Il processo è in corso da tempo, accelerato dall’attuale amministrazione, ma forse si può ancora arrestare. Con l’impegno e le iniziative di molti.
Come siamo messi, com’è messa Ivrea in questa fine 2019?
A vedere l’ultimo mese si direbbe un po’ meglio rispetto a un anno fa: piazza di Città piena il 14 dicembre per la manifestazione delle “sardine” o, poche sere dopo (il 19 dicembre), il teatro Giacosa affollato per lo spettacolo dei laboratori artistici con migranti e residenti insieme. E, qualche settimana prima, perfino il Consiglio Comunale che all’unanimità conferisce la cittadinanza onoraria a Liliana Segre. Avvenimenti che possono far credere che Ivrea sia ancora, nonostante tutto, quella cittadina aperta al mondo, accogliente e colta che la faceva sembrare molto più grande rispetto alle reali dimensioni (territoriali e demografiche).
In realtà questo 2019 che sta per concludersi ha mostrato a che punto, forse di non ritorno, sia arrivato il processo di provincializzazione, di “ridimensionamento” della città, iniziato già da tempo. Un processo del quale l’attuale amministrazione comunale delle destre è certamente più un prodotto che una causa. Semmai si può dire che questa amministrazione nella sua pochezza e inconsistenza sia l’interprete più adatta, ma non l’artefice di questo processo che fa tornare Ivrea ad essere ciò che era prima dell’Olivetti: un qualsiasi paesone di provincia.
Il culmine lo si è raggiunto a giugno, quasi in concomitanza (ironia della sorte) con l’inaugurazione della Targa Unesco davanti alla storica “portineria del pino” in via Jervis. Proprio nella notte precedente la celebrazione di Ivrea “patrimonio dell’Umanità”, a San Bernardo un tabaccaio uccideva un giovane scassinatore e, qualche sera dopo, centinaia di cittadini (con consiglieri comunali delle destre insieme a qualche ex consigliere comunale del PD e sindaco “a titolo personale”) scendevano a manifestare per strada, non lo sgomento o il dolore di una comunità per una tragedia avvenuta nel proprio territorio, ma la “solidarietà” nei confronti dell’omicida. Una manifestazione, impensabile a Ivrea fino a qualche tempo fa, che ha messo in mostra il più basso livello di civiltà toccato in questo 2019 dalla città.
Retorica olivettiana, riconoscimento Unesco, inaugurazioni di targhe e striscione di “Ivrea Città industriale del XX secolo” in bella mostra sul balcone del municipio non bastano più per mantenere l’immagine della città legata al suo civile e “glorioso” passato. Non a caso, esattamente un anno fa, nel dicembre 2018, l’amministrazione comunale eporediese iniziava a farsi in quattro per consentire l’insediamento di un supermercato coop vicino alla stazione, incurante degli effetti sulla zona di via Jervis, al centro (“core zone”) del riconoscimento Unesco. Il supermercato non si è fatto, ma la figura di amministratori proni e pronti a mendicare un qualsivoglia investimento è stata fatta.
E che dire della più recente notizia di uno stanziamento di 19,5 milioni per Ponte Preti a Strambinello? Scontata la rivendicazione del merito da parte del M5S (alla guida del governo nazionale e della Città Metropolitana), quella del centro destra (alla guida della Regione) e persino quella dell’Agenzia per lo sviluppo del Canavese, meno scontato il comunicato stampa della Giunta Comunale di Ivrea (a trazione leghista) che ringrazia la Giunta Regionale e riporta una dichiarazione di soddisfazione del “Consigliere regionale Andrea Cane (Lega)”. Un esempio di provincialismo e di palese uso a fini propagandistici degli strumenti di comunicazione istituzionale che non ha precedenti nella Città di Ivrea.
Come hanno pochi precedenti a Ivrea i “cambi di casacca” avvenuti nell’ultimo anno nella maggioranza comunale (Casali e Piras a febbraio dalla lista “Cambiamo Insieme” alla Lega e, in questi giorni, Borla da Forza Italia a “Cambiamo!”), cambi che, peraltro non suscitano alcun visibile sconcerto tra gli elettori dei consiglieri in questione e non sembrano scuotere l’amministrazione comunale.
Ma la misura del “ridimensionamento” della città è data anche dalle questioni che maggiormente accendono gli animi e il “dibattito politico” locale: carnevale, festa patronale, traffico, commercio. Non a caso (insieme all’assalto ai posti in consorzi ed enti) oggetto dei principali interventi, peraltro spesso controversi, dell’amministrazione comunale. Esattamente come accade in qualsiasi paese di provincia, senza che sia mai indicata, o almeno si intraveda, una visione del futuro della città (e della più larga comunità dell’Eporediese) che si vuole realizzare, la direzione che si intende seguire.
