Quasi 400 persone hanno sfilato per il centro cittadino e il lungo Dora con cartelli e bandiere per chiedere Pace, convinte della necessità di esserci, di far sentire la voce della maggioranza della popolazione italiana che è contraria alle guerre e chiede di abbassare la spesa militare e aumentare quella sociale e i salari.
Dal report di Mario Beiletti, presidente Anpi Ivrea e Canavese una delle trenta associazioni che hanno promosso la manifestazione.
VOGLIAMO IL PANE, LA PACE E LE ROSE!
Questo uno dei felici e incisivi slogan che sono risuonati nel corteo per la Pace che ha visto una grandissima partecipazione: circa 400 persone sono sfilate per le vie della città manifestando coralmente il rifiuto della guerra. Dissipate la nebbia e la pioggia dei giorni scorsi, una bellissima giornata autunnale di sole ha accompagnato la manifestazione che si è snodata interminabile: lungo corso Nigra e Lungo Dora un serpentone ordinato e tranquillo, ma fermo nei suoi propositi, ha mostrato il vero volto di Ivrea: condivisione, solidarietà, un’unica richiesta di Pace e di cessate il fuoco per tutte le guerre in corso, a partire da quella in Ucraina. Non si vedeva il termine della lunga fila multicolore. Cartelli e striscioni costellavano il percorso. Fra gli altri, si è nuovamente visto il grande razzo che più volte è stato distrutto sulla piazza, oppure la bara che contiene la ragione, uccisa dalla guerra, o il lungo pannello che “ripudia la guerra” citando gli articoli della Costituzione, o ancora le tante bandiere delle associazioni presenti.
Al termine della manifestazione, davanti al municipio, si sono raccolte le firme per ripresentare la richiesta al Sindaco e alla Giunta di Ivrea di esporre la bandiera della Pace sul balcone del Municipio.
La richiesta era stata presentata dalle assoziazioni a metà agosto, ma nessuna risposta è arrivata né la bandiera è stata esposta.
I contenuti condivisi della manifestazione
I punti fermi su cui si sono ritrovate le oltre trenta organizzazioni che hanno indetto questa manifestazione sono:
- Il ripudio della guerra in ogni parte del mondo.
- La condanna dell’aggressione Russa dell’Ucraina, di ogni violazione del diritto internazionale e dei diritti umani.
- La richiesta di iniziative di dialogo, una Conferenza Internazionale di Pace e tavoli di trattative per la soluzione nonviolenta dei conflitti.
- La solidarietà con le vittime delle guerre, con i pacifisti e gli obiettori di coscienza russi, ucraini e di ogni nazione, che si rifiutano di uccidere.
- L’abolizione di tutte le armi nucleari.
- La riduzione degli armamenti e delle spese militari.
- La salvaguardia della natura ancor più rovinata dalle guerre e dagli armamenti.
Fermiamo le guerre e la militarizzazione del mondo! Fermiamo la corsa al riarmo e i mercanti di morte! Liberiamoci della minaccia atomica prima che sia troppo tardi! Cominciamo noi Italiani a ripudiare le armi per una guerra che costituzionalmente non si può fare, cominciamo noi a rispettare le leggi italiane come quella che vieta di vendere armi a paesi in guerra e che violano i diritti.
L’Italia potrebbe avere un ruolo significativo in campo internazionale per la pace, se fosse davvero uno stato che non partecipa alle guerre, che rispetta i diritti umani e il diritto internazionale, che non minaccia alcuno, che è attivo nelle relazioni diplomatiche, che disarma progressivamente. Questa è l’Italia che vogliamo. Invece l’Italia continua a far ricorso alla legge del più forte, alla politica estera e di difesa che mira a difendere gli interessi occidentali, dentro l’alleanza atlantica, mettendo in campo la forza militare sempre costosa. Non è così che si opera per la pace e gli effetti si vedono: siamo più insicuri, le guerre non diminuiscono ma al contrario aumentano, la povertà aumenta, aumentano i conflitti, perché piuttosto che collaborare nella condivisione delle risorse, della tecnologia, del lavoro, si vuole vincere la concorrenza, si fanno affari anche con i regimi corrotti e autoritari pur di conquistare risorse e si finisce con il distruggere e consumare buona parte di risorse a causa delle guerre, della produzione di armi e del mantenimento delle strutture militari.
Noi chiediamo di cambiare, di investire nella pace, nella amicizia tra i popoli, nella cooperazione internazionale, nella solidarietà.
Solidarietà anche con gli obiettori di coscienza che in ogni nazione si rifiutano di usare le armi e che invece sarebbero pronti a trovare una via d’intesa con chi è nel campo opposto. Per questo c’è una campagna per sostenere il diritto di asilo degli obiettori di coscienza e i disertori russi, bielorussi e ucraini da parte degli Stati ospitanti. C’è una petizione che tutti possono firmare, indirizzata alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel e alla Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola.
Chiediamo di rinnovare e rafforzare l’Organizzazione delle Nazioni Unite che dovrebbe essere lo strumento per risolvere le contese internazionali e impedire le guerre.
La guerra si vince sconfiggendola, eliminandola, non eliminando il nemico, che è poi un altro come me, i suoi bambini sono come i miei, le sue case come le mie, il suo mondo è il mio.
