Ebbene sì, è successo anche a Ivrea: le destre al governo della città

Anche a Ivrea, come a Pisa, Siena, Massa, Imola, Cinisello e altre città “roccaforti storiche del centro sinistra”, è arrivata l’ondata leghista e la coalizione delle destre amministrerà la città con Stefano Sertoli sindaco.

Sono 4.795 gli elettori eporediesi, pari al 52,61% dei 9.286 che hanno votato al ballottaggio (meno della metà degli aventi diritto, esattamente il 46,72%) e tra Perinetti e Sertoli hanno scelto quest’ultimo.
Partito con un vantaggio al primo turno di più di 500 voti su Sertoli (3.847 contro 3.304), Perinetti al ballottaggio si ferma a 4.319 voti (47,39%), mentre Sertoli raccoglie quasi 1.500 voti in più rispetto al primo turno e diventa il primo sindaco di Ivrea espresso dalle destre, dopo la Liberazione.
Che fosse possibile era evidente e, anzi, aveva stupito la tenuta del PD e della sua coalizione al primo turno, tanto da ingenerare in molti l’idea che, alla fine, pur rimanendo una possibilità, non si sarebbe verificata. La sensazione che “ora o mai più” e che soffiasse forte “il vento del cambiamento” (in quale direzione e per far cosa è tutto un altro discorso) era molto diffusa in città prima del 10 giugno, un po’ meno dopo.
Invece quel “vento del cambiamento” (termine col quale peraltro si autodefinisce l’attuale governo nazionale legastellato) soffiava ancora a Ivrea come, a sentire i primi resoconti e commenti, in molti dei 109 Comuni interessati al ballottaggio del 24 giugno. Una necessità di cambiamento che ha un suo fondamento materiale e concreto nel non lavoro e nella precarizzazione di quello che c’è, nell’assenza di prospettive e nella perdita progressiva di sicurezza sociale e servizi, nella solitudine di fronte alle difficoltà e nella crescita delle diseguaglianze e delle ingiustizie. In sostanza nella sofferenza sociale (e, spesso, personale e anche culturale) che però viene dirottata verso “nemici” ancora più disperati, verso le minoranze “diverse”, verso “la politica” e qualsiasi forma di rappresentanza, agitando l’armamentario classico di tutti i regimi: “la sicurezza” (e il contemporaneo odierno trionfo di Erdogan in Turchia è l’ultima riprova dell’efficacia di tale armamentario).

Per qualche giorno a Ivrea è facile prevedere che si sprecheranno le rassicurazioni di Sertoli sulla democraticità della sua coalizione, sul fatto che “non sono arrivati i barbari”, sull’apertura della sua amministrazione e c’è da scommettere che annuncerà di voler essere “il sindaco di tutta la città”. Altrettanto prevedibili sono i riconoscimenti che riceverà dalle forze politiche d’opposizione e dalle forze economiche del territorio, Confindustria in testa.
Ma questo clima “educato” non durerà molto perché l’euforia dell’impresa realizzata e il peso (non solo in termini numerici) della Lega nella coalizione non tarderanno a farsi sentire, probabilmente anche nella convivenza civile in città.
Nel tentativo (risultato vano) di evitare questo esito a Ivrea, in questi giorni girava tra alcuni amici la battuta “Ma guarda se ci tocca sperare di morire democristiani!”, con riferimento alla “democristianità” di Perinetti e a uno storico titolo di Luigi Pintor su il manifesto di 35 anni fa: “Non moriremo democristiani”.
Era il 28 giugno del 1983 e la DC di De Mita aveva perso le elezioni politiche (all’epoca votava quasi il 90% degli elettori) perché, pur restando il primo partito con oltre 12 milioni di voti (33%), era tallonata dal PCI che superava gli 11 milioni (30%), mentre il PSI raccoglieva oltre 4 milioni di consensi elettorali (11,5%). Un insolito ottimismo del mitico fondatore de il manifesto che vedeva la possibilità di sperare (“se questo terremoto sveglia PCI e PSI”, recitava il sottotitolo tra parentesi) che si interrompesse il dominio della Democrazia Cristiana.
Sono passati 35 anni e «oggi per usare le parole di Piergiorgio Paterlini sul blog dell’Espresso di qualche giorno fa – devo darvi solo (ma non è poco) questa brutta notizia. Il fascismo è già qui e nessuno potrà più fermarlo. È troppo tardi. È già troppo tardi.
Chi vuole, chi può, chi è “umano” si prepari alla Resistenza.
Io continuerò a urlare. Ma non vedete? Ma come potete non vedere? Ma come potete credere a quello che vi vogliono far credere? Ma non è sufficiente anzi già troppo e troppo chiaro e troppo duro da digerire quello che avete visto anche solo negli ultimi tre giorni? Evidentemente no.
Il fascismo è fatto così. Nel breve e medio periodo, quando riaffiora, è praticamente invincibile.
Io continuerò a urlare e supplicare e dire alle persone perbene che conosco ma come fate a non vedere? a essere complici? fermatevi, fermateli, per l’amor di dio».
Oggi, a Ivrea, servirà una grande alleanza per mantenere aperta la città alla convivenza civile e all’agibilità democratica. Ma questa agibilità democratica va usata tutta per costruire, qui e presto, un’alternativa sociale e politica non solo alle destre xenofobe e fasciste, ma anche a quelle “sinistre” che, per dirla con l’ultimo editoriale di Pintor  (scritto pochi giorni prima di morire, nel 2003), «non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno». E, se era già vero quindici anni fa, oggi questo è talmente palese da suonare come un’ovvietà, in Italia come in larga parte d’Europa.
Non potranno perciò queste “sinistre” costituire un argine al nazionalismo xenofobo crescente (vedi Salvini che riconosce i “meriti” del suo predecessore Minniti) che è generato proprio dal fallimento delle politiche europee e di austerità sostenute da un establishment in bancarotta morale e finanziaria in tutta Europa. Né sarà sufficiente il richiamo morale, ai valori, all’umanità, alla Costituzione, alle Convenzioni internazionali.
Occorre rispondere (sviluppando proposte, organizzazione e pratiche di mutualità) al non lavoro e al degrado del lavoro, alla solitudine e alla disperazione che generano, al progressivo scadimento della sanità e dei servizi sociali, alle disuguaglianze e alle ingiustizie, alla sudditanza culturale e all’ignoranza e alla disperazione e alla solitudine provocate da tutto questo e da altro ancora.
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(fumetti di Franco Kappa)