Il mondo della cultura saluta una delle sue più grandi Signore
“Pronto, San Pietro è lei? Non è che per caso le si è liberata una nuvola vista mare? Eh, sì, ne ho fatti cento e vorrei riposà un po’. Ah, dice che so’ tutti in ferie… e nun ce stà nessuno? Ma c’ho pure la mascherina. Vabbè, senta io arrivo poi se vede sul momento. Tanti cari saluti”
Me la immagino un po’ così l’ultima “telefonata” della nostra Sora Cecioni, in arte Franca Valeri (Milano 1920 – Roma 2020), che dopo pochi giorni dall’aver compiuto cent’anni ci ha lasciati, tranquilla nel sonno. Immagino non ci volesse tristi e piangenti, seppur nel cuore non possiamo non esserlo. Siamo però pieni di gratitudine per averla avuta, per aver potuto godere della sua magnifica intelligenza, della sua sferzante e garbata ironia. Un secolo, il suo, vissuto con lo sguardo nel futuro attraverso la scrittura sagace di un presente sempre attuale. Mai uno scivolone, mai una parola fuori posto, eppure lei come nessun altro, con i suoi mitici schetch al telefono, ha saputo cogliere i vizi e le contraddizioni tipiche degli italiani e delle italiane senza fare sconti: dalla milanese signorina snob, alla romana borgatara che cerca di darsi un tono. Inutile ricordarli, tanto sono ben incisi nella nostra memoria collettiva (il compimento più grande per qualsiasi artista). Attrice raffinata di cinema e teatro, autrice di grande bravura, appassionata di opera lirica di cui fu anche regista, donna estremamente colta e vivace, ci ha deliziato per oltre 70 anni e anche se ora sappiamo le si siano chiusi gli occhi per sempre, sentiamo che in noi tutti e tutte non si spegnerà mai la sua voce e la sua parola. La nostra voce. La voce del viaggio di un’Italia dal dopoguerra fino ad oggi. Con l’amarezza di un testimone difficile da passare e di tanti, troppi “cretinetti”.
Io la porto con me da che ho memoria. In casa mia, quando ero una bambina, si faceva subito silenzio quando compariva lei in tv (ancora in bianco e nero): mia nonna e mia madre smettevano di fare qualsiasi cosa stessero facendo e la ascoltavano a bocca aperta, continuando a ripetere quanto era brava, simpatica, intelligente e così tanto elegante. Per noi era una Dea, un modello impareggiabile. Lei, Eduardo e Totò, erano la Santa Trinità. Ebbene sì, io volevo diventare come lei (credo proprio di non essere stata la sola) e mi inventavo le telefonate sulla falsa riga delle sue. Perché la sua comicità arrivava al pubblico di qualsiasi età, nasceva da un’acutissima capacità di osservazione e da una straordinaria abilità di imitazione: nei gesti, nelle smorfie, nelle inclinazioni della voce, prima ancora che nei contenuti. Per non dire della suprema arte del gestire le pause, di cui, a mio modesto avviso, era maestra sublime. Penso che la passione per il teatro mi sia nata guardando lei. Mai avrei immaginato di poterla conoscere, ma il destino sa fare regali preziosi e siccome nel 2005, insieme all’amica Marita Ceretto, portavo in scena un recital sulla comicità femminile di cui, ovviamente, Franca Valeri era il fulcro, ho avuto il grande onore di poterla salutare dopo un suo spettacolo: “La vedova Socrate”. L’allora direttore artistico del Giacosa, Giacomo Bottino, le parlò del nostro recital e le disse che avremmo avuto piacere di portarle un omaggio in camerino. Lei accettò volentieri e ci accolse con queste parole, che porto nel cuore: “dove sono le mie due ragazze?”. Ci ringraziò per i fiori e ci incoraggiò a proseguire col nostro spettacolo. Era già piuttosto anziana e affetta dal Parkinson, ma ricordo che riuscì a padroneggiare benissimo la parola e la scena, nonostante il tremolio della voce. Per la foto mi fu concesso di prendere il guinzaglio del suo fido cane Roro II, affinché lei avesse le mani libere per tenere i nostri fiori. Penso di non essere mai stata più emozionata di così. Da quel giorno la penso come una zia, una di quelle che vive lontana, ma che senti vicina. E non so quindi se sia un caso che proprio qualche giorno fa io mi trovassi nella cittadina di Sète, in Francia, in visita al Cimitero Marino in cui è sepolto Paul Valery, da cui deriva il cognome d’arte, Valeri, che si scelse, in omaggio al poeta, appunto. Mi piace pensare che il suo spirito possa andare a raggiungerlo in quel luogo bellissimo che è anche una poesia e da essa ha preso il nome, dopo la morte del suo cantore. Ne scelgo una strofa e gliela dedico, la dedico alla sua grande anima, sicura che non smetterà mai di volare. Grazie di tutto, Signora Franca. Che la terra ti sia lieve. Noi non ti dimentichiamo.
“… Bel cielo vero, guardami mutare!
Dopo tanta fierezza, dopo tante
Strane inerzie piene di vigore,
Io m’abbandono a questo spazio ardente;
L’ombra mia passa sopra le dimore
Dei morti: io piego a ognuna che essa sfiora!”
(Paul Valery 1920)
Lisa Gino