Si sono concluse le indagini sui sindaci di Torino, i presidenti della Regione Piemonte e gli assessori all’ambiente degli ultimi due mandati, accusati di inquinamento ambientale. Nell’epoca dei rischi incrociati provocati da particolato, sostanze inquinanti ed epidemie, è dubbia l’efficacia di una tale mossa legale
L’inquinamento continua a rappresentare un problema per la nostra regione ma forse, per una volta, non si ricorre al solito discorso riguardante i consumi, le abitudini e le responsabilità dei singoli cittadini. Esiste, infatti, dal 2015 la cosiddetta legge 68 sugli ecoreati, che amplia il sistema penale in modo da includere anche i delitti ambientali. Come si può leggere da un dossier di Legambiente sembra che l’introduzione di questa legge abbia portato a significativi passi avanti nell’individuazione di enti e aziende responsabili di attività di degrado ambientale. In particolare, questo nuovo strumento giuridico permette di puntare il dito sui vertici delle amministrazioni: sull’onda di quanto succede già in Francia, in cui lo Stato viene dichiarato colpevole per negligenza nel condurre la lotta al riscaldamento globale, a Torino è stata recentemente chiusa un’indagine contro i sindaci, i presidenti regionali e gli assessori dell’ambiente delle ultime due giunte, accusati di non aver attuato le misure necessarie ad arginare l’inquinamento che perseguita l’area metropolitana di Torino e in generale l’intera regione Piemonte.
Pericolosamente esposti
Il reato a cui si fa appello è quello di inquinamento ambientale, il 452 bis, entrato in vigore a seguito della sopracitata legge sugli ecoreati. Le indagini si sono avviate a seguito di un esposto presentato da un avvocato appartenente al Comitato Torino Respira, Marino Careglio: nell’esposto si fa riferimento ai recenti dati dell’Arpa, in cui si mostra come l’inquinamento provochi circa 900 morti ogni anno nella sola città di Torino, riducendo di 22,4 mesi la speranza di vita del cittadino medio. L’esposto è stato presentato nell’aprile 2017, e non poteva prevedere quanto questi dati avrebbero acquistato in significatività oggi, inseriti nel contesto dell’attuale epidemia da Sars-Cov-2. Sono diversi, infatti, gli studi che associano l’incidenza del virus alla concentrazione di polveri sottili nell’aria e che dunque individuano nell’area padana, cronicamente inquinata, una delle zone più duramente colpite dalla Covid-19. Ma c’è di più: è di recente pubblicazione uno studio dei ricercatori del NICO, l’Istituto di Neuroscienze dell’Università di Torino , che rivela una connessione tra gli alti tassi di inquinamento e la sclerosi multipla. Le polveri sottili (soprattutto il PM2,5), infatti, ostacolerebbero la riparazione della mielina e dunque la rigenerazione dei tessuti del sistema nervoso. Un ulteriore fattore di rischio, questo, che aggrava ulteriormente le accuse rivolte ai membri della giunta torinese e regionale.
Testa sotto la sabbia (del Sahara)?
Nonostante i rapporti annuali di Legambiente sulla qualità dell’aria restituiscano dati sempre più preoccupanti per molte città italiane, e in particolare per Torino, i rapporti dell’agenzia regionale Arpa mantengono toni perlopiù rassicuranti: l’ultimo, quello dell’anno 2020, è anzi particolarmente ottimista nell’evidenziare come le misure restrittive e le condizioni metereologiche particolarmente favorevoli abbiano portato a una qualità dell’aria migliore della media. Per i pochi valori rilevati oltre le soglie di sicurezza (forse troppo permissive?) ci si affretta a trovare spiegazioni concilianti: la centralina non è affidabile, le criticità non sono gravi, etc. Per quanto riguarda Ivrea, nonostante spesso i valori si trovino al limite delle soglie, non sembrano emergere problematicità salvo che per le concentrazioni di PM10, problema condiviso da un gran numero di comuni dell’area metropolitana. I giorni in cui a Ivrea si è sforata la soglia giornaliera di 50 μg/m3 sono stati, l’anno scorso, 43, otto giorni in più rispetto alla soglia di sicurezza. A Torino, la situazione è ancora peggiore; tuttavia, il tono generale del rapporto dell’Arpa Piemonte sembra ottimista e conciliante, rilevando come ci sia un generale trend di miglioramento della qualità dell’aria negli ultimi anni. Eppure, come ogni anno, l’emergenza smog preoccupa ambientalisti, scienziati e singoli cittadini, che rilevano come la qualità dell’aria sia, come al solito, pessima e come le misure anti-smog prese dalle amministrazioni si rivelino insufficienti. La spiegazione, come sportivamente si è affrettata ad affermare una nota testata giornalistica, c’è: sono le polveri sahariane. Sarebbe questo fenomeno estemporaneo, e quindi più interessante che preoccupante, a provocare allarmismi sulla qualità dell’aria, che per qualche giorno a fine febbraio è risultata peggiore nel Parco del Gran Paradiso che a Torino. Meno male, sembra trasparire dal discorso, possiam tornare a fare gli struzzi e a ignorare il problema.
