Che roba, contessa, le classi italiane

Ernesto Galli della Loggia e il mito dell’inclusione

Qualche settimana fa il Corriere della Sera ha pubblicato un breve editoriale del professore Ernesto Galli della Loggia che continua a far discutere insegnanti, genitori, operatori e quanti si occupano dei problemi della disabilità.
Della Loggia, noto per aver a suo tempo invocato il ripristino della “predella” con la cattedra utile a evidenziare l’ “autorità” dell’insegnante, se la prende questa volta con il “mito dell’inclusione”.
Le sue parole sono particolarmente dure: in ossequio a tale mito, dice il professore, “nelle aule italiane – caso unico al mondo – convivono regolarmente, accanto ai cosiddetti allievi normali, anche ragazzi disabili gravi con il loro insegnante personale di sostegno (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con i BES (bisogni Educativi Speciali: dislessici, disgrafici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie) e dunque probabili titolari di un PDP, Piano Didattico Personalizzato e, infine, – sempre più numerosi – ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola di italiano. Il risultato lo conosciamo”.

L’elzeviro ha provocato molte proteste di docenti, associazioni e sindacati della scuola (e per la verità anche di esponenti politici sia della maggioranza che dell’opposizione).
E così, dopo qualche giorno, il professore Galli della Loggia ha cercato di correre ai ripari, ma senza ottenere molti risultati pur toccando una questione interessante, come avremo modo di dire in chiusura. Soffermiamoci intanto sulla “tirata” iniziale che, purtroppo, contiene non poche “imprecisioni” oltre che qualche caduta di stile linguistico.
Intanto diciamo che ormai da tempo si evita di parlare di “alunni disabili” o di “alunni autistici” e si preferisce dire “alunni con disabilità” per sottolineare la centralità della persona che non va identificata con l’autismo o con altra forma di “handicap” (come una volta si diceva). Ma questa, tutto sommato è solo una questione di forma.

Veniamo alla sostanza.

Chi opera nella scuola sa bene che non esiste l’ “insegnante personale di sostegno”, semmai alla classe con alunni con disabilità sono assegnati docenti specializzati che, in genere, ne sanno anche parecchio di disabilità avendo appunto conseguito una apposita specializzazione.
E, anche se non sono specializzati, molto spesso si formano in itinere, partecipando a percorsi organizzati dalle scuole o dalle associazioni.
Sul fatto che il docente specializzato debba essere considerato un docente della classe a tutti gli effetti e non “l’insegnante personale del disabile” non c’è bisogno di dire molto: è vero che spesso in molte scuole e in molte classi si pratica una sorta di “delega” che deresponsabilizza buona parte del consiglio di classe e scarica sul docente di sostegno di compito di “fare inclusione” ma questa prassi è sempre stata considerata sbagliata anche dalle stesse norme di legge di cui sarebbe il caso di rivendicare il rispetto.
Sulla questione degli alunni stranieri bisognerebbe forse ricordare che oggi nelle scuole italiane la percentuale di alunni stranieri è del 10%  (ma in Lombardia, nel Veneto e in Emilia-Romagna si arriva anche al 25-30%).
Non è chiaro cosa proponga in merito Galli Della Loggia: forse pensa che, quando entrano in Italia, per i piccoli senegalesi, cinesi o brasiliani debbano essere formate classe apposite?
Chi la pensa come Galli della Loggia farebbe forse bene a prendere in mano qualche testo di pedagogia e leggere qualche pagina dedicata al modo con cui il bambino apprende.
Fra tutti gli studiosi del secolo scorso citiamo il buon vecchio Vygotsky che ci ha spiegato che l’apprendimento ha una radice “sociale” ineliminabile: per un piccolo cinese vale più una giornata trascorsa in classe a contatto con altri bambini della sua età che non 10 ore di “lezione” su come si costruiscono le frasi in italiano.
Il professore conclude la sua analisi della scuola italiana con una affermazione tanto apodittica quanto indimostrata: il risultato di questo stato di cose lo conosciamo bene.
Che vuol dire con questa frase? Che nelle ricerche internazionali i nostri studenti sono in posizione di inferiorità rispetto a quelli di altri Paesi a causa del mito dell’inclusione e a causa della presenza di stranieri?
Intanto è bene ricordare che non tutti concordano sulla validità di tali raffronti e, anche a voler considerare attendibili i dati, il vero problema del nostro Paese non è che non “reggiamo” il confronto ma piuttosto che i risultati delle diverse aree geografiche del Paese non sono affatto omogenei ed evidenziano differenze pesanti che finora non si è riusciti a superare.
Per quanto ne sappiamo nessuna ricerca ha mai evidenziato che la causa dei “ritardi” dei nostri alunni in alcuni ambiti di conoscenze e competenze sia legata alla presenza di alunni con disabilità o con BES.
Al contrario sembra che tali ritardi siano dovuti soprattutto al contesto ambientale e sociale in cui operano le istituzioni scolastiche.
Detto tutto questo bisogna però ammettere che, non da oggi, i processi di inclusione stanno segnando il passo e procedono con difficoltà e fra non poche contraddizioni.
I problemi sono più di uno a partire proprio dalla formazione dei docenti affidata spesso alla buona volontà individuale.
I docenti di sostegno di “ruolo”, infatti, sono tutti specializzati, mentre fra i docenti non di ruolo la percentuale è molto ridotta.
La specializzazione si consegue con un apposito corso universitario, ma le università non riescono a soddisfare del tutto la domanda; come al solito c’è anche una grande sperequazione territoriale: negli atenei del sud ci sono i corsi, ma gli specializzati sono più dei posti disponibili, mentre al nord accade che ci sono molte cattedre da coprire e pochi corsi.
Inoltre c’è da considerare che dopo 5 anni di servizio sul posto di sostegno il docente specializzato ha la possibilità di chiedere il passaggio sul posto “normale” e questo provoca dei “vuoti” che vanno coperti con nuovo personale formato.
Senza parlare del fatto che il numero degli alunni con disabilità sta aumentando di anno in anno con il risultato che oggi, ormai, i docenti di sostegno rappresentano il 25% del totale.
Per affrontare questa situazione complessa e difficile, un gruppo di esperti, basandosi anche su esperienze già condotte in molte scuole, ha messo a punto di recente una proposta di legge denominata “cattedra inclusiva” che prevede il progressivo superamento della distinzione fra docenti curricolari e docenti di sostegno: tutti dovrebbero avere la stessa formazione ed essere quindi intercambiabili.
Ma questa è un’altra storia e ne parleremo prossimamente.

Reginaldo Palermo