La crisi del metalmeccanico in Canavese: un campanello d’allarme per l’industria italiana

Giovedì 19 dicembre la Fiom-Cgil di Torino ha presentato i risultati di una ricerca svolta sulle imprese metalmeccaniche dell’Eporediese e Alto Canavese. E’ emerso un quadro drammatico: dal 2008 un terzo delle imprese ha chiuso e si sono persi più di 4.500 posti di lavoro.

Rendiamo merito alla Fiom-Cgil che mantiene il lavoro di indagine e analisi fra le priorità del suo mandato. Infatti, senza una consapevole situazione imprenditoriale e lavorativa di un territorio non si possono elaborare le corrette iniziative di lotta e proposizione.

L’incontro è stato introdotto da Gianni Ambrosio, responsabile della CGIL eporediese e calusiese, al tavolo con lui Barbara Barazza, responsabile settore Studi e Statistica della Camera di commercio di Torino, Gabriella Colosso, assessora al lavoro e pari opportunità al comune di Ivrea, Pasquale Mazza, sindaco di Castellamonte, Edi lazzi, segretario generale della Fiom-Cgil Torino e Federico Bellono, segretario generale della Camera del Lavoro di Torino.

Nel suo intervento Gianni Ambrosio ha voluto rappresentare un malessere che ancora oggi pervade il nostro territorio, perché la presenza di una grande azienda che era sinonimo di piena occupazione, per osmosi rendeva questo territorio attrattivo per i giovani che rimanevano e per le maestranze che arrivavano da fuori. Flussi ormai invertiti: i giovani lasciano il territorio e non vi sono più nuovi residenti legati al lavoro come in passato. Ambrosio ha voluto ricordare la fotografia restituita dalla ricerca condotta dalla Camera del Lavoro di Ivrea due anni che mostrava che il 95% delle imprese del territorio eporediese ha tra zero e nove dipendenti, il 4% tra 10 e 49 e meno dell’1% ha più di 50 dipendenti. Un territorio quindi di microimprese. «Dai numeri emerge in maniera preponderante ciò che da sempre denunciamo, – afferma Ambrosio – che al di là di alcuni contesti, vedi le eccellenze metalmeccaniche o i settori specifici (come il Bioparco arrivato a 800 lavoratori nel settore chimico, farmaceutico e biomedicale), una fotografia dove gli avviamenti al lavoro sono la rappresentazione di una situazione fatta di precariato, contratti a tempo determinato, in somministrazione, part-time involontari, che pervadono in maniera trasversale ormai tutte le fasce di età e genere. Solo il 14,5% dei nuovi contratti è a tempo determinato.
E come sempre a pagare il prezzo della crisi e delle politiche del lavoro dei vari governi sono le donne e i giovani che continuano a scappare alla ricerca di un futuro migliore

I risultati della ricerca

Comuni interessati alla ricerca

La ricerca della Fiom ha svelato un quadro desolante sullo stato di salute delle imprese metalmeccaniche del territorio. Dal 2008, anno in cui la crisi finanziaria globale ha iniziato a far sentire i suoi effetti: gli addetti del settore metalmeccanico nel Canavese erano 13.124 nel 2008, nel 2024 sono scesi a 8.597 con una perdita di 4.527 posti di lavoro pari al 35%, effetto della chiusura di 48 aziende su 167.

A pagare il prezzo più alto è stato il settore automotive, storicamente trainante per l’economia di Torino e provincia. In 16 anni hanno chiuso 17 aziende su 56 totali (30%) con la perdita di oltre 2.000 posti di lavoro (34%).

«Il Canavese viene spesso dipinto come un territorio industriale forte e dinamico, ma i dati ci dicono una storia diversa», ha commentato Edi LazziLa crisi ha colpito duramente il nostro territorio, lasciando dietro di sé un vuoto occupazionale e sociale difficile da colmare».

Le conseguenze di questa crisi si fanno sentire non solo a livello economico, ma anche sociale. La perdita di posti di lavoro ha un impatto diretto sulla vita delle famiglie, aumentando i livelli di disoccupazione e povertà. Inoltre, la chiusura delle aziende ha un effetto a catena sull’indotto, con ripercussioni negative su negozi, servizi e attività commerciali.

