Dopo l’annuncio del settembre scorso della chiusura anticipata dei contratti di solidarietà, di Comdata non si parla più. Come se tutti i problemi fossero risolti. In realtà le criticità relative alle condizioni di lavoro e alla precarietà, sono ancora tutte aperte, con l’aggravante di una sorta di pace sociale che soffoca il disagio, come denunciano i lavoratori.
La crisi di Comdata Ivrea è esplosa a fine 2018 quando l’azienda in un incontro in Confindustria comunicò 200 esuberi. Gli esuberi vennero poi trasformati in contratti di solidarietà coinvolgendo circa 900 dipendenti (su 1000 totali) per la durata di sei mesi, fino al 27 luglio 2019. Con un successivo accordo la solidarietà venne prorogata di altri sei mesi (fino a gennaio 2020). Attorno a metà settembre però Comdata annuncia a sorpresa di chiudere con i contratti di solidarietà con quattro mesi di anticipo. Dal 16 settembre tutti i lavoratori sono così rientrati al lavoro con il loro orario completo grazie a nuove commesse che hanno richiesto anche l’impiego di lavoratori interinali (sono circa 200 attualmente).
Tutto bene quindi? Certo il rientro al lavoro e nuove commesse sono buone notizie, ma intervistando i lavoratori si scopre che non è tutto oro quel che luccica. Punto di massima criticità rimangono le condizioni di lavoro in termini di organizzazione dei turni, e quindi della vita delle persone, e pressione al limite del mobbing verso gli operatori in cuffia. Molti lavoratori vivono in uno stato di ansia costante con l’assillo di dover chiudere le chiamate e risolvere il problema entro i tempi previsti. Tempi strettissimi per molti casi, perché spesso il cliente vuole dilungarsi, capire, protestare, anche animatamente, per un disservizio. A causa di questa situazione sembra che stia crescendo fra gli operatori dei call center l’uso di ansiolitici per reggere lo stress di ritmi più vicini a quelli dell’odioso cottimo e delle catene di montaggio delle fabbriche dei secoli scorsi che a una realtà del terzo millennio ipertecnologico.
Neanche l’entrata di nuove commesse sembra essere una notizia universalmente positiva. Lo è per Ivrea, al momento, ma non in generale per Comdata, perché pare non si tratti di nuove attività, ma di lavoro spostato da altre sedi.
Il grido di dolore dei lavoratori
Abbiamo ricevuto e riportiamo integralmente un contributo dall’interno dell’azienda che aiuta a capire l’atmosfera che si respira nei reparti di call center di Comdata a Ivrea.
«Comdata, quell’azienda di cui si parlava fino a pochi mesi fa poiché ricorse a quasi due anni di ammortizzatori sociali. Cali di lavoro, tutto il personale somministrato lasciato a casa e dipendenti con orari drasticamente ridotti. La situazione ad oggi è nettamente cambiata: si ricorre a richieste di straordinario continue e nuove assunzioni di centinaia di lavoratori somministrati. Cos’è successo? Sono arrivate nuove commesse? Milioni di persone hanno deciso di attivare nuove linee TIM fisso o Wind Mobile? No! Semplicemente il lavoro viene dirottato da sede a sede, tra l’Italia e l’estero e l’azienda gioca con questi numeri a discapito dei dipendenti e delle casse dello Stato. Ad oggi la situazione in azienda è tornata invivibile. Non ci sono strutture turnistiche contrattate da azienda e RSU, né un’equa e paritaria distribuzione di turni, addirittura nella medesima commessa. Ci sono gruppi di decine di lavoratori che vedono un solo week end di riposo ogni 8 settimane, mentre per i restanti due mesi i due giorni di riposo non vengono mai concessi consecutivamente. Ne deriva un riposo psico-fisico pressoché assente. Ci sono poi altri lavoratori che in un mese svolgono 3 settimane di turni serali e 1 sola mattutina. Oppure che hanno lavorato tutte le festività, mentre altri nessuna oppure 1 sola. Queste disparità NON derivano da flussi di lavoro concentrati di più nel weekend o orari serali, ma semplicemente da una cattiva organizzazione e da una distribuzione dei turni più gradevoli a una parte “prescelta” di personale. Inoltre, la disponibilità di permessi, oltre la gestione concordata e pianificata con mesi di anticipo, è quasi azzerata. Non esistono imprevisti, i permessi, anche su base oraria, vengono quasi sempre negati. I neo assunti con contratto di agenzia interinale non se la cavano poi tanto meglio. Tanti hanno firmato un contratto di 4 ore lavorative. Invece poi vengono sostanzialmente obbligati a svolgere straordinario, tanto che, la pianificazione turni fa già uscire il planning turni della settimana pianificato a 8 ore giornaliere (che poi diventano 10 o più poiché non sono mai consecutive, l’orario viene spezzato con una pausa di 2 ore circa). Le RSU in tutto questo delirio sono praticamente assenti. Siamo stati abbandonati. Ormai qui vale tutto. Vogliamo lavorare e lo facciamo portando a casa risultati eccellenti, ma vogliamo essere rispettati, avere pari diritti e una distribuzione di orari e riposi più umana. Ad oggi Comdata continua ad avere molte posizioni aperte per il call center, ma non riesce a trovare personale. Forse leggendo queste righe, riuscirà a capire il perché.»
