Scuola – Dopo l’aggressione all’insegnante di Abbiategrasso
Premessa: Non siamo a Barriera di Milano, né alle Vallette o a Falchera: siamo a Ivrea, oppure in uno dei millanta Comuni italiani mediamente quieti.
EQUIVOCI DA SPAZZAR VIA
Primo equivoco Colpiti dalla prima affermazione del Ministro Valditara – che esprime “la nostra vicinanza a tutti gli insegnanti italiani” come se quelli stessero in trincea in attesa della prossima offensiva, chiariamo subito: non è vero che entrare in classe sia pericoloso.
Talvolta uno studente, sì, sogna di accoppare qualche insegnante, ma così è: intanto fa un po’ parte del gioco, poi la vita è questa e la scuola sta proprio dentro la vita (anche troppo?).
I ragazzi sono anzi piuttosto tranquilli, tutto accettando, anche ciò che noi molto adulti mai avremmo ammesso e severamente avremmo contestato/rifiutato.
E quindi quanto lo vorremmo un ministro un briciolo atarassico che, pure di fronte a episodi penosi e stigmatizzabili, contasse fino a trenta e poi pacatamente dicesse: è successo un grosso guaio, studieremo la faccenda, cercheremo di capire e laddove necessario dare una mano!
Invece alé: senza por tempo in mezzo partono affermazioni imprecise e promesse di repertorio: la poveretta (che tra gli altri guai deve pure ricevere dal suo letto di dolore il ministro in pompa magna e proclama incipiente), dopo aver incassato “piena solidarietà e vicinanza da parte mia e dell’intero Governo”, viene elogiata per aver “fatto in modo esemplare il suo lavoro nei confronti di un ragazzo che aveva dimostrato già alcune problematicità”. … Che teoricamente sarebbe il suo lavoro (a meno che in genere gli italici docenti si curino solo i ragazzini privi di “problematicità”, sempre che esista il prodotto).
Secondo equivoco Non è finita qui (magari!).
“C’è nelle scuole un duplice problema – prosegue il Nostro intervistato dai cronisti –: quello di un aumento del disagio psicologico degli adolescenti e quello dell’aumento degli episodi di bullismo, anche contro i professori”. Tutto ciò “dopo l’esperienza del Covid”, quando “gli episodi di bullismo si stanno moltiplicando proprio perché si è interrotta quella relazione interpersonale che è fondamentale per lo sviluppo educativo”.
“Si registrano – spiega – dati allarmanti di minacce e persino percosse ai docenti. Gli uffici scolastici regionali ci hanno comunicato che dall’inizio dell’anno scolastico ci sono stati circa cinque casi al mese”.
Diceva Alessandro Barbero durante il pregevole intervento alla libreria eporediese Azami che il compito del vero storico è rispondere sempre a chi butta lì un dato, un numero, un’affermazione: chi te l’ha detto? Come fai a saperlo? Qual è la tua fonte? Banale, ma chi lo fa?
Per esempio: sono davvero aumentati gli episodi di bullismo? Cinque casi al mese dove? Come? In che senso? E poi: la professoressa di Abbiategrasso è stata davvero vittima di un episodio di bullismo, o non è il bullismo tutt’altra storia?
Non è che usiamo una parola per averla sentita e sentita e sentita, gettandola così sciattamente in pasto a una cronaca assuefatta al blablabla? Forse invece quell’emergenza non è reale, diciamo che non è questa la sensazione. Però magari sì: allora sarebbe opportuno studiare molto bene e poi analizzare e solo infine dichiarare e deliberare.
Altrimenti il sospetto è che le parole abbiano perso sostanza.
Terzo equivoco Il nostro timore è confermato dalla successiva dichiarazione del Ministro, il quale getta in pasto alla platea l’idea del giorno: “l’introduzione dello psicologo a scuola, soprattutto in un momento difficile come quello attuale”.
Possibile mai che il Ministro dell’Istruzione e pure del Merito ignori che nelle scuole – di ogni ordine e grado, in misura maggiore o minore secondo esigenze e contratti – già operino ottimi e sacrosanti psicologi?
Questa lacuna sì è un segnale preoccupante, anche perché il supporto psicologico è da alcuni anni strumento non alienabile di lavoro nelle scuole.
Per essere chiari: uno studente si iscrive anche perché c’è un supporto psicologico.
Dunque Valditara ha sbagliato perché non sa? O per fare buon peso? E nessun giornalista ha un figlio in età scolare? O le domande non si usano più?
CONCLUSIONE
Sarebbe utile per tutti, piuttosto, guardare dentro le scuole per capire che cosa è successo. La pandemia, sì, ma quella ha forse accelerato un cedimento inconfutabile.
Di interesse, attitudini critiche, curiosità, volontà, dell’attitudine a scavo e profondità. Quell’introvabile “spirto guerrier ch’entro mi rugge” che sarebbe l’adolescenza.
Questo c’è da fare: cominciare a indagare.
is