E’ stato presentato mercoledì 20 febbraio presso la Sala Dorata del Comune di Ivrea, gremita come nelle grandi occasioni, il volume Le case Olivetti a Ivrea – L’Ufficio Consulenza Case Dipendenti ed Emilio A. Tarpino a cura di Carlo Olmo, Patrizia Bonifazio e Luca Lazzarini (contributi fotografici di Paolo Mazzo), edito da Il Mulino e Archivio Storico Olivetti per la Collana di Studi e Ricerche. Il volume raccoglie, per la prima volta, il corpus e la storia delle case (della sola area di Ivrea città) progettate per i dipendenti dall’Ufficio Consulenza Case Dipendenti diretto dall’Arch. Emilio A. Tarpino dal 1951 al 1968 e poi come consulente fino al 1972.
Al Professor Carlo Olmo, docente di storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino, il compito di introdurre e far capire l’importanza di volersi occupare di questo particolare corpus architettonico, inserito in quello più grande e ormai mitologico dell’architettura olivettiana, oggi patrimonio Unesco. “…Nella vulgata olivettiana esistono i maestri (Figini e Pollini, Quaroni, Vittoria, Gardella, Ridolfi, Gabetti e Isola, Valle) e i loro … doppi. … Indagare sui processi che dagli anni Trenta a fine anni Sessanta disseminano Ivrea di centinaia di residenze fa apparire non solo una popolazione di professionisti (architetti, ingegneri, geometri) ignota, però che sola spiega la qualità morfologica della città, ma aiuta anche a capire la natura dialogica del processo progettuale e costruttivo che caratterizzava l’Ivrea olivettiana. … Perché Tarpino ripropone alla scala di una prima microstoria uno dei nodi irrisolti di tutta la vicenda di Ivrea: quella della relazione tra un “locale” che negli anni diventa il luogo o forse la località dove si sperimentano le scienze sociali, la responsabilità sociale d’impresa il possibile rapporto tra conoscenza e politiche urbane, il rapporto tra eccezione e tipo…” Le parole di Carlo Olmo centrano il punto fin dalle prime pagine e guidano il lettore nel guardare ciò che sta sotto gli occhi di tutti, ma che, forse, non è così chiaro da vedere e da apprezzare. Il lavoro di Emilio A.Tarpino e del gruppo di persone dell’UCCD, con i circa 300 progetti eseguiti, ha segnato il volto della città e del suo hinterland, di pari passo con i grandi architetti che affollavano la scena eporediese, dialogando anch’essi con le gerarchie dell’impresa. Oggi quelle case sono testimonianze del nesso tra spazio e società, sono un esempio di reciprocità come metafora/analogia, perché le radici della sostenibilità si fondano sulla reciprocità, altrimenti la sostenibilità non si realizza, laddove per reciprocità si intende un pensiero che diventa progetto, poi prototipo, poi sistema di produzione e che arriva alle persone che lo producono, in un tessuto di connessione che è trasferimento sociale. Dopo questa premessa così densa e importante, tocca a Patrizia Bonifazio, docente presso il Politecnico di Milano, dipartimento di Architettura e Studi Urbani, introdurre l’ambito storico e culturale del tema casa ad Ivrea e soprattutto preparare la sala alla relazione di Luca Lazzarini (suo studente) la cui tesi di laurea verteva appunto sul lavoro dell’Architetto Tarpino e su alcuni dei progetti dell’UCCD . La tesi di Luca Lazzarini (parte centrale del volume) ha ribadito con esempi e particolari, quanto esposto all’inizio dal Professor Olmo e ha dato senso all’idea che quelle case condividano a pieno titolo il fregio di Sito Unesco – Ivrea Città Industriale del XX secolo. Le fotografie delle residenze, scattate dal fotografo Paolo Mazzo, passavano sul monitor in sala, mentre molti presenti riconoscevano casa propria o quella di amici in un risvegliarsi di memorie ed emozioni. Le due figlie dell’Architetto Tarpino (scomparso nel 1990), Wanda e Antonella erano sedute in prima fila, felici che, l’aver donato all’Archivio Storico Olivetti il materiale del loro padre, avesse prodotto un così gradito riconoscimento del suo lavoro e che tanti amici lo stessero testimoniando. Promettente la presenza di giovani studenti di architettura, si spera interessati a proseguire nella strada di valorizzazione e diffusione della conoscenza di questo patrimonio, ancora piuttosto acerba nonostante il riconoscimento Unesco.
Attorno al tavolo dei relatori anche Gaetano Di Tondo, attuale Presidente dell’Associazione Archivio Storico Olivetti e direttore delle Relazioni Esterne di Olivetti (dopo 19 anni in Tim come direttore Comunicazione e Business), che ha tenuto a far sapere la volontà da parte di Olivetti di ristrutturare l’edifico ex Centro Sudi per farlo diventare la sede centrale, oltre a ribadire il fatto che il marchio Olivetti ancora esiste, ad una platea piuttosto ostile a tale pensiero; il sindaco Stefano Sertoli che ha portato i saluti della Città e, unica nota stonata, Renato Lavarini, coordinatore del dossier di candidatura Unesco, che, chiamato come padrino della presentazione, dimostrando di non aver inteso il sentire di chi gli stava di fronte, con una battuta ha sottolineato come ci sia stato chi quella candidatura non l’abbia sostenuta, paragonandolo al soldato giapponese che non crede la guerra sia finita: battuta decisamente fuori luogo e piaciuta poco alla platea, in vena di celebrare e non certo di polemizzare.
Saluti finali tra un riaffiorar di ricordi, insomma un bel tassello da aggiungere al grande puzzle Olivetti.
Lisa Gino