Quante volte abbiamo usato (e usiamo e useremo) questi due nomi quando siamo in giro per il mondo per indicare la nostra città di provenienza?
Forse, in un futuro prossimo o lontano, Ivrea potrà essere connotata per qualche altro motivo, ma da molti deceenni è la città dell’Olivetti e del vescovo Bettazzi.
Fatta a pezzi (da quel “finanzcapitalismo” di cui parlava una dozzina d’anni fa un “ex olivettiano” qual era Luciano Gallino) e scomparsa da tempo la prima, ci ha lasciati oggi anche Luigi Bettazzi. E se l’Olivetti ha lasciato segni profondi in città e oggi è un “modello” (citato, spesso a sproposito, per operazioni di “social e ethical washing”) proprio per quella “civiltà del denaro in crisi” (per usare ancora Gallino), altrettanto profondi e meno equivocamente utilizzabili sono i segni lasciati da Bettazzi.
Innumerevoli sono le testimonianze, i ricordi, i ringraziamenti che in queste ore si susseguono su tutti i media per la scomparsa di una persona e una vita straordinaria connotata dall’impegno primario per la pace, l’ecumenismo, l’attenzione al sociale, le posizioni più avanzate sui diritti civili, le scelte convinte e scomode (quelle che non fanno far “carriera”).
Sarà un caso se neppure nella recente parentesi dell’amministrazione comunale di centrodestra, Ivrea ha perso il suo connotato di città per la pace?
E se è forse l’unica città italiana in cui dal 24 febbraio 2022 ogni sabato c’è un presidio per la Pace?
E come spiegare l’anomalia di una piccola cittadina di provincia che, nel profondo Nord, nonostante l’ondata nazionalista e di odio che attraversa l’Italia e l’Europa, riesce (come è successo solo due mesi fa) a eleggere al primo turno un’amministrazione locale democratica e progressista?
Non è azzardato affermare che sono solo alcuni dei segni lasciati alla città, più inequivocabilmente da Bettazzi che dal passato olivettiano, peraltro sempre più lontano.
Sono rare le persone che riescono a incidere così profondamente nella vita e nell’identità stessa di una comunità e Ivrea ha avuto la fortuna di averne, e a lungo, una come Luigi Bettazzi (che è stato e resterà “il vescovo di Ivrea”, un po’ come Sandro Pertini è stato e resterà “il presidente della Repubblica” italiano).
Mancherà, certamente, ma toccherà ai tanti che l’hanno amato e hanno imparato qualcosa da lui, lavorare perché Ivrea sia sempre più una comunità aperta, accogliente, vivace, democratica, antifascista, solidale, capace di combattere la disumanità (oggi persino esibita), di guardare oltre la sua dimensione e di prestare attenzione e cura alle peggiorate condizioni sociali e al divario materiale e culturale crescente.
fz