Perché manifestare
Manifestiamo per chiedere che si fermi l’orrore della guerra: non solo la guerra in Ucraina, dove da otto mesi si scontrano la Russia, l’Ucraina e gli stati della Nato, ma tutti i 60 conflitti armati che causano morti, feriti, crimini, distruzioni, profughi, miseria, odio.
Non vogliamo essere spettatori delle guerre, dove si combatte anche con le armi che l’Italia produce e invia. Non ci rassegniamo alla realtà guidata da una logica di interessi di parte, che fa soffrire e impoverisce i popoli e arricchisce pochi signori della guerra.
Nel mondo ci sono oltre tra 50 guerre e conflitti armati: in Africa (Etiopia, Libia, Mali, Congo, Sahara occidentale, Repubblica Centrafricana, Mozambico, Nigeria, Somalia, Burkina Faso); in Medio Oriente: (Palestina, Yemen, Siria, Turchia (per il Kurdistan), Afghanistan, Iraq, Armenia e Azerbaigian); in Asia (Regione del Kashmir (tra India e Pakistan), Myanmar, poi c’è la situazione esplosiva per Taiwan). Ovunque ci sono interessi economici in ballo per l’accaparramento di risorse e traffici di armi, che si aggiungono e accompagnano a conflitti etnici e talvolta religiosi.
Ma questi sono giorni di grande pena e preoccupazione per le sorti della guerra in Ucraina, poiché nessuno vuole trattative per la pace, aumentano armi e soldati, le posizioni degli stati in guerra si irrigidiscono, con sempre più gravi minacce, persino di utilizzo di armi nucleari. Piuttosto che rinunciare alla vittoria, lo dico per tutte le parti in conflitto, preferiscono rinunciare alle vite umane e alla preservazione del territorio.
La condanna di Putin non giustifica una guerra della Nato contro la Russia, che può trasformarsi in conflitto nucleare. L’Italia è tenuta a ripudiare una guerra così, quindi non deve sostenerla. Invece di agire per fermarla, mettendo in campo tutta la diplomazia, le iniziative di dialogo, sostenendo le organizzazioni per la pace, creando contatti con le società civili russa e ucraina vittime di politiche ingiuste e ottuse, ha messo in campo le armi con i paesi della Nato diretti dagli Stati Uniti, credendo che occorra sconfiggere il nemico con la forza delle armi. Per questo preparano le guerre, gli stati si riarmano e poi le fanno. L’Italia spende 68 milioni ogni giorno per le forze armate e il Parlamento il 16 marzo ha votato per l’incremento delle spese a 104 milioni al giorno (2 per cento del PIL nazionale).
La logica è quella di sempre: preparano le guerre e poi le fanno.
O l’umanità distruggerà gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l’umanità (M.K. Gandhi)
“La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, mentre i salari perdono potere d’acquisto, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future” (da Rete Pace e Disarmo).
I movimenti per la pace si sono attivati subito il 24 febbraio condannando senza dubbi l’aggressione dell’esercito di Putin all’Ucraina, e subito hanno chiesto di fermare la guerra, aprendo trattative diplomatiche, per evitare di aggiungere ogni giorno morti, feriti e distruzioni. Hanno organizzato 4 carovane “Stop the war now” che sono andate in Ucraina portando solidarietà ed aiuti umanitari concreti alla popolazione ucraina, poiché la solidarietà con le vittime è fondamentale, stare dalla parte di chi subisce violenza è il primo passo da fare.
Poi hanno portato un messaggio di pace e dato sostegno alle associazioni pacifiste e a obiettori di coscienza ucraini e russi.
Chiediamo alle istituzioni italiane ed europee di sostenere gli obiettori alla guerra russi e ucraini con il riconoscimento di asilo politico quando escono dal loro paese.
L’umanità ha bisogno di pace, la natura ha bisogno di cura, milioni di poveri non hanno cibo sufficiente, i malati hanno bisogno di cure, i bambini di istruzione, i giovani di un lavoro dignitoso
Milioni di famiglie stanno subendo un continuo peggioramento delle condizioni di vita. La guerra, la pandemia, il cambiamento climatico e l’ingiustizia economica ci stanno impoverendo.
Le guerra e le armi sono incompatibili con la via nonviolenta alla pace, che molti di noi sostengono come necessaria e possibile, perché già sperimentata positivamente in varie situazioni storiche: da Gandhi in Sudafrica e in India, dai Danesi contro il nazismo e da tanti antifascisti nella Resistenza anche italiana, da Martin Luther King negli Stati Uniti, dai Cecoslovacchi nella primavera di Praga contro l’invasione sovietica, dai polacchi di Solidarnosc.
Non c’è bisogno di altre armi per risolvere i problemi. Anzi le armi peggiorano i problemi.
Per decenni sono cresciute le spese militari e il mondo è più povero e insicuro, pieno di guerre che diventano sempre più estese e allarmanti. Un mondo sull’orlo dell’apocalisse nucleare. Per questo dobbiamo cambiare.
Serve una nuova cultura della cura che ci liberi dalla cultura della guerra, quindi dell’individualismo, del menefreghismo, della competizione selvaggia, dello sfruttamento e dello scarto. Solo così potremo sperare di salvarci e di mettere al sicuro anche la nostra democrazia, le istituzioni democratiche.