Intervista con i ragazzi di Neutravel, progetto di riduzione del danno e limitazione dei rischi da anni attivo nei contesti del divertimento dove si usano sostanze a scopo ricreativo
Quando sui media parlano di free party spesso se ne ha un’immagine distorta. Voi che ci avete lavorato dentro, potete darci un’impressione oggettiva? Come era gestito il rave?
Spesso dei free party, e quello di Modena non ha rappresentato un’eccezione, si dà un’immagine sensazionalistica. Crea interesse e soddisfa la volontà di trovare un capro espiatorio per i problemi sociali: non a caso si punta velocemente il dito contro movimenti e dinamiche tipicamente giovanili. Oggettivamente stiamo parlando di raduni spontanei, organizzati al loro interno in maniera orizzontale: nessuno “gestisce” la festa, ma quel che tutti possono fare è dare una mano perché essa continui. Dobbiamo dire che anche questa volta i ragazzi se la son cavata egregiamente sia con la gestione del party, che sostanzialmente non ha visto particolari problematiche al suo interno, che delle forze dell’ordine.
Cusago ha fatto storia, questa volta lo sgombero è avvenuto in maniera dialogica e relativamente pacifica. Sembra che la Prefettura di Modena abbia spinto per una soluzione diplomatica, mentre da Roma premevano per un intervento muscolare da mostrare in prima pagina. Quali le conseguenze di uno sgombero violento per un rave di quelle proporzioni?
Chiunque fosse presente a Cusago sa di cosa si sta parlando quando si pensa di sgomberare un free party con le squadre antisommossa: il livello di pericolosità degli eventi è alto.
Cusago ha avuto la sfortuna di vedere iniziar lo sgombero in piena notte: molti ragazzi e ragazze – magari anche non completamente lucidi- si sono ritrovati al buio in una fabbrica con di colpo niente più musica, ma con lacrimogeni e squadre antisommossa che procedevano salde e sicure: una ragazza era finita in coma, molte persone erano rimaste ferite. Non è certo l’unico caso, ricordiamo che l’anno scorso in Francia un ragazzo ha perso la mano per un fumogeno lanciato ad altezza uomo durante un party.
Per noi che eravamo dentro il free di Modena a prestare servizio di riduzione del danno la spada di Damocle di uno sgombero violento è stata ovviamente fonte di stress: qualsiasi persona di buon senso dovrebbe sapere che quando il livello di pericolosità è così alto e le persone in gioco son così tante la violenza sarebbe da escludere a priori, salvo che non si voglia la mattanza. Nel dialogo tra lo Stato e suoi cittadini davvero nel 2022 mandiamo interi reparti delle squadre mobili a “picchiarsi” con ragazzi che ballano? Questa volta lo sgombero è stato più diplomatico per fortuna. Impossibile prevedere cosa sarebbe successo in caso di un’azione violenta, ma sicuramente scontri con feriti per ambo le parti e molti più problemi da gestire.
Più che il rave in sé, quello che sta facendo notizia è il nuovo “decreto anti-rave”. Anche con le modifiche chieste da Forza Italia, che ridurrebbero da 6 a 4 anni le pene massime e negherebbero l’uso delle intercettazioni, in molti osservatori rimane il dubbio sul possibile abuso di questa nuova norma.
il Decreto Legge n° 162 è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ed è entrato in vigore il 31 Ottobre 2022. Ovviamente il parere dovrebbe essere chiesto a un tecnico, ma a una prima lettura il testo risulta ambiguo: la norma fa riferimento a un generico raduno di più di 50 persone, e prevede un’ampia discrezionalità di intervento da parte delle forze dell’ordine in merito al vago concetto di “salute pubblica”. Sembra una norma repressiva, che concede ampi spazi di manovra alle forze armate o poco gioco a chiunque verrà additato come minaccia per aver organizzato anche solo una grigliata con la musica. Verrà certamente modificato, ma si può decisamente parlare di esagerazione politica perché la norma si opporrebbe al diritto di raduno dei cittadini.
Il decreto si inserisce perfettamente nello schema della guerra alla droga, da sempre bandiera del conservatorismo reazionario di ogni paese. Cosa dobbiamo aspettarci in questo senso?
Le politiche promosse nel 1900 e perpetuate negli anni 2000 per quanto concerne l’opposizione al traffico e all’uso di sostanze psicoattive sono ormai anacronistiche. Le nuove generazioni chiedono a gran voce una modifica della legislazione in ambito di droghe, non perché venga fuori un “diritto all’alterazione”, ma per un principio di buonsenso.
I rischi che si corrono nell’aver un esecutivo così reazionario sono duplici: da un lato l’Italia è destinata a “restar indietro”per quanto concerne il tema delle sostanze, pensiamo al Portogallo dove il possesso di qualsiasi sostanza per uso personale è depenalizzato o alla costituzione di stanze del consumo in tutta Europa, profilassi igienica minima per quanto concerne l’uso endovenoso. Dall’altra non si farà alcun passo avanti in ambito educativo per quanto concerne l’uso di sostanze psicoattive: non insegnare alla propria popolazione il consumo controllato delle sostanze non può che ricadere sulle future generazioni, che ancora una volta non avranno un background adulto e responsabile, ma troveranno i frutti di un substrato repressivo. Imparare a lavarsi le mani così come l’imparare a dosare o rapportarsi con certe sostanze sono azioni che dovrebbero essere viste di buon occhio e non demonizzate come purtroppo succede da molto tempo.
