Da “minoranza profetica” a “minoranza eretica” a “comunità generativa”

Le condizioni necessarie (ma non sufficienti) per la pace

In occasione della centesima settimana di presenza in Piazza di Città ad Ivrea dei gruppi ed associazioni che chiedono il cessate il fuoco e conferenze di pace per affrontare i conflitti in corso nel mondo, si è tenuta una “serata di dialogo” dedicata alla Pace presso l’ANPI di Ivrea. Di seguito alcune note ed appunti come contributo alla riflessione per il futuro, nella speranza di un confronto generativo, di un programma di azione che incoraggi lo stabilirsi di nuove connessioni, nuove relazioni, stimoli la partecipazione ed eviti il rischio di considerarsi “minoranza profetica”. Anzi sarebbe bello pensarsi come “minoranza eretica”, persone che riescono a riscoprire la ricchezza del movimento per la pace, anche andando oltre il pensiero unico dominante che vede la guerra come inevitabile; fino a diventare “comunità generativa”, un laboratorio in grado di proporre una visione del futuro alle giovani generazioni.

Il contesto storico (l’era iperliberista)

Il 1989 rappresenta uno “spartiacque”, una delle biforcazioni della storia simboleggiata dal crollo del Muro di Berlino. Da allora si è avuta la progressiva affermazione del paradigma neoliberista – iperliberista, ovvero di quella dottrina economica che sostiene una riduzione dell’influenza dello Stato sull’economia e una crescente fiducia riposta nelle capacità del mercato di portare, da solo, sviluppo e aumento dell’occupazione anzi, in molti continuano a sostenere (e molti ci credono) che le disuguaglianze di reddito siano positive per stimolare imprenditoria e sviluppo. La verità è molto diversa da questa narrazione. Le differenze economiche sono aumentate esponenzialmente, gli ultimi dati ci dicono che l’1% più ricco possiede ormai il 63% dell’incremento di ricchezza globale (Oxfam, 2024).

Il paradigma iperliberista è intimamente connesso con almeno quattro forme del dominio:
capitale vs lavoro (secondo un recente rapporto, solo a causa della cosiddetta “intelligenza artificiale”, nei prossimi anni
andranno persi circa 300 milioni di posti di lavoro (Goldman Sachs, 2023));
nord vs sud (il Mediterraneo è un cimitero di migranti, dal 2014 sono morte 28.000 persone (OIM, 2023), per non parlare dei boschi dei Balcani, del muro USA-Messico, dell’Australia che li deporta su un isola, etc.);
uomo vs donna (solo in Italia, ormai ogni due giorni viene uccisa una donna dal proprio partner (Today, 2023), in molti paesi le
donne sono ridotte in schiavitù, non possono accedere all’istruzione e nemmeno alle cure mediche);
homo-sapiens vs pianeta Terra (i dati sull’emergenza climatica sono sempre più preoccupanti: entro il 2025 dovremo diminuire drasticamente le emissioni di CO2 per riuscire a mantenere le condizioni di vivibilità sulla Terra) (IPCC, 2023). Eppure l’ultima conferenza COP28 dell’ONU dedicata ai cambiamenti climatici ha dato scarsi risultati.

Tutto questo ha portato ad una “policrisi” sociale ed ambientale. A queste crisi si è aggiunta quella più recente: la crisi epistemica. Infatti la nascita delle Big Tech, con la favola dell’automazione delle scelte, con la profilazione degli utenti basata su sofisticati algoritmi, sta portando all’overload informativo, alla sindrome di Funes (nel racconto Funes el memorioso, Borges descrive questo incredibile personaggio che ricorda ogni cosa ma non riesce a formulare idee generali) (Borges, 1955), gli esseri umani stanno perdendo gli strumenti per l’acquisizione della conoscenza, la capacità di distinguere il vero dal falso. La guerra si inserisce in questo scenario.

