E’ ripartito dal 1 febbraio un nuovo periodo di “cassa” (FIS) per la sede di Comdata Ivrea. L’azienda comunica ai sindacati di “trovarsi costretta” a chiedere un nuovo periodo di ammortizzatori sociali. Cerchiamo di capire qual è la situazione e se era proprio necessario far pagare di nuovo ai lavoratori riorganizzazione e mobilità delle commesse.
Di nuovo Fis (fondo integrazione salariale) nella sede Comdata di Ivrea. Il nuovo giro di “cassa” iniziato lunedì 1 febbraio 2021 durerà quattro settimane e potrà coinvolgere fino a 996 dipendenti (praticamente tutti) collocati anche a zero ore settimanali.
Nel 2020 Comdata aveva già fatto ricorso a due periodi di Fis di nove settimane ciascuno. Il primo a marzo quando per l’esplosione della pandemia l’azienda aveva dovuto organizzare il lavoro da casa e il secondo a ottobre, con motivazioni meno plausibili, per 220 lavoratori. In quest’ultima occasione le Rsu uscirono con un comunicato dove esprimevano la propria contrarietà “per l’utilizzo dell’ammortizzatore sociale in un anno che ha già visto gli stipendi decurtati per lunghi periodi; pur comprendendo la necessità di riqualificare e ampliare le competenze del personale diventa difficile comprendere come una insaturazione di alcuni reparti non possa essere compensata con la crescita di un’ altra commessa.”. L’azienda naturalmente non si è impressionata e prontamente, avendone ancora diritto, ricorre oggi nuovamente agli ammortizzatori sociali. Circa la nuova richiesta, la terza quindi in meno di un anno, Comdata si dice “costretta” a presentarla per poter “completare il progetto di ampliamento degli skill e delle conoscenze tecniche del personale” e per “proseguire il contemporaneo piano di riorganizzazione del lavoro e di riallocazione del personale tra le diverse attività esistenti sul sito“.
La formazione pagata dai lavoratori
Le motivazioni aziendali, presentate in un incontro con i sindacati venerdì 22 gennaio e formalmente annunciate nella lettera del 27 alle organizzazioni sindacali e alle Rsu, vengono presentate come naturali e normali, ma non c’è niente di normale nel mettere in “cassa” i lavoratori perché cambiando le commesse, i sistemi e le modalità di lavoro, i dipendenti avranno bisogno di formazione. Diventa normale solo in quei settori dove sciaguratamente la formazione non viene considerata parte del lavoro, ma come un extra, come se imparare ad usare un nuovo strumento o studiare le caratteristiche di un certo prodotto fosse cultura generale personale e non attività esclusivamente funzionale al lavoro. Mettere in Fis i dipendenti per fare i corsi di formazione su nuovi sistemi o prodotti, vuol dire sottrarre ai lavoratori una parte di salario. Vero è che con un accordo interno Comdata riconosce ai lavoratori in Fis per formazione, oltre alla maturazione delle ferie (altrimenti esclusa), anche un gettone, ma ugualmente i lavoratori possono perdere 50-70 euro al mese. Perché mai devono essere i lavoratori a pagare la formazione con i loro già bassi stipendi? Questa è un’aberrazione che andrebbe eliminata ovunque prevista.
L’azienda comunque non imputa solo a necessità di formazione la richiesta di Fis, ma anche per “fronteggiare i cali dei volumi di lavoro in alcuni settori e le conseguenti difficoltà di saturazione del personale” a causa dell’emergenza sanitaria. Non vengono forniti dati però, o almeno non sono noti, su quali commesse si sono perse, su dove vi sia stato un calo di volumi. Di certo si sa che dal 1 febbraio altri 48 lavoratori ex Comdata Care sono rientrati in Vodafone. E’ ancora uno strascico dei ricorsi per la cessione del 2007 da Vodafone verso Comdata (che creò ad hoc la società Comdata Care) di 914 dipendenti in tutta Italia. Numerosi lavoratori esternalizzati impugnarono subito la cessione di ramo contestandone la legittimità. Nel 2012 il Tribunale del Lavoro di Roma giudicò “illegittima” e “inefficace” tale cessione e dispose il reintegro dei lavoratori che si erano opposti. Nel 2016 la sentenza venne confermata in Cassazione. Il reintegro di lavoratori continua ancora oggi perché la prima impugnazione venne portata avanti praticamente solo dal sindacato Cobas Lavoro Privato in quanto le organizzazioni sindacali confederali erano firmatarie dell’accordo di cessione. Successivamente però, viste anche le sentenze positive, altri lavoratori hanno deciso di fare causa e l’hanno vinta. Dell’ultimo gruppo, alcuni sono rimasti in Comdata accettando un “risarcimento” economico altri, come i 48 di cui sopra, hanno scelto il reintegro che naturalmente comportato il rientro in Vodafone anche di parte dell’attività svolta in Comdata.
Come pure è noto che da lunedì scorso circa 300 lavoratori sono stati spostati dalla commessa sulla quale stavano lavorando (per lo più quella Inps, che ha richiesto un lungo periodo di formazione) per rispondere al numero verde della Regione Lombardia per informazioni e prenotazioni del vaccino per gli ultra-ottantenni. I lavoratori hanno ricevuto giovedì scorso un messaggio dell’azienda che gli chiedeva di partecipare lo stesso giorno (alcuni lavoratori non erano neppure in servizio) ad una video-riunione dove veniva comunicato che l’indomani avrebbero fatto formazione sulla nuova commessa e dal lunedì successivo avrebbero iniziato a rispondere alle chiamate sui vaccini. Con il cambio di commessa sono stati cambiati anche gli orari e turni di lavoro, il tutto “naturalmente” senza alcun preavviso e quindi senza rispettare l’accordo che chiede la visibilità sui turni per tre settimane.
