Un’intervista con Giulia Sopegno, militante del collettivo Provincialotta tra le organizzatrici del Pride di Ciriè. Storia, teoria e pratiche del tirare su un evento transfemminista nella provincia profonda.
Il Pride di Ciriè è arrivato alla sua seconda edizione, ci puoi raccontare il percorso che ha portato prima alla nascita del collettivo e poi all’organizzazione di questa esperienza?
Provincialotta nasce nel 2021 nell’orma di un comitato per la libertà di aborto costituitosi in reazione alla situazione dell’ospedale, che allora contava il 100% di medici obiettori di coscienza. Abbiamo iniziato con una raccolta firme andata molto bene che ha ottenuto molta attenzione mediatica. Dopo poche settimane, grazie al grande numero di soggettività con le quali siamo venutə a contatto, ci siamo resə conto che il comitato stava diventando qualcosa di più. Grazie alla possibilità di riunirci fisicamente nel circolo Arci cittadino, abbiamo potuto creare spazi di condivisione sicuri dove queste soggettività avessero la possibilità di esprimersi. Spazi di cui a quanto pare la provincia sentiva il bisogno, perché siamo velocemente cresciutə per numero di partecipanti e iniziative. Così l’anno scorso è nata l’idea di organizzare il Pride di Ciriè. La prima edizione è stata dirompente, abbiamo creato un precedente mai visto, riuscendo persino ad ottenere il non scontato patrocinio della città.
Molti gli interventi durante il corteo, anche relativi al tema del lavoro e delle diseguaglianze economiche. La vostra protesta pare non limitarsi alle tematiche relative a genere e sessualità.
Abbiamo volutamente portato interventi molto diversi tra loro, anche a prima vista distanti da quelli che potrebbero essere comunemente associati a un Pride istituzionale. In questo senso ci rispecchiamo di più nell’esperienza del Freek Pride torinese, perché muoviamo la nostra analisi da un punto di vista femminista intersezionale, puntiamo a una convergenza delle lotte che coinvolga anche il lavoro, l’ecologia, l’abilismo, i diritti animali. Quando si parla di corpi, di sessualità, di sfruttamento e di discriminazioni si parla in realtà sempre di rapporti di potere, vero tema centrale della nostra riflessione. Il problema è riuscire a comunicare questo messaggio anche all’esterno della nostra area di influenza, che si capisca che questo evento non è solamente per i diritti delle persone omosessuali, ma per i diritti di tuttə coloro che vivono qualsiasi forma di sfruttamento o discriminazione all’interno della nostra società.
Quali consigli daresti a un gruppo intenzionato a portare questi temi all’interno di un contesto di provincia, seguendo il vostro esempio?
Innanzitutto incontratevi. Recuperate la dimensione fisica del discorso, del parlare e del ritrovarsi appositamente per un motivo. I social sono utili per organizzarsi e rimanere in contatto, ma sono stati gli spazi di condivisione sicuri e continuativi a permetterci questo risultato. Oltre all’assemblea che si riunisce ogni martedì, dopo la prima edizione del Pride abbiamo iniziato con un percorso di autocoscienza maschile non misto, un cerchio di condivisione esperienziale con appuntamenti mensili ogni primo lunedì del mese. In parallelo è nato un altro cerchio non misto, ma dedicato alle persone socializzate come donne, nel quale si fa autocoscienza anche a partire da prodotti mediatici e culturali. Questo cerchio in particolare si è trasformato molto in fretta in un punto di primo contatto per persone che portavano esperienze di violenza e traumatiche. Ci siamo trovate a condividere storie anche pesanti, creando al contempo una forte rete di solidarietà attiva, vitale in un contesto di provincia, nel quale è molto facile che le vittime si sentano lasciate sole ad affrontare un soggetto abusante che magari sono costrette ad incontrare ogni giorno per strada.
Ovviamente portiamo avanti anche iniziative, petizioni e rassegne, ma la creazione di questi spazi di incontro sicuri, nei quali è possibile incontrarsi e conoscersi come esseri umani, il rafforzarsi del rapporto di intimità e fiducia che si forma nel condividere questo tipo di esperienze e il legame di solidarietà che si crea sono imprescindibili se si vuole dar vita a un movimento in grado di incidere.
Ritrovare l’incontro fisico non è scontato e trovarsi specificatamente per parlare di qualcosa è diventato raro, ma le persone ne hanno bisogno. La prima volta che abbiamo lanciato un’assemblea pubblica la partecipazione è stata più alta delle nostre aspettative, e da lì le persone hanno iniziato ad avvicinarsi sempre di più.
Creare spazi sicuri frequentati da persone sicure, è davvero tutto qui.
Lorenzo Zaccagnini