La guerra viene proposta come unica opzione. Pensiamo alle numerose guerre in corso. Eppure, persino la più grave crisi della Guerra Fredda, la famosa crisi dei “missili a Cuba” nel 1962, andò diversamente: con una trattativa USA-URSS, Kennedy e Chruscev fermarono lo scatenarsi di una guerra atomica. Oggi qualsiasi trattativa viene bollata come inaccettabile (si va avanti fino alla vittoria!?); la guerra, persino quella atomica, viene presentata come accettabile o ineluttabile.

Questi elementi hanno portato ad una “policrisi” della quale l’ “Occidente” non vuole prendere atto. L’Occidente non è coerente nemmeno con i suoi valori storici (Kant, Erasmo, Spinoza…), di libertà fraternità, uguaglianza, diritti umani universali, … infatti è il Sudafrica (non l’Europa!) a denunciare Israele alla Corte Internazionale di Giustizia (Reuters, 30 Dicembre 2023). Il momento è decisivo per il diritto internazionale, per tutti gli organismi internazionali, come l’ONU, nati dopo la guerra del ’45 come strumenti fondamentali di composizione dei conflitti e basati sulla ragione, non sulla forza. Come diceva un grande visionario: “hanno la forza ma non la ragione” (Salvador Allende). Ma, come diceva uno che la sapeva lunga: “non basta avere ragione, bisogna che te la diano” (Giulio Andreotti). Ecco quindi che si coglie l’importanza di organismi internazionali, di “terze parti” riconosciute da tutti, del diritto internazionale (Amnesty International, 2024).
Come scrive Roberta De Monticelli: l’umanità è ad “un bivio tra la speranza e l’abisso, fra la civiltà e la guerra mondiale, … tra chi
si sente impegnato a riconoscere il vero (impegno etico) e chi abusa del linguaggio, per ignorare il vero, per cancellare l’altro”
(si puo’ definire democratico uno stato che si regge sulla negazione dei diritti di una parte dei suoi cittadini?) (De Monticelli,
2024).

Guerra e stili di vita (la guerra è economia?) Quale legame esiste tra guerra e stili di vita?

Uno dei modi più semplici per evidenziare l’economia del dominio è quello di misurare l’energia consumata nei vari paesi. Ad esempio l’energia pro capite consumata ogni giorno negli USA è di 215 KWh, in Somalia è di 0,6 KWh (OWID, 2023). E’ evidente che, se i consumi devono crescere all’infinito (come proposto dal recente documentario Nuclear Now di Oliver Stone), allora non bastano tutte le energie rinnovabili, c’è bisogno di continuare ad estrarre e bruciare gas, carbone, uranio, costruire centrali nucleari, a fissione, a fusione, etc.
Anche il digitale, che potrebbe aiutare ad affrontare la de-carbonizzazione, contribuisce all’aumento dei consumi: i giganteschi data center delle Big Tech che controllano le cosiddette “intelligenze artificiali” consumano come l’Italia, 320 TWh all’anno (IEA, 2023).

Se si dimentica che su un pianeta finito una crescita infinita è impossibile, come spiegava il rapporto del Club di Roma del 1972 (Meadows et al., 1972), allora la guerra è implicita in una visione dell’economia basata sulla crescita infinita, sulla conquista di nuove risorse, sull’estrattivismo da conquistadores.
Famoso anche nel mondo laico è il passaggio della ‘Laudato si’: “… paradigma tecnocratico che è alla base dell’attuale processo di degrado ambientale…l’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia” (Francesco, 2015).
La guerra inoltre ha un impatto ambientale in sé: oltre alle decine di migliaia di morti, in tutti gli scenari di guerra, in tutte le esercitazioni, vengono bruciate per sempre materia, energia, e prodotte centinaia di migliaia di tonnellate di CO2 (Weir, 2024). In questo scenario le economie diventano tutte economie di guerra: che differenza c’è tra l’economia di guerra USA e quella della Russia? E quella della Cina? La filosofia comune a tutti gli apparati militari-industriali sembra essere: l’importante non è vincere la guerra, l’importante è che ci sia la guerra.
La finanza infatti va a gonfie vele con la guerra. Si legge su MilanoFinanza del 23 Dicembre 2023: “la Borsa di Milano regina del 2023 (+28%). Da inizio anno è la migliore al mondo”. Leonardo fa +85% (notizia su Pressenza del 13 Gennaio 2024: il papa Francesco ha rifiutato la donazione di 1,5 milioni di euro all’ospedale Bambin Gesù di Roma, perché proveniente da Leonardo). Eppure la spesa militare è in aumento: “Nel periodo 2013-2023, la spesa militare in Italia è aumentata del 30%. Quella per la sanità è aumentata solo dell’11%, la spesa per l’istruzione del 3% e la spesa per la protezione ambientale del 6%” (Greenpeace, 2023). Inoltre l’Italia è tra i top-ten esportatori di armi, i primi dieci paesi al mondo per export di armi (Sajen, 2023).

