Il biellese e la colonizzazione dei rifiuti

Dopo aver ottenuto parere negativo da parte della Provincia di Biella, la Life Company A2A si “autocorregge”: la sede giusta per valutare il progetto dell’inceneritore di Cavaglià è la Regione e non la Provincia. Peccato che sia stata proprio l’azienda lombarda a presentare istanza in Provincia. Tutto da rifare?

È notizia di questi giorni che A2A, il colosso energetico quotato in borsa, la fu azienda municipalizzata di Milano, dopo un ritiro di progetto perché inadeguato, un secondo progetto, due procedure di Valutazione d’Impatto ambientale, due Inchieste Pubbliche, svariate Conferenze dei Servizi e, infine, un diniego da parte dell’organo competente, ci spiega che abbiamo sbagliato tutto.

Parrebbe, uso il condizionale perché è al momento solo notizia giornalistica, che A2A abbia fatto ricorso contro la Provincia di Biella per il no all’inceneritore di Cavaglià del luglio scorso.
Lo avrebbe fatto ponendo come motivazione principale l’errata sede del procedimento, che avrebbe dovuto essere la Regione Piemonte e non la piccola Provincia di Biella.

Lo apprendo da La Stampa di Biella del 26 ottobre.

Fino ad ora tutti noi (istituzioni, Comuni, enti, associazioni, organizzazioni politiche e compagnia cantante) abbiamo seguito A2A nella SUA istanza in Provincia; ebbene, scopriamo solo ora che, secondo la stessa A2A, l’art. 117 della Costituzione indicherebbe la Regione Piemonte quale ente per decidere nel merito del progetto di un inceneritore per rifiuti speciali a Cavaglià e non la Provincia di Biella, a cui la stessa A2A si è, fino ad ora, rivolta.
Uno scherzo che è costato tempo e soldi a istituzioni, Comuni, enti, associazioni, organizzazioni politiche e compagnia cantante ma che, evidentemente, non pesa così tanto al colosso energetico.

La Life Company solo a fronte del diniego si accorge che la competenza dovrebbe essere regionale. Se può succedere tra ragazzi che, giocando una partita di pallone, colui che sta perdendo e che ha portato la palla minacci di andarsene, qui il colosso energetico va oltre. Dice, a partita finita (o pochi minuti prima del termine), che si deve ripetere tutto il procedimento perché si è proprio sbagliato campo. E il campo lo imporrebbe uno dei due contendenti, non è stabilito da un ente terzo, sopra le parti, da una norma che tutti riconoscono. No, il privato disporebbe in vece del pubblico.

Sembra proprio una presa in giro giuridico/procedurale, ma, mi domando e dico, se questa azienda abbia un minimo di coscienza delle spese che continua a imporre al nostro territorio; spese reiterate per continuare a sentirsi dire che non ci interessa proseguire nella strada che dagli anni ‘90 vede il basso Biellese come Terra del rifiuto, luogo dove accumulare discariche e impianti di trattamento.

Questa insistenza è una coazione a ripetere fatta in barba a qualsiasi buon senso.
Prima ancora della norma, che vorrebbe che non si accumulassero rischi su rischi, che non si condannasse per sempre un territorio a essere la pattumiera del nord ovest, si dovrebbe usare, appunto, un po’ di giudizio.
Pare che il buonsenso non sia una qualità delle aziende lombarde che vogliono continuare a colonizzare il Biellese con l’impiantistica per il trattamento di rifiuti.
Acqua e sole, azienda lombarda che vuole realizzare una discarica di amianto a poca distanza dai campi coltivati con il Riso di Baraggia, ha recentemente visto il parere positivo del Consiglio di Stato che le consente di realizzare il suo progetto. Forse.

A2A, invece, non paga del paradosso di avere ella stessa sbagliato ente a cui indirizzare la richiesta per presentare il progetto dell’inceneritore di Cavaglià, si spinge ancora più in là acuendo quel conflitto che, da sempre, contrappone la città di Torino, la metropoli (un tempo sede del regno), contro le altre piccole città piemontesi, la provincia.
Scrive infatti A2A nel proprio ricorso, sempre secondo quanto riportato da La Stampa di Biella, che non corrisponderebbe al vero che il progetto di termovalorizzatore presentato non rispetti il principio di prossimità.

La Città Metropolitana di Torino è così “vicina” al basso Biellese che non si capisce per quale motivo non sia stata invitata al tavolo per poter portare altri rifiuti in Valledora.
Perché mai non capire che dobbiamo accogliere i rifiuti industriali dell’area torinese, ritenendola prossima a quella biellese ed ignorare che il baricentro produttivo dei rifiuti speciali è posto tra Torino e il sud Piemonte?

Forse che la Terra del rifiuto, la Valledora, collocata tra le Province di Biella e Vercelli, non lo abbia fatto fino ad ora nelle numerose cave trasformate in discariche?
Perché mai non dovremmo sacrificare ancora alla crescita e allo sviluppo della Città Metropolitana di Torino l’area depressa e in fase di continuo spopolamento che è ai piedi del Mucrone ed è l’accesso all’Anfiteatro Morenico d’Ivrea?

L’ho già scritto e lo ribadisco: questo è bullismo. Bullismo di un’azienda che può permettersi continui procedimenti, ricorsi e azioni legali facendosi forza delle sue capacità economiche. Un bullismo delle aree economicamente più “avanzate” del Paese contro quelle più periferiche e marginali, da sommergere di rifiuti non loro.

In epoca di transizione ecologica, nella sua accezione autentica, questo colonialismo è radicalmente in conflitto con l’interesse generale.
Le aree marginali non vanno “pesate” solo in termini di popolazione o di rilevanza economica, vanno soprattutto rivalutate per le risorse che forniscono (aria, acqua, cibo, energia) e, soprattutto, per il potenziale di alternative che possono essere, o che già sono.

L’Osservatorio Turistico ha rilevato che nel “primo semestre 2024 i movimenti turistici nel Biellese risultano in aumento rispetto allo stesso periodo del 2023 (+3,9% negli arrivi e +6,6% nei pernottamenti).
In questa prima fase, la crescita nel Biellese è stata superiore rispetto a quella registrata sul territorio regionale (+2,1% negli arrivi e +4,6% nelle presenze)”.
Questi dati non sono un solo indice positivo di un trand economico, ma illustrano l’attenzione che, i residenti in città hanno verso le aree interne e i luoghi abbandonati.

Questo interesse, se ben gestito e indirizzato verso il rispetto del paesaggio e delle risorse naturali, può essere il primo passo verso una reale transizione ecologica. Intorno a questo fenomeno dobbiamo concentrare le iniziative e gli sforzi per il futuro.

Gli articoli 9 e 41 della nostra Costituzione, modificati quasi esattamente due anni fa, lo dicono chiaramente.

  • «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
  • «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali».

Tra tutti gli articoli e i principi della Costituzione a cui riferirsi in questa vicenda, questi mi sembrano più rilevanti rispetto a quello tardivo avanzato nel ricorso di A2A relativo all’ente competente per il rilascio, o meno, dell’autorizzazione ambientale.

Ettore Macchieraldo