L’Etiopia è sull’orlo della guerra civile, dal 4 novembre sono cominciati scontri sempre più violenti fra l’esercito governativo guidato da Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace 2019 per l’accordo di pace con l’Eritrea, e quello del Tigray, regione del nord Etiopia. Migliaia di morti, 25.000 profughi verso il Sudan. Ospitiamo l’appello di Augusta Castronovo, fondatrice e presidente dell’associazione eporediese “Il sogno di Tsige”.
Augusta Castronovo, nata in Etiopia ai tempi del colonialismo italiano, nel 1997 riuscì a realizzare il suo sogno di visitare il suo paese natio. Nacquerò così rapporti e amicizie con diverse persone, fra queste Tsige Roman Gobezie Goshu che per aiutare il suo paese aveva avviato un progetto per il sostegno agli anziani e la scolarizzazione dei bambini attraverso la coltivazione di una vasta area di terreno. Da questo incontro Augusta decise di costituire nel 2007 una Associazione con lo scopo sostenere il progetto di Tsige, “Il sogno di Tsige”.
Quando sono andata a visitare l’Etiopia per la prima volta nel 1997 era in una povertà spaventosa. Abbiamo fatto nascere una Associazione che porta il nome di una donna etiope “il sogno di Tsige”. per collaborare con lei in un progetto di aiuto alla popolazione. Volevo creare un ponte di solidarietà fra donne, mi piaceva che una donna italiana nata nel periodo del colonialismo aiutasse una donna etiope a risollevare il suo paese.
Ho voluto conoscere tutto il paese, il Nord, il Parco del Simien, il Lago Tana, Bahar Dar, Gondar, Debra Libanos, la Dancalia sino al vulcano Erta Ale, il Tigray e poi da Addis Abeba,Harar, Diré Dawa, la Valle delle Meraviglie e per ben tre volte l’intera Valle dell’Omo, il Bale Mountain. Ho voluto conoscere le varie etnie che compongono il paese, ho visto quanto erano belle e interessanti, che patrimonio mondiale rappresentavano, che valori avevano nel loro interno, mi ero detta che non avevamo nulla da insegnare ma anzi da apprendere e quanto erano diverse una dall’altra anche a pochi chilometri di distanza, ognuna aveva una propria credenza (non si poteva parlare di religione).
L’Etiopia è una federazione e ogni gruppo ha un suo rappresentante nel governo, ricordo il re dei Konso con il suo palazzo il cui ingresso era dentro il tronco di un albero, un ingegnere che aveva studiato ad Addis Abeba e all’estero e il suo terreno era tutto a terrazzamenti con alberi che producevano il cotone.
Poi man mano ho visto la trasformazione. Ho visto al di sotto di Addis Abeba in una zona con molta acqua dove vi sono 7 laghi, chilometri di serre appartengono all’Olanda, vengono coltivati i fiori che poi sono venduti ad Amsterdam, un piccolo aeroporto accanto alle serre e un piccolo ospedale dove sono curati quelli che si ammalano per gli anticrittogamici usati.
Poi la Cina inizia a comprare il cotone che prima veniva lavorato direttamente dalle etnie, i Dorze erano bravissimi nel tessere la tela e fare tovaglie tutte ricamate e vestiti e cappellini. Ho visto nuove strade che attraversano la savana e anche il parco Nazionale dei Mursi, le popolazioni trovavano recintate le terre dove prima andavano a pascolare gli animali. E’ stata venduta anche la fabbrica del caffè. Il caffè etiope è uno dei migliori al mondo.
Poi inizia la costruzione della diga accanto al Lago Tana chiamata la Diga della Rinascita, doveva fornire corrente elettrica che scarseggia in tutto il paese e che era considerata indispensabile per uno sviluppo. Sudan ed Egitto però hanno paura che il riempimento dell’invaso riduca la portata dell’acqua nel Nilo e quindi rappresenti un pericolo per la navigazione.
In un primo tempo pensavo che era una fortuna per l’Etiopia non possedere petrolio e miniere, ma poi è diventata attrattiva lo stesso. Mi sono sempre detta che è difficile essere a capo di un paese che ha al suo interno tante diversità, rischia sempre di essere considerato oppositore per qualcuno, ne abbiamo avuto vari esempi nel mondo.
Mi sarei aspettata però che un Primo Ministro, premio Nobel per la pace, mediasse e lottasse per mettere d’accordo i vari gruppi invece di scatenare una guerra che rischia di espandersi.
