Svendite, inchieste, sequestri, arresti domiciliari, … non doveva finire così il Consorzio per l’Informatizzazione del Canavese. Le responsabilità del pubblico che si è fatto mangiare dal peggior privato.
A fine 2015 c’erano già tutti i sintomi di qualcosa di storto nella vendita del consorzio pubblico CIC alla società per azioni CSP. Un prezzo di vendita quasi simbolico a fronte del conferimento da parte di CSP di un software che dire sopravvalutato è poca cosa (3,7 milioni quando acquistato solo poco tempo prima era stato invece messo a bilancio CSP per 1,3 milioni). E ancora la presenza di un nome già tristemente noto nel nostro territorio, quel Pio Piccini condannato nel processo per bancarotta fraudolenta di Agile ex-Eutelia. Fu presentato come consulente di CSP, non poteva certo figurare come socio o amministratore di CSP pena l’esclusione della sua società dai bandi pubblici per la legge sugli appalti per via appunto della sua condanna nel processo Agile. Ma oltre alle “leggi scritte” dovrebbero guidare nelle scelte, a maggior ragione un soggetto pubblico, quelle “morali”.
Da qui la responsabilità, o per lo meno leggerezza, delle pubbliche amministrazioni socie/clienti del CIC che hanno chiuso gli occhi davanti a queste evidenze pur di liberarsi del Consorzio portato dagli stessi (non da tutti) al fallimento.
Poco più di un anno dopo, era il maggio 2017, scrivevamo già di indagini della Procura e della Corte dei Conti di Torino sulle privatizzazioni dei centri informatici piemontesi, fra questi il CIC e il CSI, nell’articolo “Il CIC fu svenduto?”. Quello che trapelava dalle indagini era un quadro di scatole cinesi con protagonisti i soli noti, oltre a Piccini, la presidente di CSP Claudia Pasqui (concittadini e coppia di ferro che torna spesso in diversi “salvataggi” di aziende pubbliche e private).
E ancora, a inizio aprile di quest’anno sono scattati gli arresti per l’ex presidente di Finpiemonte, Fabrizio Gatti e di nuovo per il nostro Pio Piccini, in seguito all’indagine sul buco da 6,5 milioni di euro in Finpiemonte, l’accusa è di peculato.
E arriviamo a questi giorni… il 19 giugno i finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Torino eseguono tre ordini di custodia cautelare per frode fiscale nei confronti della presidente di CSP Claudia Pasqui e del consigliere delegato Fabrizio Bartoli, responsabile operativo in CIC. Vengono inoltre sequestrati beni per oltre 10 milioni di euro, l’equivalente presunto del profitto dei reati tributari contestati.
Lo schema è sempre lo stesso: acquisizioni, fusioni o cessioni che nulla hanno di imprenditoriale, false fatturazioni, caroselli IVA, … Inutile dettagliare, le pratiche sono sempre le stesse: un sistema ben collaudato.
Al tempo dell’acquisizione del CIC, Piccini disse in un’intervista che sapeva bene che ci sarebbe sempre stato qualcuno che tirerà fuori la vicenda Agile e chiuse dicendo “la cosa migliore è far parlare i fatti”. Ed eccoli qui i fatti.
Quello che indigna è che non si riesca a fermare questi personaggi “tossici” per i lavoratori e per le casse dello Stato. Non si riesce o non vi è la volontà di renderli inoffensivi al di là dell’azione giudiziaria? Con il crack Agile si sono persi 2.000 posti di lavoro in un colpo, in CIC dai 124 presenti al momento della vendita a CSP si è arrivati oggi a 80 dipendenti.
Come impatteranno ora questi arresti e sequestri di beni sulla tenuta aziendale?
CSP naturalmente tranquillizza … ci sarà presto un nuovo consiglio di amministrazione … garantiamo la continuità di servizio verso i clienti … i fornitori e i dipendenti saranno pagati regolarmente …
Lunedì 4 luglio era già previsto un incontro azienda-sindacati per fare il punto della situazione a sei mesi dal termine dei tre anni duranti i quali gli ex-clienti pubblici del CIC avevano garantito le commesse. CSP non ha portato quasi nulla di nuovo in CIC e questi ultimi arresti certo non fanno ben sperare nel futuro. Per ora l’incontro non è stato cancellato dall’azienda. Attendiamo. Vigili.
Cadigia Perini