Alle varie critiche ricevute sull’uso del termine processione in alcuni suoi recenti articoli su questo giornale (Local March for Gaza, Conclusa il 14 luglio la Local March for Gaza, Milano: trasformare la rabbia in progetto politico) e su altri, Ettore Macchieraldo risponde con questi appunti sul perché usa e continuerà ad usare tale definizione.
Prendo spunto dal titolo di un vecchio film di Bud Spencer per cercare di spiegare, anche ai miei detrattori, perché uso la parola processione al posto di quella che, a loro parere, sarebbe più consona di corteo.
Da parte dei miei detrattori pare ci sia dietro la paura di un’apertura al mondo cattolico. Da decenni sfilo in contesti urbani con i cattolici di base e proprio non vedo la pietra dello scandalo. La galassia cattolica è complessa e composita, non tutti sono fedeli ai principi gerarchici che caratterizzano questa chiesa o, se lo sono, derogano.
Di cosa stiamo parlando?
Intanto leggiamo le due definizioni dal vocabolario di Tullio De Mauro su Internazionale.
Corteo: cor|tè|o s.m. av. 1499; der. di corteare.
CO
1. seguito di persone che accompagnano qcn. durante una cerimonia
2. gruppo di persone che sfilano nel corso di una manifestazione pubblica: un corteo di manifestanti dimostrava in piazza, un corteo di studenti, di lavoratori, un corteo militare, di protesta
3. colonna di autoveicoli
Processione: pro|ces|sió|ne s.f. ca. 1284; dal lat. processiōne(m), v. anche procedere.
CO
1a. cerimonia liturgica consistente in un corteo di religiosi e laici che avanzano lentamente in fila, pregando e portando reliquie e immagini sacre per le strade o anche all’interno di una chiesa: andare, sfilare in processione | le persone stesse che prendono parte a tale corteo
1b. fila di persone o di animali che si muovono lentamente verso una medesima direzione: una processione di persone all’entrata del teatro | lunga fila, successione di veicoli che procedono lentamente: una processione di automobili all’imbocco della tangenziale
2. CO fig., sequela, successione: una lenta e monotona processione di giorni
3a. BU il procedere, il muoversi in avanti | il derivare, l’avere origine
3b. TS teol. nella teologia cattolica, relazione che intercorre tra le prime due persone della Trinità, Padre e Figlio, e lo Spirito Santo.
Possiamo cogliere che entrambe le definizioni hanno un’origine religiosa. Questa accezione, non lo nego, è stata importante per l’uso che ne abbiamo fatto (e ne stiamo facendo) nelle Local March for Gaza. Entrare nei paesi, nei contesti rurali, e relazionarsi con gli abitanti presuppone rispetto per la cultura che vi è in quei luoghi e la parola processione è sicuramente molto più comune in questi contesti. Figuratevi se avessimo scritto “Attraverseremo il tuo paese in corteo”, non avremmo avuto (e non continueremmo ad avere) la risposta degli abitanti che abbiamo avuto (e che abbiamo).
La prima volta che l’ho usata per definire una manifestazione, però, è stato per l’articolo uscito su Pressenza il 12 aprile 2025, con il titolo “Una processione laica per la Palestina”
Dopo quella manifestazione sono andato alla festa di un amico di Milano al circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa. Ho incontrato là uno dei personaggi pubblici di Genova 2001, che mi ha fatto i complimenti per l’articolo, soprattutto per il titolo.
Sarà perché anche lui proviene dal mondo cattolico?
Credo di no.
La differenza tra i due termini è tutta nella definizione del vocabolario, non nell’accezione liturgica di entrambi ma nella seconda, quella civile.
Corteo ha il significato di una manifestazione organica, processione di una fila di persone che si muovono lentamente verso una medesima direzione.
Beh, non potete negarlo, da Genova 2001, cioè da quando ci siamo fatti menare, detenere illegalmente e processare, i cortei assomigliano molto di più a delle processioni laiche, piuttosto che a dei cortei.
Basti dire che in quella manifestazione del 12 aprile un cordone di poliziotti e carabinieri si è inserito nel “corteo” e ha arrestato alcuni manifestanti. Una cosa impensabile in una manifestazione fino agli anni ‘90, ovvero finché c’erano delle organizzazioni che si prendevano cura di tutto il corteo, non solo del loro spezzone.
Quindi, ragioniamo sulle forme di lotta, sulla loro gestione, anzi, direi, sull’autogestione della piazza. Lo so che è un terreno minato dalle esperienze dei servizi d’ordine degl anni ‘70 ma, prima o poi, dovremo superare anche quei traumi, o no?
No, perché il rischio è di farci usare ad ogni angolo di protesta. Nell’era dell’algortimo e dell’AI potrebbe non essere così furbo.
Ettore Macchieraldo