Sono incredula e angosciata. Come è possibile fare pulizia, come dice lui, in piena emergenza Covid in un paese che non ha strutture ospedaliere in grado di curare le persone? In Etiopia le persone muoiono senza neanche sapere il perché. La fame è endemica e in più quest’anno il Nord Etiopia ha avuto anche l’invasione delle cavallette che hanno devastato i raccolti.
Ora la situazione si sta rapidamente deteriorando, in tutta l’Etiopia sono scoppiati conflitti fra le diverse etnie con centinaia di morti e accuse reciproche.
Il primo ministro etiope ha chiesto l’intervento del presidente dell’Eritrea nemico storico del Tigray e truppe eritree stanno accerchiandolo da Nord. E’ stato chiesto l’intervento di droni dell’UAE che si trovano ad Assab (Eritrea) corre voce che siano già intervenuti anche se non vi sono commenti dall’Unione degli Emirati Arabi. Il Tigray ora è accerchiato e ha subito bombardamenti in località diverse e sta usando le armi di cui dispone per colpire le basi dalle quali partono gli attacchi. (Gondar, Bahar Dar, Asmara).
Non vi è più cibo, no luce, no telefono, no internet, no soldi (sono stati impediti i trasferimenti di denaro e le banche sono chiuse) impossibile avere notizie dirette, non sappiamo più nulla delle persone che vivevano li. In Mecallè vi è una fabbrica italiana “La Calzedonia” che dove lavoravano 2 mila lavoratori locali, ora ha sospeso l’attività e sei operatori italiani sono bloccati.
Abiy (il Primo ministro Etiope) ha commesso un grosso errore pensando di risolvere il problema facendo pulizia, come dice lui in pochi giorni, questo conflitto sta esplodendo in tutto il Corno d’Africa causando migliaia di morti, la gente scappa e oltre 25000 persone sono sconfinate nel Sudan senza poter portare nulla, soffrono di infezioni varie e di malaria, il Sudan prevede l’arrivo di 200.000 persone e non ha i mezzi per aiutarli.
Sono 15 anni che dedico la mia vita per l’Associazione “il sogno di Tsige” coinvolgendo diversi volontari. Abbiamo presentato progetti approvati dalla Regione Piemonte, dalla Provincia di Torino, dallo SPI/CGIL, dall’Associazione VOL.A, dalla Fondazione Butterfly, dall’8 per Mille della Chiesa Valdese, abbiamo collaborato con la Missione Salesiana di Adwa, abbiamo costruito pozzi per l’acqua potabile, fatto impianti di irrigazione, abbiamo aiutato scuole a stampare libri gratuitamente, inviamo a scuola quasi 1000 bambini in 7 scuole etiopi, aiutiamo 200 anziani indigenti, abbiamo fornito strumenti musicali a ragazzi ciechi perché possano essere autosufficienti attraverso la musica e il canto.
Abbiamo collaborato con la MOXA di Modena per raccogliere memorie del nostro periodo coloniale, disponiamo di pannelli che raccontano questo nostro periodo storico e riportano le storie degli italiani che vi hanno preso parte, il tutto riportato anche in un libro “Vite di ricordi e memorie di una storia”, abbiamo raccolto 5000 fotografie di quel periodo, abbiamo esposto il tutto in mostre.
Collaboriamo con istituti scolastici italiani e abbiamo istituito una corrispondenza fra studenti italiani ed etiopi con il Progetto “Se ti conosco ti accetto e divento tuo amico”.
E ora? Tutto è vanificato da una guerra insensata che rischia di estendersi a tutto il Corno d’Africa.
Chiediamo a gran voce l’intervento delle Nazioni Unite, dei Governi, del Vaticano, della Comunità Europea per cercare di fermare questa ennesima tragedia che poteva essere evitata.
Ogni volta che sentiamo parlare di nuove tragedie dell’immigrazione pensiamo quanto sia più giusto aiutare le persone a vivere nei propri luoghi di origine ma la guerra induce le persone a fuggire per cercare di proteggersi e ora migliaia di persone etiopi stanno scappando verso il Sudan e scapperanno disperati forse anche verso l’Europa.
Augusta Castronovo
Appello per la pace in Etiopia
Siamo cittadine e cittadini nativi e originari dell’Eritrea e dell’Etiopia (…) Non vogliamo assistere al precipitare della situazione in silenzio e facciamo appello al Governo etiope e alla Comunità Internazionale perché facciano il possibile per preservare la pace in un’area così importante per la stabilità dell’intero continente africano.
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