Può esistere un’economia libera dalla guerra? Certamente. Ma bisogna iniziare a cambiare la cultura del dominio, avviare una discontinuità a tutti i livelli: personale (es. boicottando le banche che investono in armi), comunitario, nazionale, globale. Potrebbe essere interessante aderire alla campagna “Climate for Peace” di Greenpeace, alla campagna “La guerra è tossica. La pace è rinnovabile” di Legambiente, etc. Come pure rilanciare l’idea delle oil-free community, delle transition town, comunità resilienti che su cibo, energia, mobilità, digitale, rifiuti, etc. puntano a diminuire drasticamente la dipendenza dal fossile, anche partendo dagli stili di vita, adottando la filosofia “Avoid-Shift-Improve” (evita, cambia, migliora). Fino a rilanciare l’idea della war-free economy (collegandosi alle iniziative di “conversione economica” e “economia disarmata” del Centro Studi Sereno Regis, di Torino, del Collettivo Sbilanciamoci, etc.). Perché non aprire un dialogo con il sindacato, CGIL, FIOM, etc. sulla riconversione delle fabbriche di armi?
Interessante l’esperienza sarda war-free – Lìberu dae sa Gherra, marchio etico che unisce le imprese sarde che ripudiano la guerra e offrono prodotti e servizi che rispettano i valori etici e della sostenibilità ambientale per “…promuovere una nuova economia civile (Antonio Genovesi (1713-1769)), sostenibile e libera dalla guerra, … valorizzare il territorio della Sardegna e presentarlo come un luogo da cui nasce una proposta di pace, offrire alla politica e all’opinione pubblica un segno di economia positiva per testimoniare le strade alternative all’industria delle armi e all’estrazione di valore, portare lavoro degno nel territorio,… passare dalla competizione alla cooperazione” (Warfree, 2024).

Guerra e Patriarcato (dalla cultura della guerra alla cultura della cura) Quale legame esiste tra guerra e cultura del patriarcato?

Per indagare il legame guerra-patriarcato, può essere interessante rileggere alcuni brani dell’Iliade (Omero, VII sec. a.C.) dal dialogo tra Ettore e Andromaca. Andromaca: ‘Misero, il tuo coraggio ti ucciderà tu non hai compassione del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto sarò … ah dunque, abbi pietà rimani qui …, non fare orfano il figlio, vedova la sposa …’; Ettore: ‘Donna, anche io sì penso a tutto questo; ma ho troppo rossore … se resto come un vile lontano dalla guerra. Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte sempre, a combattere … al padre procurando grande gloria e a me stesso … Misera, non t’affliggere troppo nel cuore! Nessuno contro il destino potrà mai (uccidermi) … Su, torna a casa, e pensa all’opere tue, telaio e fuso; … alla guerra penseranno gli uomini tutti e io sopra tutti; …’

