La morte del faraone

Silvio Berlusconi è morto. Previsti per oggi i funerali di Stato. Proclamato il lutto nazionale.Venerato da molti, maledetto da altrettanti, dio-re della politica nazionale per più di vent’anni, plasmò l’Italia nella quale viviamo oggi a sua immagine e somiglianza.
A noi che ci aggiriamo tra le rovine del suo sogno il peso di confrontarci con la sua eredità.

La morte di Silvio Berlusconi lascia straniati amici e nemici. Nonostante da tempo fosse malato nessuno riusciva seriamente a portare a coscienza questa possibilità. Già si sprecano le battute, tra chi consiglia di attendere tre giorni per vedere se riscende in campo e chi sa per certo che è andato a vivere con Elvis in un’isola piena di belle ragazze. Capita quando una figura è così influente da superare il limite tra uomo e mito, e in questo Paese nessuno ci è riuscito come lui.
Per vent’anni mezza Italia ha rivolto a lui le sue preghiere, l’altra metà ha lanciato verso di lui i peggiori anatemi. Questa Nazione non sarebbe quella che è senza di lui, ciò che vediamo oggi è la continuazione di un processo che lui ha iniziato e portato avanti per i vent’anni nei quali è stato inarrestabile. Impossibile riassumere la sua vita e il suo operato, non importa in quante righe. Quel che possiamo fare è analizzare quei vent’anni con la lucidità dell’oggi, allo stesso tempo confrontandoci con l’effetto che quei vent’anni hanno avuto e hanno tutt’ora sulla nostra società e il modo in cui viviamo. Un’eredità pesante che difficilmente sparirà con la sua scomparsa.

Un prode Cavaliere in sella a un bianco destriero

Fu davvero l’uomo della provvidenza. Il Presidente, il Cavaliere, il Caimano, Lui. Sai che un politico farà la storia quando il suo nome non basta più e si comincia a chiamarlo per appellativi.
In un Paese sempre alla febbrile ricerca di un leader carismatico prima da adorare e poi da abbattere, Silvio Berlusconi mantenne sostanzialmente saldo il potere per più di vent’anni. Fu più di tutto un tramite tra l’Italia della Prima Repubblica e quella di oggi, e più di tutti fu l’artefice di questo mutamento.
Riconobbe immediatamente l’importanza dei media e della capacità di manipolare l’opinione pubblica, costruendo così la propria immagine di leader salvifico in un momento cruciale. Il paese che aveva dato vita al più grande Partito Comunista all’interno della Nato e ora affogava nella melma di Tangentopoli venne preso per mano da Berlusconi, liberato dal peso della delusione politica e del crollo delle ideologie e accompagnato dolcemente in seno alla dopante felicità al silicio del XXI secolo. Un processo di cambiamento radicale portato avanti senza sbavature.
La sua più grande arma fu la leggerezza. Non a caso il suo forte erano le barzellette, arte leggera per eccellenza, che raccontava sempre a favore di telecamera. Il Novecento era stato un secolo di idee potenti e contorte elucubrazioni, quello che la gente voleva era proprio riuscire a non pensare.
Prendendo spunto dagli Stati Uniti, applicò la leggerezza alle sue televisioni, i cui programmi vennero caratterizzati da un’atmosfera onirica, palesemente finta ma dolcemente inebriante. Giovani, anziani, casalinghe tristi e lavoratori stanchi si fecero risucchiare da quel sogno analgesico.
Perché prima di essere un politico o un leader, Silvio Berlusconi era un venditore, probabilmente il migliore del mondo. E i venditori migliori non vendono merce, vendono sogni.
Il fuoco della sua ambizione ardeva più forte e luminoso di quello di chiunque altro, alimentandosi di tante piccole fiammelle, piccoli sogni di altrettanti piccoli uomini. Per vent’anni colonizzò l’immaginario nazionale, plasmandolo secondo la propria visione basata sul successo personale, concetto del quale era lui stesso definizione. Tutti nel loro piccolo vogliono avere successo. Le persone, per quel successo che lui semplicemente esistendo permetteva loro di sognare, lo ripagarono con la fede.

