Disagio lavoro

Lo sa chi ci è dentro, lo sa chi segue con attenzione le condizioni occupazionali degli ultimi anni: il disagio oggi non è solo di chi non ha occupazione, ma colpisce sempre più anche chi un lavoro ce l’ha.

A lanciare l’allarme è stata la Cgil che ha condotto uno studio sul tema: a fine 2017 è stato toccato il record delle persone in disagio sociale e psicologico in Italia che sono oltre 4,5 milioni.

Questo drammatico dato risulta dallo studio “Lavoro: qualità e sviluppo” elaborato dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio della Cgil.
Nel quarto trimestre 2017 le ore lavorate (dati Istat) sono ancora inferiori del 5,8% rispetto al primo trimestre del 2008 e le unità di lavoro sono il 4,7% in meno sempre relativamente allo stesso periodo. Si tratta di meno 667 milioni di ore lavorate e di quasi 1,2 milioni di unità di lavoro in meno rispetto al primo trimestre 2008. “Nell’Unione Europea a 15, – si legge nello studio – lo scarto fra occupati e ore lavorate è particolarmente consistente per  l’Italia. Questo andamento è legato al peggioramento della qualità dell’occupazione italiana.”  Fra il 2013 e il 2017 (fonti ISTAT) aumentano fortemente i part-time involontari e soprattutto negli ultimi due anni, le assunzioni a tempo determinato, portando l’area del disagio a superare il record di  4 milioni e 571 mila persone, la più alta dall’inizio delle rilevazioni della Fondazione Di Vittorio.
Ma peggiorano anche le condizioni di chi è già precario. Analizzando i dati e dell’Osservatorio sul Precariato dell’INPS sulle assunzioni a tempo determinato, si evidenzia infatti che fra questi lavoratori cresce il part-time (+55% fra il 2015 e il 2017) e aumentano i dipendenti con contratti di durata fino a 6 mesi, passati da meno di 1 milione nel 2013 a  più di 1,4 milioni nel 2017.
Si riducono quindi le ore lavorate e si accorciano i contratti con conseguente riduzione salariale e aumento invece dell’instabilità.
E’ evidente, quindi, – continua lo studio – che il numero totale degli occupati, pur importante, rappresenta un’immagine molto parziale della  condizione del lavoro in Italia. La qualità di questa occupazione è in progressivo e consistente  peggioramento, e questo spiega l’insoddisfazione sia sulle condizioni attuali che rispetto al futuro, non solo di chi è disoccupato, ma anche di chi ha un lavoro.
In un contesto di lavoro molto frammentato, dove si è persa l’appartenenza di classe a favore dell’individualismo, o dell’isolamento, la condizione di precarietà sul lavoro può diventare un fattore lacerante per persone e famiglie che arrivano a sfiorare o entrare pienamente in condizione di povertà e vulnerabilità sociale, togliendo soprattutto ai giovani la possibilità di costruire il proprio progetto di vita.
Sono cose risapute e anche il nostro territorio non è immune al vizio imprenditoriale alla precarizzazione delle vite delle lavoratrici e dei lavoratori, fa parte di uno schema: far prevalere l’individualismo, base del capitalismo, contro la socializzazione (delle rivendicazioni, dei problemi), contro il sindacato, … per ottenere il minimo conflitto e il massimo profitto. Ogni questione va affrontata uno a uno, peccato che l’Uno azienda può schiacciare come un moscerino l’Uno lavoratore se si presenta da solo.

a cura di Cadigia Perini

E’ necessaria una nota finale a questo articolo, quando parlo di “aziende” il riferimento è principalmente alle medie-grandi imprese, spesso multinazionali, di quelle che vedono il lavoro solo come un costo e vanno quindi alla ricerca del prezzo più economico e ne abbiamo tante in zona. (Embletatico il caso della Embraco che licenzia 500 dipendenti a Riva di Chieri per spostarli in Slovacchia dove un operaio quadagna 500 euro al mese, ma poiché c’è sempre qualcuno più a est di te … ora gli slovacchi sono preoccupati perché temono che la Embraco si sposti in India.)
Perché invece fra le piccole aziende vi sono molte realtà virtuose, ma poco visibili. Queste imprese, dove si usano le agevolazioni di legge al minimo, non con finalità speculative, ma per poter avviare al lavoro giovani e meno giovani in un ambiente sereno e sicuro, dovrebbero mettersi in rete magari per socializzare alcuni servizi, ma soprattutto per fare le loro rivendicazioni con maggiore forza incisiva per la semplificazione burocratica nei rapporti con la pubblica amministrazione, per rivedere il rapporto banche-imprese, per rendere la sicurezza non un costo ma un vantaggio, per favorire gli investimenti, … A queste aziende (quelle virtuose s’intende) non servono semplici sgravi contributivi o “licenza di licenziare” … Infatti come scrive un piccolo imprenditore mandando un contributo al programma di Potere al Popolo, “molti di noi non sarebbero per niente toccati dal discorso art.18 o da altre misure della sicurezza/controllo, ma anzi le vedrebbero come un vantaggio per loro e un aiuto al lavoro quotidiano”.
CP