Secondo la ricercatrice Francesca Sensini “… nella società … che Omero racconta, agli uomini spetta parlare e occuparsi della guerra; alle donne spettano le faccende domestiche… la donna esorta il marito a non comportarsi da eroe. Ma, in Omero, gli uomini o sono guerrieri valorosi o non sono degni di rispetto. Sono educati così; Ettore lo spiega bene… Come la madre, anche Astianatte piange … Ecco, le donne e i bambini: il gruppo solidale che rappresenta l’umanità, la vita nella sua mortalità, privata degli orpelli dell’eroismo, vulnerabile e misteriosamente commovente, e che ritorna in scena a ogni nuova guerra…”. Continua Sensini così: “Alle radici del nostro immaginario c’è dunque una guerra, la prima di una lunga serie. C’è il patriarcato, uno dei codici sorgenti delle società di classe, compresa quella in cui viviamo oggi. La parola rimanda a una storia millenaria che ha portato al dominio di un sesso solo e alla definizione di una gerarchia, istituzionalizzata e simbolica, incardinata nelle leggi, naturalizzata nel senso comune, consegnata ai prodotti dell’immaginario come un dato ineludibile di realtà, iscritta nei corpi. Questa gerarchia determina dei rapporti di forza, fortunatamente soggetti a mutamenti storici, come ogni fenomeno umano… oggi … gli strumenti per scavare ci sono. Basta interrogarli…” (Sensini, 2023).
Francesca Sensini spiega dunque la forma più antica di dominio (uomo vs donna) ma propone anche una rilettura delle nostro immaginario per capire le radici profonde della guerra, e per ribaltare la sua logica di dominio.

Il poeta greco Yorgos Seféris (1900-1971) (Premio Nobel per la Letteratura 1963, ha testimoniato l’importanza della poesia negli anni della dittatura dei colonnelli in Grecia (1967-1974): i suoi funerali nel 1971 ad Atene si trasformarono in una immensa manifestazione contro la giunta militare), come Andromaca, è stanco e sgomento di fronte alle continue catastrofi umane. Si mette dalla parte di Andromaca, quella dell’umanità nuda, che riconosce i propri limiti mortali e che vuole vivere, sperare in una qualche felicità; un’umanità che il patriarcato respinge, bollandola come femminile, in senso deteriore, inferiore per natura. Nel 1934 Seféris scrive ‘Astianatte’ una poesia dove immagina che Andromaca sia scappata prima della caduta di Troia, lasciandosi alle spalle il marito e il suo cimiero, portando con sé il figlio, salvandolo, per crescerlo altrimenti, lontano da logiche di dominio, da mortiferi maestri di guerra e dalla paura:
“Ora che te ne andrai,
ora che il giorno della resa dei conti si affaccia,
ora che nessuno sa chi dovrà uccidere e come sarà la sua fine,
con te prendi il bambino che ti nacque all’ombra di quel platano:
maestri gli siano gli alberi” (Seferis, 1934).

