Dopo l’intervento del Prefetto e delle forze dell’ordine il Partito Democratico ha battuto un colpo organizzando un direttivo aperto sul tema sicurezza, ma per rompere la dicotomia “percezione o realtà” servirà più partecipazione con il resto della città
L’intervento del Prefetto e delle forze dell’ordine in città per far fronte ai numerosi episodi di microcriminalità cittadina sembra abbia portato una momentanea calma dopo la bufera mediatica che, da un anno a questa parte, vede l’amministrazione comunale eporediese asserragliata e in difficoltà sul tema della sicurezza.
Una difficoltà oggettiva, certamente fondata e giustificata dal fatto che mai come nell’ultimo anno si erano moltiplicati gli episodi e le segnalazioni alle forze dell’ordine di disordini, risse e aggressioni in città, ma indubbiamente aggravata dall’incapacità della maggioranza di centrosinistra di rompere l’assedio mediatico e politico che le opposizioni cittadine hanno messo in atto alimentando le paure e cavalcando la domanda di “sicurezza”. Un’operazione collaudata, sempre efficace e addirittura scontata, che ha l’effetto di produrre minore partecipazione alla vita sociale e all’uso degli spazi urbani, favorendo, anche per questi motivi, l’incremento della devianza, quindi la militarizzazione del territorio, pratiche e leggi liberticide e così via in un circolo vizioso senza fine.
Nel tentativo di porre un freno alla narrazione dominante degli ultimi mesi il Partito Democratico eporediese ha infine deciso di battere un colpo e ha organizzato un incontro aperto il 10 aprile nella sua sede per discutere e affrontare il tema del disagio giovanile e della sicurezza in città. All’incontro è poi seguito un comunicato stampa che aiuta a far chiarezza su quanto affrontato in quella sede. «È importante notare – scrivono i democratici – che il problema non riguarda solo la città d’Ivrea, ma attraversa con le sue dinamiche tutte le città italiane». Data questa premessa «i problemi della sicurezza di un territorio sono prima di tutto espressione del grado di disagio vissuto da determinate categorie di cittadini, disagi di origine economica e sociale. […] Per questo affrontare la sicurezza in modo strutturale significa investire in progetti educativi, nella riqualificazione urbana, in servizi sociali e nel dialogo interculturale, in quanto solo una società coesa può dirsi davvero sicura».
Il Partito Democratico avanza poi una serie di proposte, tra cui «incontri periodici con i cittadini nei quartieri e con le associazioni per ascoltare e insieme valutare ipotesi di soluzione e interventi; emissione di comunicati stampa periodici sulle azioni svolte e su cosa s’intenda fare in accordo con le forze dell’ordine; formazione e informazione nelle scuole sul tema della legalità; riunioni della Conferenza dei Capigruppo per coinvolgere maggiormente il Consiglio Comunale».
Il fatto che quattro dei sei punti proposti dal PD siano orientati ad un maggior coinvolgimento della cittadinanza e dei suoi rappresentanti sembra confermare il sospetto che l’amministrazione Chiantore abbia peccato di un “deficit” di partecipazione sul tema della sicurezza in città e l’aver organizzato un incontro pubblico (presentato come “direttivo aperto”) all’interno di una “zona protetta” come la sede del PD lascia trapelare un certo timore nell’affrontare gli umori della popolazione cittadina; un timore comprensibile, considerate le armi spuntate di un’amministrazione locale su un tema che è materia delle forze dell’ordine e del Ministero degli Interni, ma non ci si può lasciar vincere dalla paura del confronto.
Un esempio virtuoso in tal senso arriva da Cuorgnè, dove il 12 aprile l’amministrazione, di concerto con la Confederazione Islamica Italiana e con la Federazione Regionale Islamica del Piemonte, ha organizzato un incontro pubblico dal titolo “I giovani nell’era dei Maranza”, un appuntamento nato dalla necessità di fare luce su un fenomeno complesso e per indagare le cause e i comportamenti che portano i ragazzi a far propri codici estetici forti – tute firmate, catene, tagli di capelli aggressivi – e comportamenti provocatori e aggressivi.
E quindi, in definitiva, aveva ragione il consigliere dell’opposizione De Stefano quando, alcune settimane fa, sul suo profilo social parlava di “una certa minimizzazione politica sul tema” da parte della maggioranza?
Dai banchi dell’opposizione è facile lanciare accuse in grado di far immediatamente breccia nella mente delle persone, ma ciò che sfugge al consigliere e, più in generale al dibattito pubblico è che il tema è veramente nuovo e trasversale nella società italiana, non solo a Ivrea. Perché il fenomeno emerge adesso e non è esploso prima? Cosa è cambiato nella società italiana rispetto qualche anno fa? Se è vero che gli autori delle risse e accoltellamenti degli ultimi casi di cronaca locale sono ragazzi provenienti dai CAS torinesi, chivassesi e della Valchiusella allora vuol dire che il problema arriva da lontano e ha origine dalle riforme degli ultimi anni in materia d’immigrazione, integrazione e accoglienza.
A metà marzo è stato pubblicato il settimo rapporto sul sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia realizzato da ActionAid e Openpolis nell’ambito del progetto Centri d’Italia. Il documento dal titolo “Un fallimento annunciato” analizza un quadro di problematiche gravi «ma – scrivono gli autori – affrontabili se solo l’attenzione fosse posta sulla gestione di un fenomeno strutturale come l’immigrazione, anziché ricorrere alla retorica dell’emergenza». Tra i provvedimenti analizzati «uno desta particolare preoccupazione, ovvero la creazione di un nuovo circuito di accoglienza dedicato a strutture “temporanee” che possono essere aperte in assenza di posti nei centri di accoglienza straordinaria (Cas) e in cui non è previsto alcun servizio per le persone accolte che non si limiti al semplice albergaggio».
Così, con una frase fatta, si potrebbe dire che “chi semina vento raccoglie tempesta”, perché se si riducono le risorse e si delegittimano le politiche e le pratiche di integrazione, se si criminalizzano la povertà e le diversità, se si affievoliscono le più generali tutele sociali, non c’è molto da stupirsi se qualcuno (soprattutto tra i più giovani e i più fragili) più o meno consapevolmente aderisca perfettamente e personalmente all’immagine e ai comportamenti dell’emarginato violento che gli è stata cucita addosso. Più telecamere, illuminazione e presenza di polizia possono nell’immediato accrescere la “percezione di sicurezza” e ancor più può servire certamente l’incremento delle occasioni di frequentazione sociale degli spazi urbani. Essenziale resta però indagare meglio e possibilmente intervenire sulle cause che generano tanta devianza.
Si tratta di processi e cause che hanno dimensioni e origini ben più grandi di una realtà locale, ma la comunità eporediese è in grado di comprenderli e può cercare di dare risposte un po’ più adeguate, efficaci e lungimiranti. Di certo non ce la può fare un’amministrazione comunale da sola, tanto meno se “assediata”.
Andrea Bertolino e ƒz