come ha proposto l’appello del Manifesto. Nel centenario della nascita le idee di Lidia sono più attuali che mai.
Mentre l’Europa fa la scelta dell’oltranzismo atlantista, della guerra, del riarmo, dell’industria bellica come “pilastro” con consenso bipartisan, giova ricordare che per Lidia l’articolo 11 della Costituzione era forse l’eredità più importante della Resistenza. Ne era talmente convinta che, negli anni in cui si discuteva del trattato costituzionale europeo, criticò con nettezza il governo e i partiti italiani (tranne Rifondazione) che non avevano proposto di inserirvi il ripudio della guerra e in generale i principi fondamentali della nostra Costituzione a partire dal primato del lavoro sul mercato.
Lidia si espresse con nettezza contro la proposta dell’esercito europeo proponendo invece la visione di un’Europa neutrale «che dichiara di rinunciare per sé all’uso della guerra, e di vincolarsi nei confronti della comunità internazionale a non fare politiche aggressive che possono sfociare nel conflitto armato, non ospita basi militari di nessuno, non consente passaggio di truppe a terra né di aerei (…) la proposta della neutralità è la più equilibrata, realistica, moderata, gestibile sul piano del diritto internazionale e compatibile con una riconversione dell’economia di guerra in economia di pace».
Considerava «mostruose forme non-giuridiche di intervento» quelle con cui gli Stati uniti e i loro alleati si sostituiscono all’Onu: «Le Nazioni unite vengono degradate ad un ruolo assistenziale, non più di direzione politica. Bisogna uscire da questa logica (…) una Europa neutrale sarebbe proprio ciò che serve alle Nazioni unite per tornare ad essere una difesa del diritto e non succube della violenza militarista (…) Sono abbastanza vecchia da ricordarmi che, quando la Società delle Nazioni fu sottoposta da parte di Hitler e Mussolini ad attacchi furibondi, e finì in pezzi, questo fu uno dei grandi segni della Seconda guerra mondiale».
Lidia non accettava narrazioni eurocentriche di superiorità morale: «Se esamina la propria storia, l’Europa ha prima di tutto da fare un’enorme autocritica. Perché la caratteristica della guerra moderna – cioè, dell’attributo dell’esercizio della violenza legittimato allo Stato – è un’idea europea. L’Europa non è stato un continente di pace. Al contrario, è stato il continente più aggressivo di tutto il pianeta. Non solo al suo interno, ma nell’imperialismo, l’Europa ha battuto tutti gli altri».
Criticava anche «l’ambiguità» delle radici cristiane con la «poco santa alleanza» tra Impero e Chiesa. Il messaggio cristiano aveva recuperato il suo contenuto di pace solo grazie all’affermarsi della laicità dello stato non per qualche superiorità sulle altre religioni monoteiste.
Lidia indicava all’Europa i «semi di pace che ha dentro di sé», accanto a questo ritrovato messaggio cristiano, nella tradizione del movimento delle donne e del movimento operaio, ma la vedeva cancellata e sfigurata dall’ordoliberismo europeo. Con Rosa Luxemburg ammoniva che quando un capitalismo irriformabile entra in crisi ci pone di fronte all’alternativa tra socialismo e barbarie. Ricordava che la guerra segna sempre spartiacque pericolosi: Mussolini era stato interventista, Matteotti pacifista. Dovrebbero ricordarlo tutta l’Italia antifascista.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale Rifondazione Comunista – Sinistra Europea