Sullo stesso tema Lea Melandri, all’inizio della guerra in Ucraina, propone una interessante riflessione (…se il maschio cerca nella guerra l’ordine patriarcale perduto... le radici patriarcali della guerra): “Quando le donne hanno cominciato a scostarsi dal posto in cui sono state messe … anche la collocazione dell’uomo ha perso i suoi contorni definiti e indiscutibili. La libertà, di cui ha creduto di godere la comunità storica maschile, svincolandosi dalle condizioni prime, materiali, della sua sopravvivenza, ha mostrato impietosamente la sua inconsistenza, portando allo scoperto un retroterra fatto di fragilità, paure e insicurezza. Ma a riportare un ordine patriarcale in declino ci pensa, come è già capitato più volte nella storia, la guerra: quella domestica dei femminicidi e quella sociale delle armi. Da una parte tornano a esserci “donne e bambini”, “madri e mogli” a cui dare rifugio e protezione e versare lacrime e fiumi di retorica politica, dall’altra la chiamata degli uomini al coraggio virile delle armi… Dire “No alla guerra” oggi, in qualsiasi forma si manifesti, significa per me essenzialmente due cose: – che le guerre sono state fino ad ora strumento di dominio … – che le guerre hanno anche impedito di affrontare a fondo i conflitti, di risalire alle cause dell’odio che le muove, di prevenirle, di creare le condizioni per una migliore convivenza umana.” Lea Melandri conclude con un’apertura “eretica” verso il futuro e un messaggio di speranza: “Ci sono stati tanti e straordinari cambiamenti nella storia dell’umanità, perché non dovrebbe cambiare anche l’idea di ciò che è “reale” e “possibile”?” (Melandri, 2022).
La connessione guerra – patriarcato è molto complessa da affrontare e implica anche un diverso tipo di educazione, un’educazione alla reciprocità (non alla dominazione), al riconoscimento della dignità dell’altra persona. Imparare a coltivare le relazioni, non a fissarsi sulle entità (!), perché le entità scatenano le identità, le identità portano ai confini, che portano alle frontiere, ai muri. Su questi temi, a Ivrea è stato presentato, con un’introduzione di Matilde Lovalvo, il libro “Tempi di guerra. Riflessioni di una femminista” con l’autrice Maria Luisa Boccia, la quale ha spiegato la sua posizione basata sul rifiuto della logica amico/nemico e della violenza/guerra come fondamento della politica. Rievocando Judith Butler, Virginia Woolf, Hanna Arendt, ha ricordato che le pratiche femministe hanno dimostrato che il dominio, il patriarcato può essere depotenziato attraverso una “alleanza dei corpi”, con conflitti senza guerra, al di fuori della logica del più forte. Potrebbe essere interessante continuare invitando anche altre studiose come Lea Melandri, Alisa Del Re, Ida Dominijanni, altre associazioni come Donne in rete contro la violenza (D.i.Re.), la Women’s International League for Peace and Freedom (WILPF), nata nel 1905 (!) e attiva ancora oggi.

4. Guerra, scienza e tecnologia (strumenti di dominio per mantenere le differenze) Quale legame esiste tra guerra, scienza e tecnologia?

Come spiega la Fisica, per mantenere una differenza di potenziale serve energia. Questa energia oggi si chiama guerra. Il dominio e la guerra sono incorporati. Se la scienza viene intesa come strumento di dominio sulla natura (invece che strumento di conoscenza per imparare a vivere in armonia con la natura), se si persegue una crescita infinita basata su esponenziali (invece che un ‘equilibrio stazionario’ basato su cicli), allora la guerra è una logica conseguenza. Le armi servono per mantenere le differenze, in particolare per mantenere il dominio. La scienza e la tecnologia spesso vengono asservite a questo scopo, nascondendo il tutto dietro alla falsa maschera della neutralità della scienza. Come insegnava Marcello Cini: scienza e società si plasmano a vicenda, la scienza non è neutra, incorpora i valori della società del tempo (Cini, 1976).

Ecco allora nel contesto del XXI secolo la nascita di nuovi imperi digitali, le Big Tech. Esse presentano come neutra, come ineluttabile l’ultima versione della tecnocrazia: la cosiddetta intelligenza artificiale. Con la delega alle macchine, agli algoritmi, di scelte che dovrebbero restare a carico degli umani. Ecco quindi il cedimento epistemologico: le macchine che aiutano a prevedere, poi a predire, infine a prescrivere. Come se l’umano non volesse più assumersi nessuna responsabilità, nemmeno quella della guerra: ecco l’arrivo dei droni, guidati da algoritmi, in grado di uccidere autonomamente.
Persino il papa parla dei rischi di questo cedimento alla macchina in un passaggio della ‘Laudate Deum’: “… L’intelligenza artificiale e i recenti sviluppi tecnologici si basano sull’idea di un essere umano senza limiti, le cui capacità e possibilità si potrebbero estendere all’infinito grazie alla tecnologia. Così, il paradigma tecnocratico si nutre mostruosamente di sé stesso” (Francesco, 2023). Non sorprende quindi l’uso della cosiddetta intelligenza artificiale da parte dell’esercito israeliano a Gaza: (gli attacchi) “non sono compiuti su obiettivi mirati scelti dai militari, ma vengono decisi da un’intelligenza artificiale chiamata Gospel (Vangelo) e poi selezionati dai soldati” (Carboni, 2023).

