Del rientro in Inps del servizio di call center senza l’applicazione della clausola sociale, abbiamo scritto più volte. Ora è andato in onda l’ultimo atto: chi non è entrato in Inps è diventato automaticamente un esubero per Comdata: cassa integrazione per sei mesi. Ugl non firma e dichiara illegittima la richiesta di cassa.
Da queste pagine abbiamo fin da subito stigmatizzato il comportamento dell’Inps che non ha applicato la clausola sociale nell’operazione di rientro del servizio di call center nel suo ambito, un comportamento contrario all’etica sociale prima ancora che alle regole. Allo stesso tempo abbiamo lamentato la mancanza di una mobilitazione sindacale di contrasto seria e l’assenza delle istituzioni al tempo del passaggio.
Purtroppo, come facili cassandre, abbiamo previsto come sarebbe andata a finire, a partire da chi sta “meglio”, cioè le lavoratrici e i lavoratori passati in Inps perdendo però salario e diritti, fino a chi in Inps non è entrato (anche per non potersi permettere di accettare condizioni di lavoro peggiorative) e che automaticamente per Comdata è diventato un esubero e l’accordo firmato il 5 luglio l’ha sancito formalmente.
Un accordo imperfetto
Quello del 5 luglio era il terzo incontro fra Sindacati, Rsu, Comdata e Ministero del lavoro relativo alla richiesta di Comdata di cassa integrazione. Negli incontri del 13 e 22 giugno le parti non erano giunte ad un accordo a causa della rigida posizione di Comdata sulla percentuale di cassa. Ma nell’incontro di mercoledì 5 luglio Comdata ha tirato fuori la carta vincente (per lei): la minaccia di trasferimenti coatti in altre sedi dove ci sono commesse. Ha funzionato, Slc-Cgil, Fistel-Cisl, UilCom firmano l’accordo con questo commento nel loro comunicato: “Alternativa ricattatoria e inaccettabile [quella del trasferimento, ndr] di fronte alla quale abbiamo preteso che Comdata riducesse la percentuale di ammortizzatore sociale, inizialmente pari al 80%, ma soprattutto che dichiarasse, e di conseguenza mettesse nero su bianco, che finalità dell’ammortizzatore è la riconversione di tutto il personale coinvolto e che i lavoratori precedentemente impegnati su commessa Inps non sono un esubero strutturale! Tutto questo è poco? Non è considerato sufficiente? Di certo è l’ultimo “credito” che diamo a questa azienda e monitoreremo affinché venga rispettato in ogni suo singolo punto. Perché la forza di un accordo sta proprio in questo, nel poter esigere che venga rispettato a differenza delle sole parole che volano via al vento.”
No, non si può considerare sufficiente. In cambio di una riduzione della percentuale di cassa, che probabilmente Comdata aveva già messo in conto, si sono accettati esuberi con nome e cognome. E le promesse di Comdata, come di tutte le aziende che vogliono ottenere una firma, arrivati ormai all’ennesimo accordo, si dovrebbe sapere quanto durano.
Ugl denuncia l’illegittimità dell’accordo
Unica forza sindacale a non firmare l’accordo è stata l’Ugl Telecomunicazioni che ha definitivo l’accordo “immorale e illegittimo” ed ha già presentato ricorso alla direzione Ammortizzatori sociali del Ministero del Lavoro. “La procedura messa in atto da Comdata Ivrea per i 61 unici “relegati” in Cassa integrazione – dichiara Venanzio Cretarola della segreteria nazionale Ugl Telecomunicazioni – è sconcertante e rappresenta un pericoloso precedente per l’intero Settore dei Call Center. L’accordo sottoscritto viola la Legge 148/2015 e delle connesse Circolari Ministeriali n. 31/2015 e n. 8/2019 che stabiliscono chiaramente che questa tipologia di Cassa Integrazione, specifica per il Settore dei Call Center, deve essere applicata a tutti i dipendenti dell’azienda a livello nazionale e non solo ad alcuni.” e ancora “E’ sconcertante inoltre che i Dirigenti competenti del Ministero del Lavoro non ne tengano conto e non hanno voluto chiedere conto a Comdata di ciò che per legge deve essere chiarito: non si può approvare una Cassa con la contestuale persistente presenza di immissione di lavoratori in somministrazione rifiutando di utilizzare i 61. Sottoscrivere questo accordo senza esigere quanto sopra – termina Cretaola – favorisce oggettivamente il tentativo illegittimo del’azienda di ‘punire’ i 61 lavoratori che non hanno ceduto ad un esplicito ricatto antisindacale, illegittimo ed immorale.”
La preoccupazione che “ciò che sta accadendo per i 61 è destinato ad accadere di nuovo per altri 61, e per altri 61…”, è totalmente condivisibile perché è già accaduto e continuerà ad accadere se non si riuscirà ad uscire dalla logica delle piccole, effimere e strumentali vittorie.
Cadigia Perini