La rubrica CONTRONATURA di Diego Marra
Il fatto sarebbe bizzarro se non fosse tragico. Tutti i mezzi d’informazione hanno riportato la notizia del decesso di due coniugi veneti in seguito all’assunzione di colchicina, contenuta nel colchico autunnale (Colchicum autumnale) scambiato per il croco sativo o zafferano (Crocus sativus) dai cui stimmi si ricava la prelibata spezia per risotti alla milanese.
La colchicina è un potente veleno che blocca la replicazione cellulare ed è contenuto in tutta la pianta di colchico. Quando lavoravo in laboratorio all’università (non chiedetemi quanti anni fa) usavamo la colchicina proprio per questa sua azione, in modo da osservare le cellule bloccate durante la metafase della mitosi (per spiegazione scientifica rivolgetevi a Wikipedia!); ricordo fotograficamente il contenitore della colchicina con teschio impresso, come una Jolly Roger (bandiera dei pirati) per studenti malaccorti. Il colchico è comunissimo nei nostri prati in autunno mentre non esiste lo zafferano (Crocus sativus).
Il croco sativo è il risultato di una selezione artificiale operata su una specie originaria dell’isola di Creta, è sterile e quindi si può riprodurre solo per clonazione, non lo troverete nei prati, ma solo coltivato. Già questo aspetto, senza conoscere le differenze botaniche tra zafferano e colchico, dovrebbe essere altamente indicativo dell’improbabilità di reperire zafferano spontaneo, ma l’assioma per cui tutto ciò che è naturale sia buono è pervasivo nella nostra società inadeguata a confrontarsi con l’ambiente naturale; il bestiame non bruca i colchichi e le altre specie tossiche presenti nei prati, per esempio i comuni ranuncoli, invece noi (non io) esseri umani smartphonizzati, ormai avulsi dal contesto biologico in cui viviamo, pensiamo che ogni erbetta o fiorellino siano commestibili… la Natura è buona!
Scomodando Leopardi: la Natura è matrigna! Ricordo numerosi eventi di intossicazione per incauta assunzione di vegetali, per non parlare dei funghi che ogni anno provocano gravi avvelenamenti anche mortali agli incauti ignoranti. Talvolta ho assistito ad un fatto emblematico dell’improvvidenza umana. Attraversando alpeggi montani mi sono accorto che alcuni veratri (Veratrum album) erano stati estirpati e mancavano della radice, chissà perché? Riflettendo e confrontandomi con l’amico e collega botanico che mi accompagnava, la spiegazione ci è apparsa lampante: qualche microcefalo aveva scambiato il veratro per la genziana maggiore (Gentiana lutea) splendida pianta con fiori gialli, non comunissima, ma presente sul piano montano e subalpino dei nostri rilievi, la cui radice amara è utilizzata per confezionare amari digestivi e fa parte dell’antica farmacopea. Il veratro, invece, contiene alcaloidi tossici, ha portamento simile alla genziana maggiore, ma notevoli differenze morfologiche in fiori e foglie ed è piuttosto comune negli stessi ambienti. Insomma siamo al solito pressapochismo, chissà quando gli esperti raccoglitori hanno offerto l’amaro di genziana agli amici vantandone le proprietà!
Sia chiaro, le piante contengono un intero prontuario di sostanze tossiche, non si può raccogliere di tutto senza cognizione di causa. È ridicola anche la pubblicità che sbandiera le proprietà di sostanze “naturali” contenute soprattutto in molteplici integratori alimentari, l’equazione naturale=buono è falsa: di Natura si può morire.
Diego Marra