In Piemonte scienza, tecnologia e guerra si presentano come l’economia del futuro (“Torino città dell’aerospazio”) e basato sull’innovazione (per l’economia di guerra): Torino è stata selezionata come “DIANA Center” dalla NATO (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic) (NATO, 2024). Ovviamente questo pone interrogativi profondi sul ruolo della ricerca in ambito militare. Al Politecnico di Torino il dibattito è aperto: nell’edizione Biennale Tecnologia 2022 per la prima volta il Politecnico ha invitato il Centro Studi Sereno Regis a parlare di tecnologie e pace nella sessione dal titolo significativo “Dalla spada all’aratro” (Biennale, 2022). Il dibattito è stato poi ripreso dalla stampa nazionale per sottolineare il dilemma etico delle persone coinvolte in ricerche legate alla guerra (Coccorese, 2022).
Un grande contributo al dibattito scienza-tecnologia e guerra è stato dato dal libro “Università e militarizzazione” di Michele Lancione, un docente del Politecnico. A partire dalla denuncia del contributo della ricerca al progetto Frontex (la tecnologia necessaria a mantenere il dominio sui migranti), arriva a mettere in discussione il coinvolgimento delle università pubbliche in sviluppi di tecnologie per la guerra (Lancione, 2023).

Dal 2013 è partita la campagna internazionale Stop Killer Robots per la messa al bando delle “armi autonome”, i cosiddetti Lethal Autonomous Weapons Systems (LAWS) o “robot killer”. Armi che, “una volta attivate, sono in grado di selezionare ed attaccare un obiettivo senza ulteriori interventi da parte degli umani” (DOD, 2023). La campagna Stop Killer Robots è supportata da 250 organizzazioni non governative di 70 paesi diversi (SKR, 2023), in Italia ha come partner l’Unione Scienziati per il Disarmo, la Rete italiana Pace e Disarmo e l’Archivio Disarmo e il supporto dello scienziato Giorgio Parisi, Premio Nobel per la Fisica 2021: “… ci sono anche dei risvolti pericolosi dell’intelligenza artificiale … il sistema di armi letali non può essere lasciato alle macchine, non possono essere loro a decidere chi uccidere o meno” (Arachi, 2021). Un importante supporto è venuto dalla Croce Rossa Internazionale nel 2021: “… i sistemi d’arma autonomi … sollevano preoccupazioni etiche fondamentali per l’umanità, sostituendo di fatto le decisioni umane sulla vita e sulla morte con processi basati su sensori, software e macchine” (ICRC, 2021). Un primo risultato della campagna si è ottenuto il 22 Dicembre 2023, con la votazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che ha adottato per la prima volta una risoluzione sulla “… promozione di negoziati per un nuovo trattato internazionale per la messa al bando e la regolazione di questo tipo di armi” (UN, 2023).

Da segnalare che il mondo della ricerca nel digitale ha visto crescere il numero di persone esperte di computer (computer professional) che mettono in discussione il coinvolgimento delle loro imprese in progetti militari (Shane, 2018). Il dibattito è aperto fin dagli albori dell’era dei computer con uno dei primi scienziati, Norbert Wiener, che nel 1947 dichiara: “Non penso di pubblicare nessun mio lavoro futuro che potrebbe fare danni nelle mani di militaristi irresponsabili…” (Wiener, 1947). Fino ad arrivare al Codice Etico per computer professional (Code of Ethics and Professional Conduct) definito da un comitato internazionale (ACM, 2018) che impone tra i principi fondamentali “non fare del male”, “contribuire al bene comune” e, in caso di conflitto tra “interessi privati” e “bene collettivo”, la priorità va data al bene collettivo. Anche la professione informatica si è data una deontologia.
L’etica del digitale è un’area in grande espansione anche per tutti questi motivi: la pervasività del digitale e la progressiva “delega all’algoritmo”. D’altra parte la comunità informatica ha avviato una discussione su un approccio Slow Tech, verso un’informatica buona, pulita, e giusta (Patrignani e Whitehouse, 2018).
Le persone esperte di informatica, computer professionals, sanno come è fatto un sistema digitale e come funziona: è tempo di chiedersi come e perché progettarlo, per chi, per quali scopi? Fino alla domanda cruciale: se progettarlo! E’ tempo insomma di assumersi delle responsabilità.

