Disprezzare la diplomazia, cercare la vittoria
Da quando è iniziata la guerra in Ucraina, il 24 febbraio 2022, la risposta della NATO, principalmente articolata e materialmente attuata dagli Stati Uniti, è stata quella di versare grandi quantità di benzina sulle fiamme del conflitto, aumentando la portata della violenza, l’entità delle sofferenze umane e incrementando pericolosamente il rischio di un esito disastroso.
Washington non solo ha mobilitato il mondo per denunciare l’aggressione della Russia, ma ha fornito armi avanzate in grandi quantità agli ucraini per resistere all’attacco russo, e ha fatto tutto il possibile all’ONU e altrove per costruire una coalizione punitiva ostile alla Russia, accompagnando il tutto con una serie di sanzioni e la demonizzazione di Putin come un noto criminale di guerra inadatto a governare. Questa prospettiva di propaganda di Stato è stata fedelmente veicolata da un filtro mediatico occidentale autocensurante che ritraeva quotidianamente e esplicitamente gli orrori della guerra vissuti dalla popolazione civile ucraina e da un nuovo entusiasmo orientato all’Occidente per la raccolta da parte della Corte Penale Internazionale di quante più prove possibili sui crimini di guerra russi. Tale posizione contraddiceva la sua intensa opposizione passata agli sforzi della CPI di raccogliere prove per un’indagine sui crimini di guerra da parte di non firmatari in relazione al ruolo degli Stati Uniti in Afghanistan o a quello di Israele nella Palestina occupata.
In una certa misura questa presentazione unilaterale era prevedibile, ma la sua intensità in relazione all’Ucraina è stata pericolosamente irresponsabile e dilettantesca rispetto ai più ampi interessi umani in gioco e, in senso profondo, al benessere dell’Ucraina e del suo popolo.
Persino Stephen Walt, un influente commentatore della politica estera statunitense, che è un critico prudente del fallimento di Biden nel fare del suo meglio per spostare il sanguinoso scontro in Ucraina dal campo di battaglia a quello diplomatico, si unisce tuttavia al coro dei guerrafondai affermando in modo fuorviante e senza alcuna qualificazione che “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è illegale, immorale e ingiustificabile” (Walt, “Perché Washington dovrebbe prendere sul serio le minacce nucleari russe“, Foreign Policy, 5 maggio 2022).
Per evitare il peggio è necessario analizzare il contesto
Non che una tale caratterizzazione sia scorretta in quanto tale, ma se non ammorbidita da spiegazioni sul contesto, essa conferisce credibilità alla mentalità bellicosa e moralista mostrata dalla presidenza Biden. Forse Walt e altri di analoga convinzione hanno assunto questa posizione di assecondare la rappresentazione pubblica della crisi ucraina come parte di un patto faustiano per ottenere un posto a tavola in modo che il loro messaggio di cautela potesse essere efficacemente trasmesso. Per essere chiari, anche se si può sostenere che la Russia/Putin ha lanciato una guerra illegale, immorale e ingiustificata, il contesto è importante se si vuole ripristinare la pace ed evitare la catastrofe. Per prima cosa, l’attacco russo potrebbe essere tutte queste cose, e tuttavia far parte di un modello geopolitico di comportamento consolidato che gli Stati Uniti stessi hanno stabilito in una serie di guerre a partire dalla guerra del Vietnam, e in particolare più recentemente con la guerra del Kosovo, la guerra in Afghanistan e la guerra in Iraq.
Nessuna di queste guerre era legale, morale e giustificabile, anche se ognuna di esse godeva di una logica geopolitica che le ha rese convincenti per le élite della politica estera statunitense e per i suoi più stretti partner alleati. Naturalmente, due torti non fanno una ragione, ma in un mondo in cui gli attori geopolitici godono della licenza di perseguire i propri interessi strategici, non è oggettivamente difendibile condannare con tanta rettitudine la Russia senza tenere conto di ciò che gli Stati Uniti hanno fatto nel mondo per diversi decenni.
In un momento di frustrazione un po’ acuta, George W. Bush, dopo che nel 2003 non era riuscito a ottenere l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU all’uso della forza per cambiare regime contro l’Iraq, dichiarò che l’ONU avrebbe perso la sua “rilevanza” se non avesse assecondato il piano d’azione imperiale americano, e così fece.
