Carcere di Ivrea, grande sovraffollamento, scarsissimo lavoro. Le proposte e le criticità emerse nella seduta del Consiglio Comunale

Martedì 25 febbraio il Consiglio Comunale in carcere chiuso precipitosamente per le proteste dei detenuti al III piano

Quando la realtà viene maldestramente nascosta da belle parole prima o poi trova il modo di saltare fuori. E come in un classico prison movie alla fine della seduta del Consiglio Comunale in carcere la realtà ha fatto irruzione costringendo consiglieri e giornalisti a restare chiusi nel salone e poi a essere scortati fuori mentre urla, rumori metallici e sirene impazzavano e i rinforzi della Polizia Penitenziaria arrivavano per sedare quella che sembrava essere, e poi è stato confermato, una rivolta.

Nella sala polivalente della casa Circondariale, di volta in volta cappella, sala teatro o proiezione, incontri, oltre a Sindaco e consiglieri comunali, erano presenti solo la Direttrice Alessia Aguglia, le responsabili dei corsi di istruzione e professionali, il responsabile sanitario, il Comandante dei Carabinieri e una sparuta rappresentanza dei detenuti, 4 cioè uno per piano, con esclusione dei collaboratori (che hanno fatto avere al Sindaco una lettera). Presenti inoltre il Garante Orso Giacone e Armando Michelizza a rappresentare la Associazione Volontari Penitenziari (AVP) Tino Beiletti.
Palpabile lo sconcerto dei consiglieri per il mancato confronto con un numero più alto di detenuti e per la assenza di operatori dell’area trattamentale (educatori) e della Polizia penitenziaria, anche se tutt’ora manca di Comandante.
Le prime “belle parole” erano state quelle della Direttrice, in carica da poco più di un anno, che dopo aver ringraziato il Consiglio Comunale per l’interesse della Città verso la Casa ha rivendicato il proprio ruolo di “garante della Costituzione”, e quindi ha iniziato ad elencare le attività svolte in carcere. Dai corsi di istruzione affidati al CPIA 4 (centro Provinciale istruzione Adulti) di Chivasso, a quelli professionali curati dalla Casa di Carità che coinvolgono detenuti di diversi piani che normalmente invece vivono separati. Tra le attività svolte anche l’attività teatrale, sempre tramite il CPIA 4 e la redazione del giornale L’Alba. Vi sono inoltre iniziative per aiutare la genitorialità (eventi di compresenza di detenuti genitori con i figli) e si sta aumentando i numeri degli educatori, ora 3 su 4 previsti, mentre gli psicologi continuano a essere solo 2 (su una capienza ormai di 260 detenuti). Le maggiori criticità sono sul versante del lavoro, poco, e della sanità, anche se la ASL promette di trovare medici disponibili entro giugno.
Non una parola per la redazione del giornale La Fenice, attiva da sei anni, evidentemente non ritenuto dalla Direttrice una “cosa buona”, visto che l’ha chiusa di punto in bianco senza motivazioni nè chiare nè comprensibili, quindi tutte ancora da verificare.
Altre belle parole sono arrivate dall’assessora Colosso che ha ricordato lo sportello lavoro curato da Sinapsi e Cooperativa Mary Poppins con fondi regionali, i pochi posti (2) di cantieri di lavoro, altri pochi (2) di volontariato all’esterno, altri pochi (8) di lavori di pubblica utilità.
Più disincantato l’intervento del Garante Orso Giacone che ha ricondotto la diffusa disperazione presente nelle carceri italiane alla indifferenza a livello governativo a problemi che esistono da molto tempo e non vengono affrontati, primo tra tutti il sovraffollamento. Dal lato della politica non vi sono indicazioni nè in questo senso né in generale su come migliorare la situazione della detenzione e tutto ciò porta alla perdita della speranza nella popolazione detenuta.
Unica voce del mondo del volontariato che agisce all’interno delle carceri ammessa a parlare è stata quella di Armando Michelizza, dell’AVP Tino Beiletti, (associazione che aveva presentato un proprio documento ai consiglieri che ha scelto poi di non leggere in aula) che ha fortemente richiamato l’attenzione delle istituzioni sulla grave carenza di possibilità di lavoro e più in generale di un processo di reinserimento nella società per chi esce dal carcere, come peraltro richiederebbe la normativa vigente. Ora solo 10 persone ogni giorno, su 260 detenuti, escono per lavorare all’esterno, pensare di raddoppiare il numero sarebbe già un segnale positivo, ha affermato Michelizza.
Al termine la maggioranza ha presentato una mozione che in 13 punti impegna il Sindaco e la Giunta a sostenere il Terzo Settore nel promuovere percorsi di inclusione e socializzazione delle persone detenute, attraverso attività culturali, ricreative, sportive, e opportunità formative, la cura dell’affettività e il ricorso alla giustizia riparativa, promuovere e sostenere le attività dell’UEPE (Ufficio per la esecuzione penale esterna), prevedere una relazione annuale sulle iniziative promosse coinvolgendo anche i parlamentari del territorio e i rappresentanti del Governo.
Anche qui tante belle parole anche se l’effetto è quello della nutrita lista dei desideri che si enumerano senza considerarne la realizzabilità.
La mozione è stata approvata anche con l’emendamento proposto da Massimiliano De Stefano, consigliere di minoranza, che richiama l’attivazione del programma previsto dal Decreto 30 giugno 2000, n. 230, Art. 88: Trattamento del dimittendo, come richiamato da Michelizza: “Nel periodo che precede la dimissione, possibilmente a partire da sei mesi prima di essa, il condannato e l’internato beneficiano di un particolare programma di trattamento, orientato alla soluzione dei problemi specifici connessi alle condizioni di vita familiare, di lavoro e di ambiente a cui dovranno andare incontro.”

A questo punto è chiassosamente intervenuta la realtà e i presenti, dopo una rapida chiusura del Consiglio e bloccati nella sala, fatti velocemente uscire.

La sensazione finale è quella di un doveroso tentativo dell’Amministrazione pubblica di entrare in contatto con un mondo chiuso come quello degli istituti di pena e offrire un contributo per il miglioramento di alcune situazioni senza però trovare altrettanta disponibilità al confronto. Già l’organizzazione della seduta sembrava limitare più che favorire la partecipazione: solo un giornalista per testata e solo se iscritto all’Ordine, solo un detenuto per piano, solo un volontario, nessun operatore interno a parte la Direttrice.
Certo è difficile chiedere proprio all’Istituzione carcere di offrire spazi di comunicazione e coinvolgimento, eppure in alcuni più fortunati casi è possibile, anche in Italia. Basta volerlo.
Perché alla fine il malfunzionamento del carcere si riflette su tutti noi. Non sono solo i detenuti a scontare male la loro pena, sono anche gli operatori che lavorano all’interno del carcere a patire la situazione, gli agenti di Polizia i cui tassi di suicidio sono troppo alti, e più in generale tutti noi cittadini che accettiamo di perpetuare un circolo vizioso che porta malviventi a commettere crimini, passare in carcere, tornare in libertà senza alcuno strumento per restarci e quindi ricommettere crimini e così via.
Le carceri modello esistono e funzionano, con un tasso di recidiva abbattuto dal 70 al 17 per cento. Ma in Italia invece si preferisce rispondere sempre con un bel aumento di pena e il problema, qualunque problema, sembra risolto.

Francesco Curzio