Della presentazione dell’ultimo libro di Luigi Bettazzi e di una piega inaspettata
Metti una domenica pomeriggio piovosa nell’ex città dell’informatica in uno dei suoi luoghi storici, il Salone 2000 delle Officine Ico in via Jervis.
E’ un dejà vu sempre difficile per chi in quel salone ha partecipato a centinaia di assemblee sindacali sotto lo sguardo bonario di Camillo. A salvarti dalla tentazione di lasciarti andare ai ricordi per sprofondare in una delle comode poltrone azzurre, la certezza che di lì a poco ti godrai la compagnia amabilissima di un uomo sagace, intelligente, ironico. E, forse, immortale, a giudicare dalla voce tonante e la lucidità perfetta dei suoi 99 anni.
Luigi Bettazzi (sua Eccellenza Reverendissima Vescovo di Ivrea, perché nel suo caso “ex” è un ossimoro) sale sul palco allestito in occasione della presentazione del suo ultimo libro, dal titolo meraviglioso “Sognare eresie”
Raggiunge la postazione tra applausi affatto contenuti e accompagnato da Davide Gamba, della Libreria Mondadori e Rodolfo Buat, che all’ultimo momento sostituisce don Piero Agrano, assente per malattia.
Chi si aspetta una presentazione “canonica” (è il caso di dirlo) rimarrà però deluso; è Gamba stesso a chiarire l’impostazione di Bettazzi (“niente domande, che se no finisce come in televisione dove chi intervista rivolge domande a se stesso e a se stesso risponde. Il libro lo presento io”. E così, con la voce che dopo tanti anni non ha perso quella deliziosa inflessione bolognese sua Eccellenza incanta per oltre mezz’ora, come il pifferaio della favola la platea, alternando battute sagaci a citazioni perfette di questo o quel passo della Bibbia. Insomma, uno splendido giullare.
E’ chiaro che, alla fine del racconto sul suo ultimo libro, al divertito e affascinato Davide Gamba non resta che saltare a pié pari dall’oggetto della presentazione a qualcosa di più appetitoso. E così voilà la richiesta della reverendissima opinione sul neonato governo targato “Dio, Patria e Famiglia”, (opinione filosofica, ben inteso, non politica, ride sotto i baffi il libraio).
Un assist che lo splendido leone raccoglie saltellando leggiadro tra parole (operai, privilegi, migranti) che gli appartengono da sempre. E lo stesso non si scompone neppure quando Buat (tocca a lui “provocare” Bettazzi) nomina nientemeno che l’aborto.
E qui l’ex Presidente di Pax Christi, nonché ultimo padre Conciliare ancora vivente, riprende una sua lucida riflessione di qualche mese fa e veste i panni del filosofo arguto, tirando in ballo la duplice dimensione della nostra mente: ragione e intelligenza (o intuizione). E prendendo a prestito il passo della Genesi secondo cui è il soffio divino dell’alito di vita a distinguere la polvere dall’essere vivente. si chiede, e ci chiede, quale alito di vita renda ciò che è ancora preliminare una persona umana. Quando diventa in grado, se pur ancora nel grembo materno, di poter vivere da essere umano e respirare autonomamente? E fino ad allora, invece? Se così fosse, continua Bettazzi, “questo sovvertirebbe la concezione dell’aborto da parte della Chiesa nel suo tradizionale orientamento” e quindi, conclude “è doverosa una seria riflessione”.
L’applauso è dovuto, quando l’intelligenza fa il paio con il desiderio di comprendere e rende onore al dubbio.
Il pomeriggio volge al termine, ma c’è chi sente il bisogno di prendere le distanze, di chiamare le cose con il loro vero (o presunto) nome, di riportarci alla realtà. E’ il Presidente del Centro Aiuto per la Vita/Movimento per la Vita di Ivrea, che prende la parola e “ridisegna” i termini della questione dell’interruzione di gravidanza; e le sue parole rifiutano in toto anche soltanto la possibilità di una decisione in piena libertà e coscienza da parte di una donna.
Ecco invece donne che rinunciano alla maternità, ma in fondo la desiderano e altre che “hanno bisogno soltanto” di qualcuno che spieghi loro “per bene” che qualsiasi sia la causa di tale scelta è possibile superarla se si offre loro un “aiuto vero”.
Perché? Ma per il semplice motivo che la donna che sostiene di voler abortire “in realtà” non lo vuole sul serio. E’ costretta a farlo perché indigente, o abbandonata, o ripudiata, o single o chissà; diversamente NON farebbe questa scelta, senza ombra di dubbio.
Sua Eccellenza non raccoglierà l’assist, ahilui (il Presidente).
E dall’altra parte del palco nessuna donna si alza, nessuna ribatte, nessuna lascia la sala. Siamo, alcune di noi (ce lo diremo in seguito e qualcuna farà fatica a prendere sonno) ferite dalla scarsa o nulla considerazione dell’altra, della prossima loro, che accompagna queste parole.
Ma più ancora, ci diremo dopo, ci ha scosse il dubbio di esserci assuefatte allo stato di cose presente, alla disabitudine al conflitto, all’indignazione che fa alzare di scatto dalla sedia e chieder conto.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, recita una poesia di Pablo Neruda. Ecco, forse a farci perdere il sonno stanotte è stata solo la banale paura di morire.
Simonetta Valenti (continua, forse… )