Una sola vertenza: migliorare le condizioni di lavoro
Questa testimonianza raccoglie il sentimento di tanti lavoratori provati da condizioni di lavoro oppressive e frustrati perché sentono di non avere una voce forte e determinata che difenda le loro ragioni nel confronto con l’azienda. Quell’abbandono che avvertono da parte dei loro rappresentanti è un campanello di allarme che le Rsu dovrebbero cogliere, affrontando con determinazione con l’azienda il punto più critico di questa organizzazione: le condizioni di lavoro. La prima vertenza che andrebbe aperta in Comdata è infatti quella sulle condizioni di lavoro, veramente al limite e lontanissime da quella responsabilità sociale alla quale è chiamata l’impresa anche dalla nostra Costituzione.
Qualcuno dirà che il tema è invece stato ampiamente trattato anche negli ultimi due accordi firmati a fine 2019. In realtà si tratta di accordi per permettere all’azienda di andare in deroga al “decreto dignità” e al “Jobs Act” per poter utilizzare più ampiamente i contratti a tempo determinato e quelli in somministrazione. Fra le motivazioni della firma da parte delle Rsu vi è anche la volontà di alleggerire la pressione dei dipendenti, si legge infatti nel comunicato “poter dare una risposta a tutti quei lavoratori da troppo tempo pressati da ritmi lavorativi non più sostenibili. I lavoratori dipendenti, in un giusto equilibrio con i precari, avranno attraverso una trattativa appena avviata con la Rsu, un disagio sulle turnistiche più equamente distribuito. (…) In ultimo è chiaro che il tentativo è stato quello di provare a mantenere sul sito eporediese livelli occupazionali importanti già compromessi dall’utilizzo in questi anni degli ammortizzatori sociali.” Ad una prima lettura le intenzioni sembrano quindi buone, ma immediatamente dopo viene da chiedersi cosa voglia dire “disagio equamente distribuito”. Il disagio va eliminato non distribuito. Invece con questi accordi più che altro si allarga la platea dei disagiati e il numero dei precari. L’ultima parte poi ribalta la realtà. I livelli occupazionali non sono crollati perché “compromessi dall’utilizzo degli ammortizzatori sociali“, ma piuttosto il ricorso a questi ultimi è la conseguenza del crollo delle commesse e quindi dei livelli occupazionali.
Call center: è il modello da cambiare
Il tema è sempre lo stesso, e non riguarda solo Comdata. “E’ il modello da cambiare” titolavamo un nostro articolo di due anni fa, purtroppo ancora attuale. Il settore dei call center va regolarizzato a livello nazionale (che fine hanno fatto i protocolli di intesa ministeriali?) I committenti, i principali sono le aziende telefoniche/internet e quelle dell’energia, non possono fare il bello e cattivo tempo, devono garantire i volumi di lavoro per il periodo del contratto. Diversamente la precarietà del lavoro rimarrà una piaga per questo settore. Non possono spostare le commesse da un fornitore all’altro con la facilità di un batter di ciglia alla spasmodica ricerca del minor costo ad ogni costo con gare al minimo ribasso. Le aziende di servizi di call center, come Comdata, da parte loro non possono però non avere fra i propri obiettivi un’organizzazione del lavoro finalizzata anche al miglioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti, per permettere loro la legittima conciliazione dei tempi di lavoro e i tempi di vita e soprattutto garantire loro un ambiente di lavoro dignitoso e rispettoso.
Cadigia Perini