Diritto di veto e divieto di aggressione; sono conciliabili?
L’ambiguità sul diritto internazionale deriva dall’equivoco della stessa Carta delle Nazioni Unite, che afferma che tutti gli usi non difensivi della forza sono proibiti, una posizione rafforzata dallo Statuto di Roma emendato che governa la Corte Penale Internazionale, dichiarando l’aggressione come un crimine contro la pace, e conferendo al contempo un diritto di veto.
Come si può conciliare questo diritto di veto conferito ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, che ha l’effetto di precludere qualsiasi decisione che contrasti con i loro interessi strategici, con il divieto di aggressione.
Tale diritto di eccezione è completato dall’esperienza del diritto penale internazionale, che da Norimberga a oggi ha esentato dalla responsabilità gli attori geopolitici dominanti, anche per atti incredibili come il lancio di bombe atomiche su obiettivi prevalentemente civili alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa zona grigia che separa il diritto dal potere è ulteriormente rafforzata dall’esistenza di sfere di influenza rivendicate e dominate da attori geopolitici che, se territorialmente vicine e identificate come tali, tendono a essere rispettate dagli avversari. La sovranità compromessa di questi Paesi di confine è descrittiva della tolleranza reciproca esibita durante la Guerra Fredda della divisione dell’Europa, mostrando tolleranza anche di fronte a interventi violenti “illegali”. In questo senso, l’Ucraina si trova nella non invidiabile posizione del Messico.
Tempo fa la grande figura culturale messicana, Octavio Paz, proclamò la tragedia del suo Paese “di essere così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti”. Queste considerazioni non sono citate per difendere, né tanto meno per scagionare la Russia, ma per mostrare che il contesto dell’ordine mondiale della guerra d’Ucraina è profondamente problematico in relazione all’autorità normativa, soprattutto se invocata in modo così partigiano. Nelle relazioni geopolitiche contemporanee, a differenza delle normali relazioni tra Stati o delle relazioni internazionali, i precedenti prendono il posto delle norme e dei comportamenti regolati da regole. Antony Blinken ha intorbidito le acque del discorso internazionale sostenendo falsamente che gli Stati Uniti, a differenza degli avversari Cina e Russia, osservano le norme di comportamento come gli “Stati normali” in relazione alla pace e alla sicurezza.
In questo senso, è opportuno ripensare alla guerra chiaramente illegale della NATO del 1999, che ha frammentato la Serbia concedendo al Kosovo l’indipendenza politica e la sovranità territoriale, prima di condannare acriticamente l’annessione russa di quattro parti dell’Ucraina orientale, dopo referendum ovviamente dubbi. Ancora una volta, è importante riconoscere che ci possono essere casi in cui la frammentazione di Stati esistenti è giustificabile per motivi umanitari e altri in cui non lo è, ma affermare che la Russia ha oltrepassato i limiti della legge in un contesto in cui il potere ha plasmato il comportamento e gli esiti politici in casi simili significa preparare l’opinione pubblica a una guerra più ampia, anziché indurla a cercare e a essere pragmaticamente ricettiva a un compromesso diplomatico.
Questa comprensione contestuale della guerra in Ucraina è, a mio avviso, estremamente rilevante, in quanto fa sì che l’attuale moda di montare argomenti legali, morali e politici di condanna distragga dal seguire una linea d’azione altrimenti razionale, prudente e pragmatica, che fin dall’inizio ha sostenuto con forza uno sforzo totale per incoraggiare un cessate il fuoco immediato seguito da negoziati che mirassero a un accordo politico duraturo non solo tra Russia e Ucraina, ma anche tra NATO e Stati Uniti e Russia. Il fatto che il governo degli Stati Uniti non abbia mai manifestato alcun interesse, tanto meno un impegno a fermare le uccisioni e a incoraggiare la diplomazia, nonostante i costi e i rischi crescenti di una guerra prolungata in Ucraina, dovrebbe essere scioccante per la coscienza delle persone pacifiche e dei patrioti dell’umanità di tutto il mondo.