Mani avanti
Tutti i politici coinvolti nelle indagini si sono affrettati a dichiararsi innocenti rispetto alle accuse, nonché stupiti che il proprio operato sia stato criticato. L’attuale sindaca Chiara Appendino si scherma dietro ai complimenti ricevuti per i suoi sforzi ambientali addirittura a livello europeo: sforzi fatti di mobilità smart, auto elettriche, monopattini elettrici e motorini elettrici che si aggiungono malamente alle auto in circolazione invece che sostituirle, oltre che di piste ciclabili che assomigliano ai serpenti di Snake, il giochino per cellulari, nei momenti di massima entropia. L’ex sindaco Piero Fassino si è detto invece “sconcertato”, riservandosi di presentarsi ai magistrati quando avrà le idee più chiare (strategia prontamente condivisa da tutti gli accusati). Anche l’ex presidente regionale Sergio Chiamparino si è meravigliato che qualcuno abbia avuto da ridire sulla propria condotta in campo ambientale, mentre l’attuale presidente Alberto Cirio ha velatamente lasciato trasparire che il proprio operato, per quanto virtuoso, poggiava sulle basi traballanti delle amministrazioni precedenti. L’attuale assessore all’ambiente Matteo Marnati, ovviamente coinvolto nelle indagini insieme ai suoi predecessori, attende che la conciliante documentazione dell’Arpa risponda nel merito delle contestazioni di carattere esclusivamente “tecnico e scientifico”; nel frattempo, predispone con zelo i tradizionali blocchi al traffico. Si assiste alla solita retorica per cui la scienza e la tecnica sono separate dalla politica mentre, in realtà, è proprio chi amministra la cosa pubblica che deve saper introdurre le giuste misure informate dai fatti portati dalla scienza.
Sguardi ristretti
Sull’efficacia dell’azione legale per il reato di inquinamento ambientale è ragionevole avere molti dubbi, soprattutto se nel mirino ci sono i vertici dell’Amministrazione. Se si lascia da parte, però, la fiducia in un’efficacia strettamente giuridica, si può però sperare nella crescita della consapevolezza collettiva nell’individuare i responsabili del degrado ambientale. Avere un nuovo strumento, quello giuridico, per colpire attori finora difficilmente individuabili dal punto di vista giuridico è sicuramente un passo in avanti nella lotta al deterioramento degli ambienti umani e non, ed è giusto dedicarvi la giusta attenzione mediatica. In questo senso, il lungo silenzio in cui sono entrati i media e gli stessi interessati a riguardo fa presagire il lavorio strategico e sotterraneo che stanno svolgendo gli eserciti di avvocati per ostacolare il processo in atto. Inoltre, l’inquinamento continua ad essere un fenomeno complesso e pervasivo, decisamente inafferrabile: lo si potrebbe quasi definire, con Timothy Morton, un iperoggetto e, come tale, difficilmente inseribile in un sistema normativo e giuridico conservatore e decisamente poco flessibile come il nostro. Le responsabilità sono difficilmente assegnabili, le colpe poco chiaramente definibili. La natura stessa del fenomeno non è ben chiara nemmeno a chi lo denuncia: gli effetti dell’inquinamento sulla salute, lo vediamo chiaramente in relazione all’attuale pandemia, non possono essere considerati in isolamento. Concentrarsi sugli effetti delle singole particelle, o del solo fenomeno dell’inquinamento dell’aria, separandoli dal contesto porta inevitabilmente ad un processo di cronica sottovalutazione degli effetti. Come fa notare Gianluca Garetti in un rivelatore articolo comparso sul terzo numero della rivista Epidemia, edita dall’omonimo collettivo: “l’attuale prassi di valutazione del rischio è di solito eseguita su una sola sostanza alla volta. Il numero di combinazioni di sostanze chimiche è potenzialmente immenso e molteplici sono le miscele di composizione non nota riscontrabili nell’ambiente. La diffusione di questi cocktail di sostanze è allarmante, per la difficoltà di valutazione, e per il crescente livello di esposizione negli alimenti e nell’ambiente. Il rischio derivante dalle sostanze chimiche risulta così sottostimato, si parli di aeroporti, di inceneritori, di impianti industriali, di pesticidi, di traffico, di caminetti etc. etc.” (p. 71).
Siamo nell’era del “Mixocene”, in cui l’effetto combinato dei prodotti rilasciati dalle attività dell’uomo influenza in modo imprevedibile gli ecosistemi. Sono all’altezza di tale complessità i nostri miopi rappresentanti eletti democraticamente? Hanno uno sguardo sufficientemente ampio? C’è da chiedersi se, oltre ad esigere punizioni per la mancanza di responsabilità di chi ha il compito di prendere decisioni, non sia arrivato il momento di mettere in discussione i processi decisionali stessi, la cui inadeguatezza oggi emerge con particolare urgenza.
Lara Barbara