Personalmente prediligo i colori autunnali, la sensazione di tepore che riescono a darmi quattro mura e un tetto sovrastante e, se posso aggiungere, anche un fuoco acceso e la calda fragranza d’un buon whiskey alternato al lume di una sigaretta in una dispettosa serata di ottobre.
Non soffro di crisi post traumatiche né in alcun modo di meteoropatia, tollerabili patologie diagnosticabili allo scoccare dell’equinozio autunnale. Perché dover rimpiangere le pallonate prese in faccia sulla spiaggia, o la radiolina della corpulenta vicina d’ombrellone che spara a manetta qualche hit latinoamericana o l’insolente e stridula voce di un bambino che reclama a tutta gola il suo benedetto ghiacciolo a forma di pupazzetto dei cartoni animati al gusto banana e fragola?
Soffro di quella che oserei definire “repulsione da fine estate coincidente alla ripresa dell’avvelenamento mediatico passante attraverso tubo catodico, come ogni santissimo anno che dio o chicchessia ci inoltra come patimento infernale”. Detto in breve: la fine dell’estate riporta in auge la puzzolente tv spazzatura non differenziata.
In particolar modo (escludendo a priori Barbara D’Urso, Bruno Vespa, Forum ed affini) sono arrivato al culmine del disgusto nei confronti di un format sempre più consolidato: il talent show, programma di dubbio gusto in cui viene esaltato di tutto tranne che il talento.
Un tempo non troppo lontano fui anch’io solleticato e tentato da questo tipo di passatempo delle meraviglie, mi divertiva guardarlo e mi deliziava l’immedesimazione nei panni di concorrente prima, e di giudice dopo.
Eppure oggi non comprendo più come abbia fatto a proliferarsi così bene questo tipo di format, ai limiti della decenza umana; una batteria di polli canterini sbattuta tra le pluridentate fauci del jet-set: sei dentro o fuori. Uno stupro televisivo travestito da teatrino alla mercé d’inebetiti spettatori oramai canalizzati, omologati e manipolati come burattini verso lastricati percorsi fatti di pubblicità (che fine ha fatto, tra l’altro, la tutela sulla pubblicità occulta?).
In più considero ripugnante il fatto che ogni concorrente, al di là del suo potenziale, debba possedere per forza una storia. E per storia s’intende un qualcosa di traumatico che spari alle stelle l’audience; più triste è, e più raccoglie punti (evidenziato già in passato dal visionario Giorgio Gaber nel brano la strana famiglia “il bel paese sorridente/dove si specula allegramente/ sulle disgrazie della gente”). Ed è in questo frangente che i concorrenti mi appaiono più come tristi cuccioli di gorilla in gabbia che come cantanti in gara. Sviliti e resi amorali.
Panem et circenses, definivano gli antichi romani ciò che potesse distrarre lo spettatore medio (mediocre) dalla sordida grigia quotidianità. E tutto ciò, in fin dei conti, ci può anche stare; siamo liberi di guardare ciò che più ci pare e piace, liberi di farci indirizzare sulle scelte da compiere e sulle cose da pensare, liberi di essere liberi, schiavi stessi della libertà.
Badate bene, però, dall’attestare che i talent show siano la macchina del futuro destinata a sfornare i cantanti del domani. I cantanti facciano i cantanti e i prodotti da supermarket facciano i prodotti da supermarket. Come accade per qualunque esibizione artistica l’unico giudizio costruttivo è quello della strada, della gavetta sana e alla vecchia maniera, dei fischi nel pub e delle nottate brave. Non rari i casi, infatti, in cui vincitori di questi fantomatici talent finiscano a ritrovarsi depressi cronici e inabili di fronte ad un pubblico smorto e in progressivo diradarsi.
Tu! Giovane ragazzo che confidi nella fama veloce e semplice, a portata di click, non farti trascinare da questo letamaio televisivo. Non faresti altro che la fine di un preservativo usato e gettato nel cestino dell’immondizia tra le bucce di banana e i barattoli di yogurt; un prodotto destinato ad arricchire le tasche di qualcun altro che non ha il minimo interesse di te come persona, se non economico. E voi, teleidiotispettatori, apritevi un bel libro o fate l’amore, è gratis. L’inverno è alle porte e a noi del Grande Fratello o dell’Isola dei famosi non ce ne frega un c****.
Ed eccomi a rimpiangere l’estate e le pallonate in faccia sulla spiaggia.
Riccardo Bonsanto