Nel mondo della scienza e della tecnologia la necessità di riflettere insieme a tutte le comunità coinvolte e di applicare il Principio di Precauzione stanno diventando pratiche comuni. Lo insegnavano gli antichi miti greci di Prometeo (“colui che riflette prima”) e del fratello Epimeteo (“colui che riflette in ritardo”, infatti benché ammonito da Prometeo di non accettare doni da Zeus, accolse la bellissima Pandora mandatagli da questo; come noto, Pandora aprì il vaso che conteneva tutti i mali del mondo). Esistono una scienza e tecnologia per la pace? L’approccio scientifico tradizionale (basato su una presunta neutralità e riduzionismo) si presta molto ad essere usato ed abusato dall’apparato militare-industriale. Le nuove frontiere della scienza che accettano la sfida della complessità (come il Premio Nobel Giorgio Parisi) si concentrano maggiormente sulle interconnessioni, le interdipendenze, e si prestano meno ad appoggiare sviluppi militari. Emerge una nuova visione della scienza più sensibile a questi temi, la cosiddetta Scienza Post-Normale da affiancare alla scienza tradizionale e da impiegare quando “i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti” (Funtowicz e Ravetz, 1997). Implicitamente richiede il coinvolgimento delle comunità interessate e si presta meno a diventare strumento di dominio e di guerra. L’emergenza climatica è un caso esemplare dove è richiesto un approccio scientifico post-normale. Interessante la definizione della Presidente del CNR, Maria Chiara Carrozza: “… potrebbe essere definita come un appello alla ‘democratizzazione delle competenze’… una reazione contro le tendenze a lungo termine di ‘scientizzazione’ della politica – la tendenza ad assegnare agli esperti un ruolo fondamentale nel processo decisionale emarginando le persone comuni, non addette ai lavori” (Carrozza, 2015).

La connessione guerra-scienza e tecnologia è stato un tema oggetto di diversi incontri anche ad Ivrea. Potrebbe essere interessante continuare ad esempio presentando il libro “Università e militarizzazione”, proiettando il video “immoral code”, prodotto dalla campagna Stop Killer Robot (in Gennaio c’è stato un primo incontro su questa campagna con oltre duecento studenti del Liceo Scientifico Gramsci), etc. Si potrebbero stabilire collegamenti con CERTO, Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino (Polito-Unito), con l’Unione Scienziati per il Disarmo, etc.

Che fare? (coltivare la speranza) In conclusione, diventa urgente superare il dilemma paralizzante tra “andrà tutto bene” da una parte e “la fine è vicina” dall’altra.

Per uscire dall’immobilismo bisogna coltivare la speranza, per superare le solitudini del Web (che diffondono paura, odio e ineluttabilità – “there is no alternative” come diceva Ms.Tatcher) bisogna riscoprire la comunità, l’importanza di sognare insieme, l’importanza del “meta-discorso”. L’Occidente non propone più sogni credibili alle giovani generazioni, domina l’ipocrisia. Come scrive Filippo Barbera: “si e’ sgretolato un meta-discorso fondato sul desiderio collettivo per un “futuro più giusto” che faccia appello alla parte emozionale delle persone: alle loro paure, sentimenti, pulsioni, speranze, esigenze di protezione. Leve che, per i propri scopi, la destra sa invece usare molto bene” (Barbera, 2024). Per non lasciare l’egemonia culturale in mano alla destra, al cinismo, al qualunquismo c’è un grande bisogno di persone visionarie, utopiste, che diano speranza, che facciano riscoprire il piacere della “social catena” (G.Leopardi).

