Parlare di giovani superando banalità e paternalismo, un’intervista con Chiara Marcone
I giovani e il loro rapporto con la città si sono dimostrati temi caldi nella campagna elettorale degli ultimi mesi. Temi sui quali si sprecano le banalità, spesso proferite da persone che non sono più giovani nemmeno nello spirito.
Per cercare di superare i luoghi comuni abbiamo intervistato Chiara Marcone, candidata ventitreenne di Laboratorio Civico e elemento più giovane della coalizione progressista. Perché se si vuole parlare di una categoria, sarebbe sempre meglio lasciare che lo faccia qualcuno che ne fa parte.
Sui giovani si spendono fiumi di parole, molto spesso banalizzanti e paternalistiche. Ci diresti invece tu qualcosa sui giovani e sulle politiche necessarie per non farli fuggire da qui?
Il primo errore che sento quando si parla di giovani è considerarli una categoria unica, all’interno della quale accorpare tutte le persone dai 13 ai 35 anni, studenti delle scuole superiori, universitari e giovani lavoratori. Sono categorie estremamente diverse tra loro, come lo sono i loro bisogni e le loro sensibilità.
Ivrea, con tutte le sue scuole superiori e i suoi istituti professionali, svolge un ruolo centrale all’interno della proposta educativa del Canavese: basta recarsi in stazione al mattino per rendersi conto di quanti giovani e giovanissimi transitino all’interno della città passandoci le ore di scuole, giovani che hanno bisogni dei quali nessuno si interessa. Parliamo banalmente di strutture aggregative gratuite e di una rete di trasporti che permetta loro di fermarsi fino alla sera, senza dover dipendere dal passaggio in macchina dei genitori, che spesso lavorano e non possono venirli a prendere. Ad oggi i giovani rimangono in questa città solamente dentro le scuole e alla fermata del pullman. L’amministrazione dovrebbe mettere in piedi processi partecipativi, se necessario con l’aiuto anche di enti terzi, con lo scopo di intercettare i bisogni dei ragazzi, partendo dalle scuole dove la maggior parte di loro va.
Un discorso a parte andrebbe fatto sui giovani in condizione di marginalità, che a scuola non ci vanno: è necessario creare un presidio sociale per intercettare questi ragazzi, per capire le loro problematiche e saperli indirizzare verso i servizi esistenti pensati per loro.
Poi ci sono i post-universitari e i giovani lavoratori, i cui bisogni principali sono ovviamente la casa e il lavoro. Le grandi città diventano sempre più invivibili a causa del cambiamento climatico e dei prezzi proibitivi degli affitti. Prendendo in considerazione la crescente opportunità di svolgere alcuni lavori da remoto, se si fornissero soluzioni di coabitazione giovanile e di spazi di lavoro condivisi l’idea che molti giovani preferirebbero costruirsi una vita qui non appare poi così irrealistica.
Altra ipocrisia è parlare di giovani e volerli all’interno dei propri partiti, gruppi o progetti, senza poi dar loro un reale spazio di partecipazione. Non abbiamo bisogno di altro paternalismo, non chiediamo che siano fatte politiche per noi, chiediamo proprio di lasciarci spazio e spazi per agire.
Le idee ci sono, le energie ci sono, i giovani ci sono. Se avessimo le capacità per offrirgli qualcosa, potremmo dare loro l’idea di un futuro anche a Ivrea, una città dove magari tornare dopo l’università. Altrimenti è inutile lamentarsi che i giovani da qui scappano.
Parliamo di giovani e cultura: i giovani la cultura la fanno o fuggono da essa?
Il problema è cosa si intende per cultura.
È risaputo che Ivrea sia una città con un consumo culturale notevole, soprattutto in rapporto alle sue dimensioni. Il problema è che buona parte dell’offerta risulta escludente per i giovani.
Parlo delle forme d’arte considerate “classiche”, l’esempio più lampante è il teatro: se un giovane non è stato educato in famiglia a frequentare spettacoli teatrali difficilmente lo farà di sua sponte. Non basta fornire sconti o abbonamenti, perché parliamo di forme culturali che vengono percepite come elitarie, proprie di una classe sociale diversa dalla propria, con il risultato di creare un rifiuto nei giovani che tanto si vorrebbe coinvolgere.
Ma l’arte e la cultura non sono solo questo. Gli stessi giovani che prendono le distanze dalle forme culturali “classiche” spesso producono cultura senza saperlo. Producono video, producono poesia, producono musica, in modi che spesso la precedente generazione fatica a riconoscere come forme d’arte.
Se si fornissero spazi di sperimentazione artistica e culturale liberi e si riconoscesse il valore di queste forme espressive, probabilmente anche i giovani che le producono inizierebbero a considerare cultura ciò che fanno.
Il movimento politico giovanile maggiormente partecipato degli ultimi anni è sicuramente quello ecologista. Che rapporto c’è tra i giovani e il contrasto al cambiamento climatico?
Il cambiamento climatico è un tema particolarmente sentito da molti giovani per un semplice motivo: siamo quelli che ne subiranno maggiormente le conseguenze.
Non solo nel futuro prossimo, i primi effetti li possiamo vedere tutt’oggi, basta leggere i giornali. Questo inficia seriamente la nostra possibilità di immaginare un futuro di qualsiasi tipo che non sia una distopia a tinte fosche. Una condizione di eco-ansia trasversale e condivisa molto pesante anche psicologicamente, pur nella consapevolezza di essere in una parte del mondo privilegiata che non ne sta ancora vedendo gli effetti più devastanti.
Se già il problema è enorme di per sé, ancora più demoralizzante è vedere che chi avrebbe il potere di opporsi al disastro non fa nulla per evitarlo, anzi ostacola chi ci prova.
È necessario che anche i piccoli comuni come Ivrea dichiarino l’emergenza climatica e inizino ad attivare politiche in questa direzione, mentre l’attuale amministrazione si è rifiutata di farlo adducendo tesi negazioniste e antiscientifiche.
Solo un impegno serio e collettivo darà la possibilità ai giovani di ricominciare a immaginare un futuro degno di questo nome.
Lorenzo Zaccagnini