Lacrime di Caimano

I funerali di Stato sono previsti per oggi. Indetta giornata di lutto nazionale. Dalla morte del Cavaliere le elegie prevedibilmente si sprecano. A stupire sono per lo più quelle fin troppo benevolenti degli avversari, probabilmente spaventati all’idea di scatenare le ire dei fedeli del defunto, con il rischio di esporre il fianco all’attuale destra nazionale. La maggior parte si limita a ricordarne la figura storica e a sottolineare l’enorme impatto avuto sulla società. Varrebbe la pena sottolineare che un impatto forte non significa positivo.
È stato anche e soprattutto l’uomo dei legami con la mafia, attraverso Dell’Utri. Dell’evasione fiscale, dei mille processi, delle leggi ad personam e dell’attacco alla magistratura. Della P2, all’interno della quale il suo peso non fu mai ben chiarito, e del Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli, sistematicamente concretizzatosi nelle scelte politiche.
È stato l’apripista della privatizzazione selvaggia, della mercificazione totale, della distruzione dei diritti dei lavoratori e della scuola, il Presidente durante la mattanza del G8 di Genova che avrebbe spezzato le gambe ai movimenti sociali di lì in avanti.
È stato colui che ha ripulito i fascisti e li ha fatti entrare nel governo, che ha tolto lo studio della Resistenza dal programma delle elementari, che per primo ha normalizzato la svolta autoritaria in questo paese con l’operazione Strade Sicure.
È stato l’uomo degli scandali sessuali, del Bunga-Bunga e delle escort minorenni. L’uomo che riuscì a far votare al Parlamento che sì, quella ragazza era proprio la nipote di Mubarak, ennesima sfacciata dimostrazione del proprio potere assoluto da vero anarchico pasoliniano.
È stato soprattutto l’uomo che ha dato il colpo di grazia alle ideologie, trasformando la politica grazie a leggerezza e spettacolarità nel teatrino di figuranti che è oggi. Leader sempre più brandizzati, sfiducia nelle istituzioni, l’enorme divario percepito tra politici e cittadini, il sempre crescente astensionismo e la disabitudine alla complessità, l’origine di tutti questi problemi può essere ascritta all’effetto che vent’anni di Berlusconi hanno avuto sulla politica nazionale.

La tomba del Presidente

Al Silvio Berlusconi uomo non è sempre andato tutto bene. Il gran numero di processi e gli scandali sessuali a un certo punto hanno iniziato a pesare e poi le battute all’estero non le capivano, probabilmente la comicità si perdeva nella traduzione e bisogna comunque saperle raccontare, così i voti hanno cominciato a diminuire.
In tutto questo di mezzo ci si è messa pure la vecchiaia. Il naturale decadere del corpo mal si addice a una figura semi-divina, che ha iniziato così a perdere di credibilità. Persino la sua passione per le giovani donne ha iniziato ad apparire non più come dimostrazione di potere, quanto come il triste tentativo di un vecchio di aggrapparsi alla vita. Anche i media sono cambiati, la televisione non arriva più a tutti, la leggerezza non funziona come prima e le barzellette non le racconta più nessuno, sostituite da ironia tagliente, risate nervose e meme. Nonostante ciò Berlusconi non è mai scomparso dalla scena nazionale, mantenendo un certo peso pur minoritario e un buon numero di cultori della sua figura.
La sua influenza sul mondo al contrario non ha mai diminuito il proprio potere, anzi lo ha ampliato. L’Italia non si è mai svegliata davvero dal sogno berlusconiano, e quest’ultimo ha finito con l’espandersi fuori dai confini nazionali, al punto che persino gli Stati Uniti ai quali Berlusconi tanto si ispirava hanno avuto a loro volta Trump, vera e propria versione hollywoodiana del Silvio originale.
L’influenza di Berlusconi, lo spirito del dio-re, non è morto insieme alle sue spoglie mortali, ma ora che il suo corpo giace nella terra forse c’è la possibilità per questo paese di svegliarsi dal sogno e guardare le macerie di ciò che abbiamo sacrificato a quell’enorme fiamma.
Il lascito al mondo del berlusconismo è l’Italia nella quale viviamo oggi, un’enorme piramide funeraria piena di trabocchetti costruita dal più ambizioso dei faraoni come monumento a sé stesso, perché fosse assieme mausoleo e riaffermazione estrema del proprio potere. È forse proprio questa la maledizione del faraone, la sua ultima barzelletta, la più crudele.

Lorenzo Zaccagnini