Il nuovo decreto si configura come una delle norme più dure di tutta Europa contro questo genere di fenomeni. Se normalmente gli organizzatori possono essere già denunciati per una serie di reati (occupazione, disturbo della quiete ecc ecc), qui si introduce un reato specifico per l’organizzazione di questi eventi. Come viene gestito normalmente il fenomeno negli altri paesi? Dovendo prendere esempio quali soluzioni sembrano funzionare meglio?
Non è possibile copiare gli altri su questi temi perché ogni legislazione risponde a equilibri e politiche diversi. Alcuni Stati usano il pugno di ferro per quanto concerne questo tipo di manifestazioni, altri permettono il loro svolgersi e chiudono un occhio, spesso dietro compenso, altri ancora li accolgono a braccia più o meno aperte, o quantomeno ricordano di cosa si stia parlando: giovani, musica, un movimento pacifico che spesso e volentieri porta anche ricchezza nei posti individuati. Dovendo proprio prendere esempio non si può che guardar di buon occhio a quei Paesi in cui la libertà di espressione e di organizzazione è tutelata e monitorata per la salvaguardia della salute pubblica.
Gira molto un vecchio video del ministro Salvini dove critica pesantemente i rave illegali perché nuociono al business delle discoteche, il divertimento cosiddetto “sano”.
L’essere all’interno delle maglie della legalità rende le discoteche un luogo più “sano” dei rave? È vero che i rave tolgono clienti alle discoteche? Eventi come i grandi teknival che attirano giovani da tutta Europa, oltre al fastidio e alla musica alta non portano anche un introito economico al paese che lo “subisce”?
Ciò che rende un posto un luogo sano di divertimento non sono le tasse o le autorizzazioni ma è la presenza o meno di persone con un cervello e che possano usarlo. Che si stia parlando di un free party o di una serata in discoteca è la conoscenza in sé a fare il discrimine. Sono stati organizzati Teknival da più di diecimila partecipanti in cui tutto è filato liscio grazie alla sola cooperazione tra le singole persone coinvolte, come sono state organizzate serate in discoteca con meno di trecento invitati finite in tragedia. Per contro, sono state organizzate festicciole dove qualcuno si è fatto male e sono stati montati concerti con un mastodontico numero di partecipanti in cui nulla è andato storto. È scontato che qualsiasi evento di questo tipo non può che portare ricchezza, sia economica che sociale. La narrazione del ministro da te citato è semplicistica, come se i ragazzi tra i 20 ed i 30 anni per divertirsi si limitassero ad un morigerato bicchiere di gin tonic in sei ore di musica. La realtà è ben più complessa: la clientela delle discoteche è, per l’appunto, una clientela. Pagante, esige un servizio da terzi che lavorano. Inoltre si parla di strutture, permessi, controlli, porte antincendio ed estintori. Siano benedette le discoteche che ci permettono di dimenticarci di noi stessi, ma rimangono semplicemente un modello, non il modello. Diverso è il contesto dei free party, dove i principi sono quelli dell’autogestione e del mutuo appoggio, non del profitto. In una discoteca si ordina, ad un free si chiede, possibilmente con calma e rispetto per chi è dall’altra parte.
I rave nascono negli anni novanta come fenomeno chiuso, alimentato dal passaparola e coperto da un segreto semi-mistico, ma con l’avvento di internet sono diventati sempre più facili da raggiungere. Insieme all’arrivo di sostanze psicotrope non psichedeliche, questo mutamento è da molti considerato alla base di una perdita di valori all’interno dei free party, una volta maggiormente basati su convivenza e condivisione.
Il discorso sull’evoluzione dei free party è complesso e ha meritato la stesura di più libri; anche l’interazione fra il tam tam delle feste e internet è centrale, serve a chiarire lo stacco che c’è fra una festa degli anni ’90 e una come quella tenutasi a Modena in questi scorsi giorni. Convivenza e condivisione tuttavia provano a restare i principi fondanti. I media, anziché attaccare e riproporre l’ennesima caccia alle streghe su fenomeni che non conoscono, dovrebbero diffondere diversità e conoscenza, evitando le consuete rappresentazioni allarmiste a cui siamo abituati, che non hanno altro effetto che alimentare paure e conflitti.
Quanto la narrazione dei media ha influito su questo mutamento? La continua rappresentazione del fenomeno in termini sensazionalistici e ansiogeni può trasformare in peggio il fenomeno stesso?
Assolutamente sì. I fenomeni possono svilupparsi in maniera più o meno positiva anche in relazione alla narrazione che ne fanno i media. Al di là di internet, i giovani sfogano e si divertono in ogni epoca, ma il loro farlo in maniera costruttiva o distruttiva, il loro farlo con toni ossequiosi e rispettosi o viceversa con veemenza e cattiveria è necessariamente in relazione all’atmosfera generale che si respira in un Paese. Se vengo additato come tossico solo perché sono andato in un bosco con i miei amici a provare dei biscotti alla marijuana che impatto avrà questo su di me e sul mio sviluppo? Come rappresenterò me stesso in rapporto con gli altri? Che livello di rabbia e disagio avrò al mio interno, e cosa andrò a manifestare all’esterno?
Lorenzo Zaccagnini