L’Italia si ferma in solidarietà con la Palestina. L’inaspettata ricomparsa dell’uomo comune inceppa la propaganda di Israele, e come effetto collaterale si torna a parlare del diritto di sciopero
Dopo che sabato 20 settembre 15.000 persone hanno invaso le strade di Torino in solidarietà con la Palestina e con la Global sumud flotilla, la marea umana torna a occupare vie e ferrovie del capoluogo piemontese in occasione dello sciopero nazionale di lunedì 22.
Una mobilitazione enorme, come non se ne vedevano da tempo, e che è andata in scena con proporzioni simili in tutta Italia: 80 cortei sul territorio nazionale e piazze piene praticamente ovunque. La promessa di bloccare l’Italia partita dai portuali di Genova è stata mantenuta, e in questi giorni l’Italia spicca su giornali e siti di tutto il mondo per l’impresa compiuta.
Una promessa mantenuta nonostante il continuo assalto mediatico dei grandi media, nonostante l’opposizione del governo, nonostante il generale senso di sconforto e impotenza che oggi accompagna quasi ogni tentativo di protesta. Non questa volta però.
La mobilitazione si è infatti caratterizzata per la partecipazione incredibilmente ampia e variegata, che ha coinvolto anche le fasce di popolazioni solitamente più impermeabili agli eventi globali, o comunque per nulla abituate a scendere in piazza. I pacati, i moderati e la gente comune questa volta non sono rimasti indifferenti, alla faccia dello stereotipo dell’italiano menefreghista e interessato solo al proprio tornaconto tanto comodo quando si vuole svalutare ogni protesta.
Ma c’è persino di più: la mobilitazione ha riportato al centro del dibattito anche il tema del diritto allo sciopero, che dal 1800 a oggi si conferma la più efficace forma di lotta non violenta conosciuta. A partecipare questa volta sono infatti anche gli assenti: tutti quei lavoratori a contratti a chiamata, le finte partite Iva, i lavoratori in nero e quelli con un contratto perennemente in scadenza, troppo deboli per potersi ribellare al ricatto sociale senza subirne pesanti conseguenze. Tanti gli scritti, i commenti e le dichiarazioni di solidarietà di chi avrebbe voluto esserci, ma la cui eterna precarietà non l’ha permesso. A dimostrazione non solo dei pericoli derivati dall’indebolimento dei diritti dei lavoratori, che sono poi i diritti del popolo e di chi protesta, ma anche di quanto il supporto per la Palestina e contro il genocidio sia addirittura più ampio della marea umana di questi giorni.
L’inaspettato fenomeno Iacchetti che inceppa l’ingranaggio della propaganda
I media nazionali ci hanno provato come sempre: prima fornendo numeri non credibili, facilmente smentiti dalle foto e dai video che circolano in rete. Poi concentrandosi sui tafferugli in stazione a Milano, cercando di dipingere le enormi mobilitazioni di questi giorni come degli hooligans in cerca di pretesti per divertirsi a spaccare cose. Non gli è riuscito tanto bene però: in parte sicuramente perché chiedere di provare empatia per le vetrine di Milano dopo 2 anni e mezzo di genocidio in streaming 24 ore su 24 risulta complicato, in parte perché con i numeri mobilitatisi in tutta Italia, che gli scontri siano avvenuti solo a Milano non è particolarmente impressionante, quasi fisiologico.
Quello che però ha davvero inceppato l’ingranaggio della propaganda mediatica è stato, fa davvero strano dirlo, quello che potremmo definire il fenomeno Enzo Iacchetti. Comico televisivo ed ex conduttore di Striscia la notizia, programma non particolarmente edificante figlio della grande ondata berlusconiana, Iacchetti è saltato agli onori della cronaca per la sua reazione scomposta alle parole del presidente della Federazione amici di Israele Eyal Mizrahi, che ha commentato i numeri dei bambini morti in Palestina con la frase «Definisci bambino». Una sfuriata divenuta virale non solo perché oggettivamente divertente da vedere, ma anche perché rappresentativa dell’esasperazione dell’uomo comune di fronte a 2 anni e mezzo di genocidio. Un sussulto di coscienza e di umana decenza che si credeva ormai perduto.
Così le manifestazioni di lunedì han visto la partecipazione di un enorme quantitativo di persone solitamente molto distanti da qualsiasi forma di protesta o attivismo. Evidentemente c’è un limite, quando è troppo è troppo, e non c’è anestetico sociale che tenga. Se anche il medio spettatore di Mediaset scende in piazza, allora la gargantuesca macchina della propaganda israeliana ha davvero perso su tutta la linea.
La protesta di chi non c’era e il privilegio di sciopero
Anche chi non c’era avrebbe voluto esserci. Un desiderio esplicitato dai tanti commenti e post che in questi giorni chi non ha potuto aderire allo sciopero sta pubblicando sui propri canali. Perché poter aderire a uno sciopero oggi in Italia non è più un diritto, ma un privilegio. Attenzione, non perché chi può aderire sia un fortunato, un fannullone o un figlio d’arte, immaginario che la destra cerca da sempre di dipingere. Scioperare è divenuto un privilegio perché i diritti contrattuali sono stati negli anni volontariamente fatti a pezzi, da una classe dirigente che ha agito per favorire il precariato e sfaldare l’unità dei lavoratori. Perchè lo sciopero rimane tutt’ora lo strumento di lotta non violenta più efficace che i lavoratori possiedono per far valere i propri diritti contro lo strapotere del capitale.
Certo, ancora non si può licenziare ufficialmente qualcuno per aver aderito a uno sciopero. Ma come faccio ad aderire se sono uno dei tanti lavoratori a chiamata, in nero o con il contratto rinnovato di 3 mesi in 3 mesi, con l’acqua sempre alla gola e la consapevolezza che dietro di me c’è qualcuno di ancora più disperato pronto a prendere il mio posto?
La scomparsa del contratto a tempo indeterminato, oggi più raro di un tartufo bianco, ha creato masse di lavoratori ricattabili, impossibilitati, oltre che volutamente disabituati e disincentivati, a mobilitarsi. Questa volta però anche la massa dei precari ha alzato la testa, dando voce di protesta alla propria assenza dallo sciopero con post e commenti pubblici. Una presa di coscienza e un ritorno dell’attenzione sull’importanza dei diritti contrattuali e di un lavoro sicuro e dignitoso, il cui valore non riguarda solo la propria sopravvivenza individuale, ma l’intera capacità di mobilitazione collettiva. Qualcosa che in questo paese non si vedeva forse da decenni.
La Palestina, con tutto il suo inimmaginabile dolore, ma anche con la sua storia di estrema resistenza e incrollabile voglia di vivere, sta davvero salvando il mondo
Lorenzo Zaccagnini