Visto l’uso spesso strumentale delle religioni nei teatri di guerra, perché non proporre una giornata del dialogo delle religioni? Dare l’esempio della possibilità di dialogo è fondamentale, per parlare di pace bisogna essere “trascendenti” dalla triste realtà immediata, dagli interessi a breve termine. Chi meglio delle religioni dovrebbe dovrebbe dare l’esempio di questa capacità di trascendenza, di una realtà concepita come ulteriore, “al di là” del tristissimo presente?

Il dibattito pace vs giustizia è un dibattito antico, aperto fin dagli inizi del Novecento: agli occhi dei pacifisti i socialisti non erano abbastanza decisi nel rifiuto della violenza, mentre dal canto loro i socialisti ritenevano che i pacifisti non fossero sufficientemente anticapitalisti e rivoluzionari. Perché non passare da “prima la giustizia poi la pace” (linearita‘, il fine giustifica i mezzi) a “pace-giustizia-pace” (circolarità, coerenza mezzi-fini), come ci insegnano i sistemi complessi dove tutto e’ connesso con tutto e dove tutti i popoli sono ormai interdipendenti?

Infine diventa vitale rilanciare l’internazionalismo. Ad esempio studiare, leggere in piazza l’Art.11 della Costituzione, però non solo la prima parte (“l’Italia ripudia la guerra …”) ma anche e soprattutto la seconda parte: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Di fronte agli attacchi concentrici sull’ONU (nata a San Francisco nel 1945!) bisogna riscoprire l’importanza delle strutture sovranazionali e il multilateralismo (quanto sono conosciuti i passi per superare la Guerra Fredda contenuti negli Accordi di Helsinki del 1975?). L’internazionalismo potrebbe essere una base comune di lavoro con i sindacati: oggi esiste ancora IWW, Industrial Workers of the World, nata a Chicago nel 1905! Ad esempio, una delle proposte recenti più visionarie è quella di una “democrazia cosmopolitica”, contenuta nella proposta
Costituente Terra (https://www.costituenteterra.it/) di Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, etc.Nato molti anni fa, il movimento per la pace è da sempre un fiume che ha molti affluenti, molte componenti: nonviolenta,ambientalista, femminista, hippy (make-love-not-war), libertaria, antimilitarista, internazionalista, marxista, laica, liberale, lgbt
e per i diritti civili, religiosa (buddista, cristiana, musulmana, ebraica, etc.). Anche se negli ultimi anni la sua presenza e la sua
carica emotiva si è un po’ affievolita, a Gennaio 2024, l’87% degli italiani si dichiara contrario a politiche militariste (Liverani,
2024), sarebbe interessante stimolare tutti questi affluenti per far riemergere un movimento pacifista in grado di affrontare
gli enormi conflitti attuali.
Queste note vogliono essere un contributo a questa ri-emersione, a stimolare una “comunità generativa”, all’identificazione
delle condizioni minime necessarie (anche se non sufficienti) per la pace.

Norberto Patrignani

 

 

Riferimenti
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– Amnesty International (2024, 26 Gennaio). Israel must comply with key ICJ ruling ordering it do all in its power to prevent
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– Barbera, Filippo (2024, 16 Gennaio). La giustizia fiscale resta una ‘passione muta’, ilmanifesto.
– Biennale (2022). https://2022.biennaletecnologia.it/sessioni/dalla-spada-allaratro-tecnologie-e-pace.
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– Carboni, Kevin (2023, 1 Dicembre). Come funziona l’intelligenza artificiale che Israele usa per bombardare Gaza. Wired.
– Carrozza, Chiara (2015). Democratizing Expertise and Environmental Governance: Different Approaches to the Politics of Science
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