Nonostante le difficoltà, il Canavese conserva comunque un patrimonio di competenze e un potenziale di sviluppo ancora inespresso. «La provincia di Torino è ricca di competenze nel settore automotive, anche altamente specializzate dal design alla produzione. E rimane forte nel settore dello stampaggio a caldo”, ha sottolineato Lazzi – Dobbiamo investire su queste competenze e puntare su nuovi settori».

I dati della Camera di Commercio di Torino

E un po’ di fiducia la trasmettono i dati presentati da Barbara Barazza della Camera di commercio di Torino. Il Canavese vanta infatti un tessuto imprenditoriale solido e diversificato.

Secondo i dati della Camera di commercio di Torino, oltre il 10% delle imprese locali opera nel settore manifatturiero, con una forte presenza della metallurgia. Inoltre, il 20% è impegnato nei servizi alle imprese, in particolare edilizia e consulenza, un settore in crescita. Il territorio è caratterizzato anche da una vivace imprenditoria femminile (quasi 4.000 imprese, il 24,5% delle imprese femminili canavesane, il 7,7% nella Città metropolitana di Torino, CMTO) e straniera (oltre 1.300, 4,1% della CMTO), segno di un’apertura verso nuovi mercati e culture. Registrano un lieve calo le imprese giovanili, un segnale che richiede attenzione, che comunque si assestano al 7,3% delle aziende della CMTO, pari a 1450 unità. (Fonte: elaborazioni Camera di commercio di Torino su dati InfoCamere e Istat. – Primi nove mesi 2024)

E’ partito dall’imprenditoria femminile che cresce «ma resta ancora basso il tasso di occupazione femminile», l’intervento di Gabriella Colosso, assessora al Comune di Ivrea, che ha indicato quali sfide per la città per il 2025 lo sviluppo di «turismo e artigianato in parallelo con l’industria» annunciando inoltre la «presentazione a gennaio dell’avvio di uno studio per un “Osservatorio Lavoro”».

Le conclusioni, per nulla rituali, di Federico Bellono, segretario generale della CGIL Torino, hanno tracciato un quadro, purtroppo tanto grave quanto vero, della deindustrializzazione e della perdita di ruolo del territorio e di Ivrea in particolare. «Olivetti occupava 74.000 persone, di cui 25.000 in Canavese, c’era la Pininfarina a San Giorgio, la Sandretto a Pont Canavese, la Eaton a Rivarolo. Oggi – ha continuato Bellono – le più grandi aziende private del territorio sono Konecta (ex Comdata) e Dayco. E anche le competenze informatiche delle varie piccole e medie imprese, non costituiscono il focus, l’elemento connotante del territorio, almeno non più di Torino». Con la città di Ivrea passata, ha ricordato Bellono, «dalle velleità di diventare Provincia a “un” territorio della provincia di Torino» e «da esportare imprenditoria esemplare a esportare mala imprenditorialità (vedi Manital, nata dalla cessione della centrale termica Olivetti», per giungere a una classe dirigente locale, imprenditoriale e politica, che arriva «a seguire le favole di una gigafactory a Scarmagno».
Riduzione del numero di abitanti, invecchiamento superiore alla media, perdita di autorevolezza dei Comuni, sono i punti deboli del Canavese messi in fila da Bellono che, per quanto riguarda il territorio dell’Eporediese, aggiunge «l’inesistenza di un sistema industriale, che avrebbe potuto essere quello delle telecomunicazioni, ma non è stato» ma che oggi potrebbe essere «della formazione, anche sulla transizione ecologica, della cura e della mobilità».
Diverso il discorso di Bellono per l’Alto Canavese «perché lì è rimasto il sistema industriale (forse solo secondo in Europa) dello “stampaggio a caldo” per automezzi da lavoro e perché l’industria dell’auto, non solo Stellantis, non è scomparsa in Canavese».

In chiusura Bellono ha voluto evidenziare la scelta dello spazio dello ZAC! per un convegno della FIOM quale riconoscimento del ruolo sociale che svolgono queste “Zone Attive di Cittadinanza”.

cp, fz