I costi della guerra
Inoltre, molti costi catastrofici sono attualmente sostenuti da molte società vulnerabili in tutto il mondo a causa delle ripercussioni delle sanzioni anti-russe e del loro impatto sulle forniture e sui prezzi di cibo ed energia. Una situazione così deplorevole, destinata a peggiorare con il prolungarsi e l’intensificarsi della guerra, sta avvicinando alla realtà anche il rischio crescente dell’uso di armi nucleari, dato che le alternative di Putin potrebbero restringersi al riconoscimento della sconfitta o alla caduta personale dal potere. Pur non rinunciando all’attuazione di un approccio aggressivo per soddisfare le ambizioni di vittoria dell’Ucraina, lo stesso Biden riconosce che l’uso anche solo di un’arma nucleare tattica in Ucraina porterebbe con quasi certezza all’Armageddon. Questa duplice valutazione (che combina l’escalation della guerra con l’ansia di sapere dove potrebbe portare) sembra un abbraccio alla follia geopolitica piuttosto che un riconoscimento della cupa realtà in gioco. Come sempre i fatti parlano più delle parole. Blinken, di fronte alla crescente richiesta di negoziati da parte dell’opinione pubblica, risponde con le sue solite evasioni. In questo caso, sostenendo che, essendo l’Ucraina vittima dell’aggressione russa, essa è l’unica ad avere l’autorità di cercare una risoluzione diplomatica e che gli Stati Uniti continueranno a sostenere i massimi obiettivi bellici dell’Ucraina, compresa la loro estensione alla Crimea, che fa parte della Russia dal 2014.
Anche il contesto è importante in relazione alla condotta della guerra. La sua maggiore escalation è avvenuta con il sabotaggio del gasdotto Nord Stream verso l’Europa, che Blinken ha nuovamente confuso definendolo “un’enorme opportunità” per indebolire la Russia e portare a una maggiore indipendenza energetica europea. Tale operazione, inizialmente attribuita in modo poco plausibile alla Russia, in seguito viene più o meno riconosciuta come parte dell’espansione della guerra attraverso il ricorso a tattiche di combattimento “terroristiche”.
La sua ultima espressione è l’attentato suicida del 7 ottobre contro lo strategico ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia, un’importante infrastruttura del periodo della leadership russa di Putin e una linea di rifornimento per le truppe russe nel sud dell’Ucraina.
Queste operazioni contengono le impronte digitali della CIA e sembrano concepite come un incoraggiamento alla determinazione ucraina di andare fino in fondo per una vittoria decisiva, inviando a Putin segnali inequivocabili del fatto che gli Stati Uniti continuano a non essere sensibili a una geopolitica responsabile di compromesso. La rabbia degli Stati Uniti nei confronti dell’Arabia Saudita per il taglio della produzione di petrolio è un ulteriore segnale dell’impegno verso uno scenario di vittoria in Ucraina, nonché una reazione contro la
resistenza saudita alla geopolitica egemonica statunitense. Con tali provocazioni, non sorprende che la Russia, sebbene altamente illegale e immorale, si sia vendicata scatenando la sua versione di “colpisci e terrorizza” contro i centri civili di dieci città ucraine.
Questa è l’escalation feroce! Sempre in agguato, e a spese dell’Ucraina e del mondo intero, c’è l’opportunismo geopolitico di Washington, che cerca di sconfiggere la Russia e di dissuadere la Cina dall’osare sfidare l’unipolarismo egemonico raggiunto dopo la disintegrazione sovietica nel 1992. Questo enorme investimento nella sua identità militarista come unico “Stato globale” spiega da solo questo approccio da cowboy all’assunzione di rischi nucleari e le decine di miliardi spesi per potenziare l’Ucraina. Questo tragico dramma politico si svolge mentre i popoli del mondo e i loro governi, insieme alle Nazioni Unite, assistono a questo orrendo spettacolo, testimoni apparentemente impotenti non solo della carneficina ma anche dei loro stessi destini nazionali.
Richard Falk, Professore Emerito di Legge Internazionale all’Università di Princeton
su TRANSCEND Media Service,
17 Ottobre 2022
traduzione di Norberto Patrignani