Il riconoscimento Unesco alla città, (unico) lascito delle due precedenti amministrazioni Della Pepa, oltre alla targa e allo striscione sul balcone del municipio ha finora prodotto qualche evento e, informa un comunicato stampa del 19 dicembre del Comune, è “in via di definizione un accordo di comodato d’uso gratuito” per la realizzazione in via Jervis, “nell’area della fabbrica ora di proprietà di ICONA”, di un “centro visitatori Unesco”. Un anno e mezzo per annunciare che è “in via di definizione” un centro visitatori Unesco!
Ma se neppure la prima e più banale valorizzazione del riconoscimento Unesco, quella turistica legata ai luoghi fisici e alle architetture, viene avviata sul serio e in tempi ragionevoli, come si fa a immaginare che questa amministrazione comunale possa mai avviare una valorizzazione della parte “immateriale” dell’utopia olivettiana, quella che è poi il vero senso del riconoscimento Unesco?
C’è chi localmente ci crede e ci prova, da un lato acquistando in via Jervis la “Fabbrica di Mattoni rossi” e il primo stabilimento ICO (la società ICONA, peraltro premiata per questo qualche giorno fa con una targa dalla Regione Piemonte), dall’altro proponendo occasioni di incontro, riflessione e confronto su esperienze di imprese in Italia e nel mondo che «assumono nei loro comportamenti economici le questioni ambientali e insieme la sostenibilità sociale, cioè la necessaria riduzione delle disuguaglianze», utilizzando le parole di Mario Calderini, presidente dell’associazione Il Quinto Ampliamento (della quale fanno parte ICONA insieme ad altre società e associazioni).
Apprezzabili propositi, quelli de Il Quinto Ampliamento, che appaiono però velleitari di fronte a un capitalismo dominato dalla finanza (“finanzcapitalismo” lo definiva Luciano Gallino). O che, peggio, si prestano, senza volerlo, a fornire (attraverso l’iscrizione quali “società benefit” o “B Corporation”) ad aziende non proprio stimabili la possibilità di “rifarsi la faccia” (ethical washing) o, solamente e più semplicemente, di “differenziarsi sul mercato” (come si legge sul sito delle “B Corporation” quale primo motivo per aderire).
Altra ironia della sorte, infatti, proprio nella settimana in cui a Ivrea si svolgeva l’evento annuale del Quinto Ampliamento, il 27 novembre scorso, gli operai edili della MGC Manital manifestavano in città per richiedere il pagamento di mesi di salari e contributi. Che c’entra? C’entra perché Manital è una delle società che fanno parte di ICONA e c’è un abisso tra non pagare i lavoratori e presentarsi come un’impresa ambientalmente e socialmente sostenibile, “un’impresa che si lega alla persona, al senso di comunità e solidarietà”, per usare le parole del movimento “Il Quinto Ampliamento”.
Una distanza tra apparenza e realtà che (come denuncia Bellono in altro articolo su questo giornale) è un tratto antico di Ivrea, giunto oggi a livelli veramente eccessivi. Emblematico il silenzio di tanti creditori di Manital a fronte di infiniti sproloqui e belle parole sul ruolo per il territorio di Vistaterra al castello di Parella (un po’, in scala, si è ripetuto quanto era accaduto anni fa per Mediapolis). Come pure, restando in questo 2019, la silenziosissima definitiva scomparsa del CIC o la mancanza di commenti alla sentenza con la quale la Cassazione ha detto che non ci sono responsabili per i morti di amianto in Olivetti.
Francamente appare improbabile che il processo di “ridimensionamento” di Ivrea si possa invertire facilmente e rapidamente. Molto dipende dalla capacità di attivazione sociale, dalla ricomparsa sulla scena politica dei giovani lavoratori, studenti e disoccupati. E dalla ripresa di voce di quel tessuto democratico e attento alle libertà civili che è sempre stato presente in questa città. Qualche segnale in questa direzione arriva dalle manifestazioni di quest’ultimo mese, dal tessuto associativo eporediese e dall’irrompere, nel discorso pubblico e tra i giovanissimi, della lotta contro il cambiamento climatico. Non resta che sperare che non si tratti di un “fuoco di paglia” e che l’impegno e l’iniziativa di molti possa ricreare le condizioni per una comunità civile, aperta, attenta alla sostenibilità sociale e ambientale.
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