Manifestazione a Biella indetta dall’associazione Al Huda, intervengono fratelli e amici del defunto. Umanizzare le vittime del potere è un atto rivoluzionario
Sabato 31 luglio alle ore 16 si è tenuta la seconda manifestazione, indetta questa volta dall’associazione Al Huda, in ricordo di Youns El Bossettaoui, l’uomo ucciso a Voghera da un colpo di pistola sparato dall’assessore alla Sicurezza del paese, il leghista Massimo Adriatici. Nonostante la pioggia battente, più di cento persone si sono riunite in piazza Vittorio Veneto a Biella, città dove Youns era cresciuto e nella quale aveva vissuto fino al 2012. Oltre agli interventi di solidarietà di esponenti di forze politiche e civili locali, ad urlare la propria rabbia e a chiedere giustizia al microfono sono soprattutto tanti tra fratelli e amici del defunto.
Proprio nella dimensione così intima e personale della manifestazione, aggettivi raramente affiancati a un contesto di conflitto e lotta, sta il reale valore politico della giornata: vedere i parenti, gli amici, le persone con le quali una persona è cresciuto, restituisce a Youns l’umanità che, all’interno del fagocitante dibattito nazionale sulla legittima difesa, viene spesso a mancare.
Youns aveva infatti la sfortuna di impersonare due figure, “l’immigrato” e “il pazzo”, sapientemente plasmate negli anni dal mondo politico e dai mass media per diventare simbolo del degrado, della criminalità e del pericolo imprevedibile. Un fenomeno che si può vedere molto bene ogni volta che si presentano situazioni simili: il tabaccaio di Ivrea, il gioielliere di Grinzane e tanti altri casi nei quali, ancora prima di sapere come si siano svolti i fatti, ci si lancia in accorati discorsi di solidarietà verso l’assassino o ci si butta su del facile cerchiobottismo, affermando che alla fine quel giorno ci sono state due vittime o che il vero problema è il controllo delle armi. Sarebbe interessante se tale profondità di pensiero venisse applicata sempre, anche per tutti quei reati meno gravi per i quali si invocano così facilmente pene sempre più dure.
Più oneste a questo punto le parole dell’assessore leghista di Porcari Massimo Della Nina, cha ha definito. Youns un “rifiuto umano”, qualcuno senza il quale “il mondo è un posto più pulito”. Più oneste perché sotto tutta la retorica della difesa sempre legittima e della lotta al degrado, si nasconde spesso il desiderio reazionario e idiota di risolvere i problemi sociali non eliminando le cause delle diseguaglianze, ma con la forza e la repressione. Espellendo, arrestando, ammazzando persone per strada se necessario.
Certo è più difficile definire qualcuno un rifiuto umano quando si ascoltano le persone che lo hanno conosciuto e che gli hanno voluto bene. Quando si vedono le foto, distribuite durante la manifestazione, che lo ritraggono felice durante la vita di tutti i giorni. Quando qualcuno ti indica il negozio di telefonia che gestiva. Quando si sentono le voci rotte dei fratelli che chiedono giustizia. Quando si sente il messaggio vocale della figlia di otto anni, che chiede preoccupata alla nonna perché papà non gli risponda al telefono. Non è facile definire una persona un rifiuto quando vedi la sua umanità, quando la senti diventare viva e reale, non solo “l’immigrato con problemi mentali” che viene fuori dai titoli dei giornali.
Youns andava sicuramente aiutato, una cosa che ha fatto solo la famiglia con estremo sforzo, poiché nessuna delle istituzione che avrebbero avuto il dovere di farlo (e alle quali la famiglia aveva chiesto aiuto) se n’è mai occupata. Perché alla fine era solo un immigrato con problemi mentali, qualcuno colpevole a priori.
Mettersi nei panni di qualcuno del genere è faticoso, anche solo a pensarci. Costringe a mettere in discussione troppe cose della realtà quotidiana, troppe piccole ingiustizie alle quali siamo abituati. Molto più facile mettersi nei panni dell’assessore dal grilletto facile, che gira con la pistola e il colpo in canna vantandosene pure in tutta la città. Un ex agente di polizia che, dopo aver appena sparato a un uomo, si muove indisturbato per la scena del crimine, facendo pressione sui testimoni, senza che nessuno dei carabinieri accorsi paia trovare la scena, se non palesemente criminale, perlomeno di cattivo gusto.
È questa forse la parte peggiore di tutta questa vicenda, la palese disparità di forze tra la vittima, uno dei tanti ultimi della società, e il carnefice, uno dei tanti piccoli uomini di potere, uno che invoca il daspo urbano per i senzatetto in nome del decoro e della sicurezza, della legalità e della giustizia. Una giustizia solo di nome, diversa da quella richiesta a gran voce da parenti, amici e solidali di Youns in piazza a Biella, nel tentativo di restituire dignità e umanità a un uomo, ucciso a sangue freddo da un rappresentante di quella stessa società “civile” che avrebbe dovuto aiutarlo.
Lorenzo Zaccagnini