Call center favoriti o penalizzati dalla pandemia? Facciamo delle domande a Comdata
Per tentare di inquadrare la situazione di Comdata nello scenario nazionale e capire quanto la pandemia abbia segnato anche questo settore, proviamo a leggere e interpretare qualche dato e a porci delle domande.
Da diversi articoli sulla stampa specializzata che analizzano la situazione economica dei singoli settori economici durante l’emergenza sanitaria, risulta che quelli meno colpiti e che anzi hanno fatto registrare crescite sono in particolare il farmaceutico, le telecomunicazioni, l’Ict e Software, i media, i servizi online. Si può immaginare quindi che le aziende di call center potrebbero aver aumentato i propri volumi, essendoci fra i loro clienti le grandi aziende di telecomunicazioni e alcuni istituti pubblici, come l’Inps ad esempio (Comdata ha Inps fra le sue commesse). Entrambe le aree hanno aumentato la richiesta di assistenza e informazioni da parte di clienti/utenti. Da un lato per il maggiore utilizzo delle reti telematiche per via del confinamento a casa e dall’altro per l’aumento delle richieste on line di servizi pubblici e per i nuovi sostegni al reddito governativi (bonus vari) che hanno coinvolto l’Inps.
Vengono anche registrati aumenti nel volume delle chiamate per tutte quelle “correzioni” che la pandemia ci ha costretto a fare nella nostra vita (annullamenti di viaggi, richieste di rimborso, …) e per i servizi sanitari, come l’ultima commessa per i vaccini (entrerà anche il numero verde della Regione Piemonte?).
Inoltre, nonostante i servizi di assistenza siano sempre più erogati attraverso percorsi automatici (“se vuoi x premi il tasto y”) e sia in forte crescita l’adozione di “risponditori virtuali” (con Bot, abbreviazione di robot, e Live chat), si osserva che nei periodi di crisi come l’attuale, dove si affrontano con maggiore difficoltà i problemi, le persone preferiscono parlare con un operatore anziché interagire, spesso senza risolvere alcunché, con un software. Da qui la maggiore richiesta di call center con numero di operatori sufficienti per poter garantire il contatto con il chiamante in tempi accettabili. Considerando inoltre che le attività di call center possono essere tranquillamente svolte da casa (Comdata ha organizzato il telelavoro per il 90% dei suoi dipendenti di Ivrea) quindi senza interruzioni a causa della pandemia, come altre aziende di altre categorie hanno invece subito, sarebbe lecito porre alcune domande a Comdata. Si dovrebbe chiedere ad esempio quale sia il problema della sede di Ivrea che la porta a continui accessi agli ammortizzatori sociali. Si dovrebbe chiedere qualche dato sui volumi nazionali e della sede eporediese, e quali le prospettive. Sarebbe giusto capire come si colloca Comdata nel quadro generale che vedrebbe i servizi da remoto in outsourcing meno colpiti dall’emergenza sanitaria, e anche quali siano le strategie aziendali per rispondere ad un mercato che sembra non registrare crisi e che anzi sembra richiedere maggiori risorse. Come confermato anche dall’attivazione da parte di Comdata di tanti contratti interinali anche nella sede di Ivrea, anche in concomitanza di Fis. In assenza di risposte, potrebbe nascere il dubbio che l’azienda voglia scaricare costi del lavoro sulla collettività, lasciando a casa a zero ore dei lavoratori, magari i più “anziani”, i più rompiscatole, i meno brillanti, per sostituirli con giovani con maggiore energia e flessibilità (e soprattutto disoccupati). Forse questo è un “pensar male”, ma chi scrive sarebbe ben felice di ricredersi e in questo senso aiuterebbe un atteggiamento aziendale di trasparenza anche verso il territorio che ospita la sua più grande sede italiana e dove vivono i suoi dipendenti.
Fondo nuove competenze
Un’altra domanda che sarebbe interessante fare a Comdata punterebbe a indagare se l’azienda abbia richiesto di accedere al “Fondo nuove competenze”, la misura del Ministero del Lavoro rivolta ai datori di lavoro privati per la “rimodulazione dell’orario di lavoro dei propri lavoratori, per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa o per favorire percorsi di ricollocazione.” Il requisito per poter accedere era la stipula, entro il 31 dicembre 2020, di un accordo collettivo con tutti i dettagli sulla rimodulazione dell’orario di lavoro e sui percorsi formativi. Il Fondo, finanziato con 730 milioni per tutto il 2021, è stato definito dalla ministra del Lavoro Catalfo «uno strumento alternativo alla cassa integrazione» con l’evidente vantaggio per i lavoratori di non subire alcuna diminuzione della retribuzione per la formazione (e senza costi per l’azienda in quanto le ore di formazione sono totalmente a carico dallo Stato).
Comdata si è mossa per accedere a questo fondo? E se no, come sembra vista la nuova richiesta di Fis, perché non l’ha fatto? Sicuramente vi saranno degli ottimi motivi, ma sarebbe bene conoscerli. E sarebbe cosa giusta porsi delle domande. E in caso di mutismo aziendale, denunciare la situazione.
Cadigia Perini