Suppongo che le gentili lettrici reputeranno pleonastica questa dotta dissertazione sulla sessualità poiché la questione esaminata è loro ben chiara. Intendo: la superiorità del sesso femminile, in questo caso investigata in senso strettamente biologico, ma non per questo disgiunta dagli aspetti sociali che implica; anche se pare che la nostra società, tendenzialmente maschilista, non si renda conto della parziale rilevanza del sesso maschile nei processi evolutivi. Invito, quindi, i gentili lettori a riconsiderare la loro eventuale supponenza biologica. Innanzitutto: a cosa serve il sesso? A procreare, risponderete voi, oppure a divertirsi (e questo non è male). In realtà la sessualità ha un fine più propriamente adattativo: se i processi evolutivi l’hanno “inventata” un motivo ci sarà, ma non è il piacere o la dominanza del maschio sulla femmina; si tratta del sistema per ricombinare i geni e fornire un più vasto terreno di coltura per la selezione naturale. Pare che il sesso sia l’artefice principale del salto evolutivo da materia inorganica a organica. J. William Schopf, paleobiologo americano, ritiene, secondo le sue ricerche, che 1 miliardo e centomila anni fa una cellula di plancton abbia smesso di riprodursi per divisione asessuale sviluppando un meccanismo in grado di rilasciare cellule sessuali nell’ambiente. Quindi l’invenzione del sesso è alquanto antica e oggi è la forma di riproduzione quasi esclusiva nei vertebrati e prevalente negli invertebrati. Anche le piante hanno organi maschili e femminili e, come sanno bene gli agricoltori, è necessaria l’impollinazione per produrre frutti e semi. Anche i microscopici batteri adottano una forma di sessualità rudimentale: la coniugazione batterica che permette lo scambio di materiale genetico tramite un tubercolo citoplasmatico che può connettere due individui. Peraltro la loro forma di riproduzione è basata fondamentalmente sulla scissione cellulare. Ulteriore epitaffio alla supponenza maschile si riscontra nelle modalità riproduttive di alcune specie animali. Probabilmente a tutti è nota la prassi della mantide religiosa che si sgranocchia il piccolo maschio dopo l’accoppiamento utilizzandolo come fonte proteica per lo sviluppo delle uova o il pericolo che corrono molti minuscoli ragni maschi di essere scambiati per cibo dalle loro enormi femmine. E i poveri fuchi delle api, che servono solo per fecondare la regina e poi muoiono? Esseri evolutivamente inferiori direte voi. Ma molte specie di lofiformi, un ordine di pesci abissali, relegano il maschio a semplice contenitori di spermatozoi. In queste specie quando un maschio trova una femmina, che ha dimensioni molto maggiori, si attacca al suo corpo per non staccarsi più: nel corso del tempo perde i propri organi interni e le proprie pinne trasformandosi in un’appendice del corpo femminile, il cui unico scopo è produrre sperma; si sono rinvenute femmine con più maschi attaccati, il record è otto (praticamente un’orgia!). Esiste, inoltre, il fenomeno della partenogenesi che permette di riprodursi a partire da uova non fecondate, quindi senza fecondazione. La questione è complessa e presenta molte sfaccettature, che non posso certo qui disquisire, ma riporto due esempi. Tra gli imenotteri sociali (api e formiche) la regina produce per la maggior parte del tempo operaie femmine da uova fecondate, ma quando è necessario produrre nuovi maschi passa alla partenogenesi. In questo modo può controllare in maniera molto precisa il numero di maschi e femmine nella colonia. Un esempio curioso è quello della lucertola americana (Aspidoscelis uniparens) nella quale le femmine si alternano in una pseudocopula nella quale una delle due fa la parte del maschio e monta l’altra, stimolandola così a innescare la partenogenesi e deporre le uova. E i maschi? Scomparsi!
Vi sarà chiaro che, in fondo, il maschio è solo un accessorio utile alla ricombinazione genetica e niente più! Certo, noi ci riteniamo altezzosamente al di fuori della Natura e dai suoi processi evolutivi, ma è pura illusione tecnocratica. E proprio la tecnologia potrebbe infliggere il colpo di grazia al sesso “forte”. Con gli attuali mezzi sarebbe teoricamente possibile accoppiare artificialmente i patrimoni genetici di due cellule uovo umane senza utilizzare quello proveniente da un maschio. Non mi risulta che qualcuno ci abbia provato e neppure se sia realmente possibile, non conosco abbastanza l’argomento. Ma se in un futuro dominato dal vero sesso “forte” ciò accadesse, potremmo solo dire: ciao maschio!
Diego Marra