Infosfera, anno 2019

Nel 2018 le tecnologie di rete si sono ormai trasformate in strumenti di dominio. La creazione e il consumo di dati e informazioni riflettono anch’essi la distribuzione del potere nella società e quindi diventa sempre più urgente costruire un’ecologia dell’infosfera

Le tecnologie dell’informazione, che negli anni ’80 rappresentavano uno strumento di accesso alla conoscenza e di comunicazione libera, in assenza di una seria riflessione sui rischi connessi alla concentrazione delle infrastrutture informatiche in poche mani, dalla fine degli anni ’90 si sono via via trasformate in uno strumento di dominio: in uno scenario dove non è vero che “uno vale uno”, i poteri forti hanno imparato molto velocemente a controllare la rete. Le piu’ grandi imprese del pianeta sono ormai proprio i “titani del Web”: Apple, Amazon, Facebook, Google, Microsoft, Tencent, Alibaba. Raccogliendo immense quantità di dati personali sono in grado di profilare le persone e di esporle a contenuti “su misura” sempre più precisi. Sofisticati algoritmi di intelligenza artificiale creano bolle virtuali dove le persone perdono la dimensione sociale della realtà, sono esposte a contenuti sempre più vicini alle proprie vulnerabilità, rischiano di vivere una sommatoria di solitudini. Il cosiddetto “lato oscuro” del digitale rischia di plasmare in modo incontrollato la società attraverso un potere sempre più centralizzato in punti di accumulazione di dati e ricchezza. Come ha dimostrato il recente caso della società informatica Cambrigde Analytica coinvolta nelle elezioni di Trump, oppure l’uso compulsivo dei social media da parte di molti rappresentanti istituzionali, il rischio è quello di vedere sfumare i pricipi di base della democrazia in un “mercato elettorale” dove vince chi ha la macchina marketing più potente dal punto di vista informatico.

In questo scenario iniziano però anche ad emergere interessanti contro tendenze. Nel 2019 uno dei miti ad entrare seriamente in crisi sarà il mito della cosiddetta “democrazia elettronica”. Il mito della completa disintermediazione, dove la partecipazione viene confusa con “un click sulla tastiera”, sta finalmente mostrando tutti i suoi limiti. Si riscopriranno i “corpi intermedi”, i luoghi di incontro, anche fisico, che hanno da sempre fornito barriere contro la disinformazione. Luoghi per confrontarsi con i propri simili, per costruirsi un codice di interpretazione della realtà, per costruire comunità di viventi. I segni di crisi di molte comunità virtuali, dove è ormai evidente che molti contenuti sono generati da software molto sofisticati, da automi programmati, lascia intravedere il tramonto del mito della “neutralità delle piattaforme”. Si stanno ormai svelando come dei veri e propri intermediari tecnologici che vivono alimentando la polarizzazione, il cinismo, l’odio.

Dall’habeas corpus all’habeas data

Il principio del “habeas corpus” ha rappresentato un grande salto nella storia delle civiltà e dei diritti.
Dalla sua prima comparsa, nella Magna Carta nel 1215, ha costituito un importante strumento per la salvaguardia della libertà individuale contro l’azione arbitraria del potere, fino ad essere riconosciuto nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 (“Nessun individuo potrà essere artibratiamente arrestato, detenuto, esiliato…”) e nella Costituzione Italiana (“… La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale“, Art.13).
Nel 2019 vedremo emergere l’urgenza di un analogo principio per l’infosfera: il pricipio del “habeas data“. Tale principio, apparso nella sua prima forma in Europa nel 1981 con la Convenzione sulla Protezione dei Dati, si è poi esteso a molti paesi del mondo. Esso riconosce al cittadino il diritto a chiedere quali dati relativi alla sua persona sono memorizzati e gestiti da organizzazioni, in modalità manuale o automatica.
Il concetto di “proprietà dei dati” forse non è però sufficiente. Di fronte alla sempre più diffusa pratica di monitorare i comportamenti e gli spostamenti delle persone, diventa urgente riconoscere il diritto a controllare l’uso dei dati personali, a prescindere dalla “data ownership”. Un esempio: una persona potrà anche non essere “proprietaria” del dato relativo ad una sua malattia, ma dovrà essere riconosciuto il suo diritto a controllare l’uso che di tale dato viene fatto. In particolare dovranno essere posti al centro dell’attenzione i nuovi diritti: a non subire una sorveglianza “sproporzionata”, a non subire manipolazioni subdole del comportamento, a non essere discriminati sulla base di dati. Forse è arrivato il momento di un “Bill of Data Rights” (Tisne, 2018). Richiama il famoso Internet Bill of Rights, una costituzione per Internet, proposto da Stefano Rodotà già nel 2007: senza regole vince il più forte, anche in rete (Rodotà, 2007).
Nel 2019 si consolideranno anche molte sperimentazioni rivolte ad educare i più giovani all’uso responsabile delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ad esempio, imparare a: non temere le rettifiche, dare voce ai più deboli (perché le parole possono avere anche gravi conseguenze), sostenere con argomenti le proprie posizioni, ascoltare le altre posizioni, comunicare in rete con la stessa responsabilità che si ha nel comunicare dal vivo.
Ottimismo? No, “post-pessimismo”.

“Passeggere: … Quella vita ch’è una cosa bella,
non è la vita che si conosce,
ma quella che non si conosce;
non la vita passata, ma la futura.
Coll’anno nuovo,
il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri,
e si principierà la vita felice.
Non e’ vero?
Venditore: Speriamo.
Passeggere: Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.”
Giacomo Leopardi, 1835.
Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, Operette Morali.

Riferimenti
– Rodotà S. (2007), Una Carta dei diritti del web, LaRepubblica, 20 Novembre 2007.
– Tisne M. (2018), It‘s time for a Bill of Data Rights, MIT Technology Review, 14 Dicembre 2018.

Norberto Patrignani
Ivrea, 26 Dicembre 2018